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Le elezioni sono un
momento di sintesi, in cui le analisi, le opinioni, le
contraddizioni che animano una società giungono a giudizio. Che è
al tempo stesso un giudizio su quel che una nazione ha vissuto e
sulla strada che intende percorrere. La cosa peggiore è arrivare a
un momento così importante contentandosi di basare il proprio
gesto sulla superficialità di valutazioni, di luoghi comuni o di
impressioni. Un uomo educato a usare la ragione non sopporta né
che la politica diventi la cosa più importante della vita, né che
sia ridotta a puro gioco di opinioni e di slogan. Non ci interessa
la politica per la politica, né una politica che finga di non
essere quel che è: un conflitto e una tentata composizione di
interessi.
Tanto più una società è viva, quanto più la
politica è importante e sollecitata a rispondere con progetti e
misure adeguate a quella vivacità. Per questo abbiamo sempre
affermato che «la prima politica è vivere». Vale anche oggi, in un
momento in cui una certa lontananza della politica dalla vita
reale della società è favorita da diversi fattori (ad esempio, le
leggi elettorali e la polarizzazione che non rappresenta le reali
diversità di culture e di tradizioni presenti).
Quello slogan accompagnò i primi passi di una baldanza ingenua
che ci ha portato a interessarci di tante questioni incontrate
nella vita della nostra società: il lavoro, il rispondere al
bisogno dell’altro, la voglia di creare opere per il bene delle
famiglie e del nostro popolo.
Abbiamo compreso che il giudizio valido in politica è il medesimo
che muove nella vita. Che le presunte separazioni di ambito sono
fasulle e frutto di astuzia. Che la divisione della vita in
“sfere” in cui valgono giudizi diversi è, specialmente per un
cristiano, un espediente per coprire il perseguimento del potere
anche a costo della propria cultura e identità.
Per questo ci sta a cuore che esista la presenza libera
della Chiesa, cioè di quella realtà che ha dato speranza alla
nostra vita e che si offre a tutti - anche a coloro che non
credono o che non sanno che cosa è la fede - come luogo dove
scoprire ciò che muove il cuore dell’uomo: caritas, l’ha chiamata
il Papa nella sua enciclica, indicandone i nomi e i volti nella
vita personale, e in quella sociale. La Chiesa non è una “bella
idea”, magari realizzata con un po’ di difetti. Non è una delle
tante ideologie. È una presenza, un fattore vivo e operante nella
società. Con i suoi suggerimenti indica, in un’epoca di
trasformazioni e quindi di rischi, la natura dell’uomo da non
violare e da onorare anche con scelte di legge, per uno Stato che
voglia essere laico, ma non disumano. E con la sua dottrina
sociale indica le dinamiche, come una maggiore attuazione del
principio di sussidiarietà, attraverso cui la politica può
rispettare e favorire la libertà nella società. Non solo la
libertà di opinione, ma anche quelle di educazione e di
costruzione, senza le quali la libertà di opinione è solo un
giocattolo in mano a chi può determinarla con i mezzi di
informazione e con un indirizzo ipocritamente “neutro” dei luoghi
educativi.
Che la Chiesa viva è un bene per la vita della
società, come dimostra il livello di sviluppo, di libertà e di
benessere presenti nelle terre dove la presenza del cristianesimo
è stata più feconda e duratura. Alla politica chiediamo di tenere
conto e non di “sopportare” tutto questo. Lo chiediamo con il
voto, con il giudizio, e con la vita.
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