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di
Antonio Socci
Nelle polemiche
sulle dichiarazioni di Berlusconi, a proposito di Mussolini e
l’antifascismo, è stato dimenticato il fatto decisivo e sconvolgente che Ugo
Finetti riassume così nel volume La resistenza cancellata: “gli
antifascisti italiani condannati a morte dal Tribunale Speciale di Mussolini
sono stati di gran lunga meno numerosi di quanti ne vennero giustiziati nel
corso dei processi di Mosca, calcolando anche i delitti terroristici da
Matteotti ai fratelli Rosselli”.
E’ vero o falso?
Se ne discuta, se si hanno argomenti si confuti questa affermazione, ma
rimuovere un fatto così clamoroso non si può più. Ernesto Galli della
Loggia, sul Corriere della sera di venerdì scorso, invita “alle
istorie” l’opinione pubblica moderata. Ed ha ragione. Ma bisognerebbe
estendere l’invito a tutti, comprese le alte cariche dello Stato e i
giornali. C’è infatti una retorica ufficiale – oggi incarnata specialmente
dal presidente Ciampi - che in Italia da decenni celebra giustamente
l’antifascismo e condanna il fascismo: condivido.
Ma non è più
accettabile un’ideologia ufficiale che così semplicisticamente oppone solo
fascisti e antifascisti, quando si apprende che il comunismo ha massacrato
più antifascisti del fascismo. Perché il “fattore K” non entra mai nel
“discorso pubblico” e tanto meno nei libri degli storici “ufficiali” e nella
manualistica? Vogliamo davvero celebrare l’antifascismo? Bene, ma se ha
ragione Finetti perché non riflettere su questa macelleria rossa e cercarne
gli (indicibili) moventi?
I fatti, terribili, ebbero due scenari: Mosca e la Spagna. E si svolsero
soprattutto a partire dal 1936. Ma già negli anni precedenti gli
antifascisti italiani riparati a Mosca erano entrati nel tritacarne.
Cito solo un caso fra quelli ricordati da Finetti: l’anarchico Francesco
Ghezzi. Viene arrestato nel 1929 in Urss, dov’era esule, perché, secondo il
regime, egli avrebbe organizzato attentati. Gli anarchici europei non
credono alle accuse e chiedono al Cremlino le prove. A ribattere
beffardamente è Togliatti che – come sempre – si schiera con Stalin. Dunque
Togliatti risponde a questa richiesta di “prove” con una circolare ai
comunisti all’estero che spiega una volta per sempre la concezione della
giustizia che ha il capo del Pci: “per noi comunisti, la questione delle
‘prove’ è una questione che non si pone: è, anzi, una questione sciocca (…).
Chiedere le prove della condanna del Ghezzi vuol dire sostenere che ogni
singolo atto del governo dei soviet deve essere sottoposto a un controllo
pubblico. E’ evidente che a una richiesta di questo genere non possono
essere favorevoli che i nemici del regime dei soviet e della dittatura
proletaria”.
In seguito alle proteste internazionali il Ghezzi viene rilasciato nel 1931,
ma tre anni dopo è di nuovo arrestato e sparisce nelle tenebre del Gulag
siberiano dove muore nel 1941, a Vorkuta. E’ solo uno dei tanti casi. Sarà
soprattutto con l’inizio del grande Terrore, verso il 1935, che
l’antifascismo esule in Urss viene schiacciato da Stalin. Finetti, nel
volume citato sopra (appena uscito in libreria), ricostruisce il ruolo
terribile di Togliatti in questa tragedia, il suo scontro con Gaetano
Salvemini e la drammatica lettera aperta che Victor Serge (anch’egli era
stato in Urss, poi arrestato dal regime comunista e rilasciato solo grazie
alla protesta internazionale) gli scrisse nel 1945, quando Togliatti era
diventato ministro della Giustizia italiano: “Signor Ministro, che ne è
degli antifascisti rifugiati in Urss?”.
Secondo Finetti “ancora oggi si tenta di occultare soprattutto la
responsabilità diretta di Togliatti in quei procedimenti giudiziari”. Un
esempio è il caso di Edmondo Peluso. “Nel 1964” scrive Finetti “Guelfo
Zaccaria pubblica la prima documentazione su 200 antifascisti giustiziati.
Il Pci nega e ci vorranno circa trent’anni perché la cifra sia riconosciuta
veritiera anche da Alessandro Natta”.
