Il referendum sull'Articolo 18 |
Intervista a Vittadini: |
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di
Stefano Filippi La Compagnia delle Opere invita a disertare il referendum sull'articolo 18. Sentire parlare di astensione la Cdo, che della «presenza» ha sempre fatto la sua bandiera, è una notizia. «Nessuna contraddizione - ribatte il presidente Giorgio Vittadini - proprio il nostro lungo impegno ci fa affermare che il referendum è come la corsa del gambero».
Un ritorno al passato?
«Negli anni Settanta noi
fondammo i Centri di solidarietà per aiutare i giovani a trovare lavoro.
Denunciammo la rigidità del collocamento e il gioco sporco del sindacato che
controllava le assunzioni nelle grandi fabbriche. Nessuno parlava di
qualità, le imprese non potevano scegliere le forze migliori, entrava solo
chi aveva certe tessere in tasca. Regnava una cappa statalista sorretta non
solo dalle normative sempre più rigide, ma dai sindacati stessi: in teoria
difendevano il debole, di fatto impedivano nuovi ingressi nel mondo del
lavoro».
I sindacati ostacolo
all'occupazione?
«Tutelavano chi era già
garantito mentre i giovani, le donne, la gente del Sud, i portatori di
handicap non trovavano sbocchi. Ci sono voluti l'innovazione tecnologica, il
calo delle grandi industrie e la crescita del lavoro atipico - in
particolare dell'interinale, che oggi diventa posto fisso nel 30-40 per
cento dei casi - per ammorbidire certe rigidità. Ma l’impronta statalista è
rimasta. Il ministro Salvi è stato il principe dei lacci e lacciuoli: ha
impedito a chi faceva interinale di fare formazione, chi si occupava di
formazione era escluso dal collocamento, e così via. Regole egualitarie,
astratte, corporative. Intanto la globalizzazione ci portava in casa la
concorrenza sleale di Paesi (molti dei quali socialisti) dove dominano
lavoro nero e sfruttamento. La Cdo promosse una legge d'iniziativa popolare
per cambiare quelle norme».
Proposte confluite nella
cosiddetta ‘riforma Biagi’. «Una riforma nata dalla collaborazione di molte realtà sociali. In essa non si parla più soltanto di posto, ma anche di percorso lavorativo, di accompagnare i giovani nella loro professionalità. Tuttavia la componente più radicale della Cgil e l’estrema sinistra parlamentare vanno in controtendenza e con il referendum sull'articolo 18 danno un segnale di irrigidimento. Trattano i piccoli imprenditori come i grandi capitalisti, infieriscono su persone che sprigionano creatività e generano opportunità di lavoro spesso lottando contro tutto e tutti. Estendere l'articolo 18 significa lottare contro i lavoratori più deboli, impedire la crescita delle realtà minori e bloccare possibilità occupazionali alternative alle grandi industrie in crisi». Dunque, astensione in nome della flessibilità? «Non solo, a noi interessa costruire strumenti utili a promuovere il lavoro. In questi giorni stiamo mettendo a punto quella che chiameremo la Piazza del lavoro, un punto in cui riunire tutti gli operatori: la formazione professionale, il part-time, l’interinale, i patronati, le società di cacciatori di teste. Un luogo in cui il lavoratore e l'imprenditore trovino risposta alle loro esigenze, una sfida a chi occupa militarmente lo Stato e vuol tenersi il potere radicalizzando lo scontro».
Chi appartiene a
questo schieramento?
«Rifondazione e pezzi di Cgil,
di no-global, di Ppi e mondo cattolico, di girotondini, di intellettuali e
anche di imprenditori. Questo fronte ha bisogno di una destra dura che
consolidi la divisione in blocchi. Noi invece vogliamo andare oltre i
blocchi. Crediamo alla politica come arte del compromesso, cioè della
convivenza. L'Italia è il Paese delle mille capitali, per secoli abbiamo
vissuto mettendo d'accordo tante realtà diverse. La diversità è
arricchimento. C'è bisogno di gente che riconosca la legittimità
dell'avversario e si impegni non ad applicare utopie ma a cercare una
possibilità di convivenza per tutti. Non ci interessano le posizioni
ideologiche. Apprezziamo sia Fini sia Formigoni sia Bersani, ci piace il
tentativo riformista di Berlusconi e del ministro Moratti, stimiamo taluni
protagonisti della finanza e delle fondazioni bancarie come pure la Lega
delle cooperative. Vogliamo un sistema in cui tutti possano avere una
chance». |
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Politica: «Intervista a Vittadini: come nel ’70 il sindacato non tutela i lavoratori più deboli» di Stefano Filippi, Il Giornale 13.5.2003 |