C’è poi lo scenario spagnolo. Una delle grandi rimozioni della storiografia
è il terrore che i comunisti scatenarono, su ordine di Stalin, fra gli
antifascisti anarchici, socialisti, liberali, repubblicani, trotzkisti. Nel
maggio 1937, scrive Paolo Pillitteri, “i comunisti, tramite la Nkvd,
procedettero alla eliminazione, nella sola città di Barcellona, di 350
persone ‘nemiche’, cioè trotzkiste, ferendone 2.600”. Fra gli uomini di
Stalin in Spagna vi furono in primo piano Orlov, protagonista delle
“purghe”, e – di nuovo - Togliatti, “che dirigeva il partito comunista
spagnolo e le forze militari comuniste per conto di Mosca”.
Particolarmente clamorose (e crudeli) le eliminazioni – da parte dei
sovietici – di antifascisti importanti come Nin, Berneri e Barbieri. Tutti
amici di Rosselli anch’egli eliminato in quei giorni col fratello a Parigi
da una fantomatica organizzazione, oggi sospettata da ricercatori scrupolosi
di aver agito per conto dei sovietici (con cui i Rosselli erano allo
scontro). D’altronde, dopo la vittoria franchista in Spagna, “Stalin volle
l’eliminazione di non meno di 5 mila combattenti spagnoli (antifascisti, ndr)
rifugiati in Urss”.
Perché? Qual è lo scopo di una tale carneficina? A spiegare la guerra dei
comunisti contro tutti gli altri antifascisti, secondo Pillitteri, fu
proprio Togliatti su “L’Internazionale comunista” dove scriveva delle purghe
staliniane. Secondo Togliatti occorreva “liberare definitivamente il
movimento operaio internazionale dal lerciume trotzkista”, per questo le
organizzazioni operaie dovevano essere “epurate, radicalmente e per sempre,
dai banditi che sono penetrati nei loro ranghi per trascinarvi direttive e
parole d’ordine fasciste”.
Era veramente
così? Erano davvero sospettabili di “fascismo” gli epurati? E’ vero il
contrario. Si resta di sasso quando si scopre che proprio in quello stesso
periodo del 1936 Togliatti e il suo Pci lanciano l’incredibile “Appello ai
fratelli in camicia nera”, che comincia con queste parole: “I Comunisti
fanno proprio il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di
libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori. Lottiamo uniti per la
realizzazione di questo programma. Fascisti della vecchia guardia! Giovani
fascisti! Noi proclamiamo che siamo disposti a combattere assieme a voi… Noi
non vogliamo prestarci al gioco dell’imperialismo inglese…”.
Questo sconcertante
documento non è un imbarazzante incidente, ma esprime esattamente la
strategia staliniana. A Stalin in Spagna non interessava affatto la lotta al
fascismo e al nazismo. Egli perseguiva ossessivamente un altro obiettivo:
l’eliminazione di tutte le possibili fonti di contagio delle idee
democratiche o socialdemocratiche. E puntava a un accordo strategico con
Hitler e Mussolini contro le democrazie europee.
Lo constatò pure
Leo Valiani in un’intervista alla Repubblica del 1998: “Fin dal 1937
– lo ha denunciato Trotzky – Stalin mirava a un accordo con Hitler. Avrebbe
raggiunto l’intento due anni dopo con il patto Molotov-Ribbentrop”. E questo
infame “patto” è l’altro enorme capitolo censurato e rimosso. Sono ben pochi
gli studenti italiani i quali imparano a scuola che la seconda guerra
mondiale è stata scatenata da Hitler grazie al patto di alleanza stretto
nell’agosto 1939 con l’Urss la quale si spartì con la Germania il bottino:
la Polonia e i paesi baltici. Per ben due anni, metà della guerra, fu Stalin
il grande alleato di Hitler. E i Pc europei si allinearono. Finetti ricorda
il caso di uno dei fondatori del Pci, Umberto Terracini, un galantuomo, a
cui ripugnava quell’alleanza col nazismo antisemita: “l’ebreo Terracini, al
confino in Italia, viene espulso dal partito per aver criticato la scelta di
Stalin”.
Fosse stato in Urss che
fine avrebbe fatto? A metter fine alla sconcia alleanza nazicomunista che
aveva scatenato la guerra non sarà Stalin, che avrebbe voluto intensificare
il sodalizio, ma Hitler. Cosicché Tzvetan Todorov, nel suo libro sui lager,
Di fronte all’estremo, osserverà: “Che a Norimberga i rappresentanti
di Stalin condannino a morte quelli di Hitler sfiora l’oscenità”.
A queste conclusioni ci inducono i documenti storici. Ripeto: i documenti
storici. A coltivare sistematicamente la loro ignoranza e la loro
“rimozione” (sono certo che Galli Della Loggia concorderà) non è l’opinione
pubblica moderata, ma quella sedicente colta, quella “engagé”, quella che
scrive libri e articoli di storia con gli occhiali dell’ideologia.
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