Moro |
I DS arruolano anche Moro... |
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di
Antonio Socci, La sinistra italiana è stata talora paragonata al pirandelliano Vitangelo Moscarda, per il suo essere “uno, nessuno, centomila”, ovvero per la sua disinvoltura mimetica che la induce a essere tutto e il contrario di tutto (guerriera ultraamericana se è al governo e pacifista antiamericana se è all’opposizione, tanto per dire della piroetta più recente). Trattasi di drammatica ricerca di identità – come dicono gli interessati - o – come ritengono i critici – di spregiudicatezza trasformistica? Ognuno darà il suo giudizio. Io penso che, anche se si sono viste evoluzioni e acrobazie davvero spericolate di certi esponenti dell’ex Pci, che si sono addirittura reinventati una verginità anticomunista datandola alla giovinezza, sia sempre positiva la disponibilità al cambiamento, alla revisione critica sincera. Può esserci del vero pure in chi si accorge oggi che un certo impeto ideale della gioventù aveva molto più a che fare con l’orizzonte occidentale della “libertà” che con quello plumbeo dei vopos appostati sul Muro di Berlino.
Quello che francamente
non si può fare – in questa ricerca di una propria identità - è pretendere
di cambiare l’identità altrui. Per esempio: Aldo Moro, lo statista
democristiano massacrato da quell’organizzazione comunista armata che si
chiamava e si chiama “Brigate rosse”. E’ possibile dimenticare che Moro fu
il simbolo della Dc? Già qualche tempo fa ha fatto discutere ed arrabbiare
molti un monumento che raffigurava il politico diccì con una copia dell’Unità
nella tasca del cappotto.
In questi giorni proprio
l’Unità, il giornale storico del Pci, oggi “quotidiano dei gruppi
parlamentari dei Democratici di sinistra”, ha dedicato alcune pagine a Moro,
in occasione dell’anniversario del suo assassinio. Iniziativa positiva, anzi
sacrosanta. Ma con quale messaggio? Con quale atteggiamento?
Oggi, nel 2003, una sinistra
che intendesse dimostrare quanto lontana sia ormai la sua cultura politica
da quella del Pci, contro cui Moro sempre militò, potrebbe riconoscere i
meriti storici della Dc, di cui lo statista pugliese era simbolo (e di cui
fu difensore ufficiale nella sede più solenne, il Parlamento). Una sinistra
finalmente approdata a una cultura occidentale, liberale e moderna, potrebbe
cogliere l’occasione per riconoscere quanto furono lungimiranti e positive
le due scelte strategiche della Dc: ancorare l’Italia alla Nato e alla
comunità europea, due scelte strategiche entrambe avversate duramente dal
Pci.
Invece l’Unità fa
l’operazione opposta. Come se Moro avesse avuto le posizioni che sono oggi
dei Ds.
L’Unità di ieri infatti
sotto la testata riportava (liberamente riassunte) alcune parole pronunciate
nel 1968 da Moro a favore della pace, del dialogo e dell’unità europea.
L’Unità evitava di protrarre la citazione, laddove Moro faceva l’elogio
della Nato, come presupposto di questa politica di distensione. Evitava di
riportare le parole con cui Moro spiegava il senso che egli dava alla parola
pace che andava coniugata, per lui, agostiniano, “con la giustizia e la
libertà”. Altrimenti è solo la pace dei cimiteri e delle tirannie. Oltretutto in quel discorso del 1968 Moro prosegue riferendosi alle sanguinose repressioni sovietiche nell’Est europeo (in primis la Cecoslovacchia) e spiegando che quello era “il momento meno adatto per polemizzare sull’utilità della Nato e per chiedere lo smantellamento del nostro bastione difensivo. Un atto di debolezza sarebbe fatale”.
Chi, se non il Pci e tutto il
movimento sessantottino, sparava a zero, a quel tempo, contro la Nato? Chi
gridava nelle piazze “fuori l’Italia dalla Nato e fuori la Nato
dall’Italia”? E chi, se non il Pci, si contrapponeva duramente alla politica
europeista dell’Italia, esaltata da Moro, e al centrosinistra che Moro
stesso aveva voluto?
Se proprio dovessimo oggi
cercare gli eredi di quella politica dovremmo individuarli in chi cerca di
conciliare assieme il legame storico con gli Usa e il vincolo europeo, con
una politica moderata di riforme. E non mi pare che si trovi nella sinistra
che ancora grida in piazza contro gli Usa.
Certamente non in quella
sinistra guidata da Sergio Cofferati a cui
domenica scorsa l’Unità ha affidato il
commento a margine di quel discorso di Moro del 1968 al Consiglio nazionale
Dc.
Infatti Cofferati dimentica di
sottolineare questi aspetti e dimentica anche di riferire come venivano
rappresentati, in quel 1968, dai movimenti di sinistra, gli statisti
democristiani come Moro. Cofferati sottolinea semplicemente l’attenzione di
Moro a ciò che stava nascendo nelle nuove generazioni, ma Moro aggiungeva la
denuncia di “dati sconcertanti” come “la violenza, una confusione ad un
tempo inquietante e paralizzante, il semplicismo”.
Cofferati qui non fa
commenti. Così come relega alle ultime quattro righe il “particolare” del
suo tragico assassinio, liquidando le Brigate rosse sotto la facile formula:
“follia distruttiva”.
Un po’ troppo poco e un
po’ troppo semplice liquidare così un “partito armato” che spara tuttora
(per esempio a Massimo D’Antona e a Marco Biagi). Un po’ troppo
semplicistico liquidare così un’organizzazione la cui radici affondano
comunque dentro la storia ideologica e politica della sinistra italiana e
internazionale e non in un qualche manicomio. La sinistra legale e ufficiale
troppo a lungo fece l’errore di non riconoscerne la natura, parlando di
sedicenti Brigate rosse. E ancora oggi troppo spesso preferisce insinuare
strane dietrologie invece di riconoscerne i veri connotati politici (sia
pure fanatizzati).
Ben venga insomma la
commemorazione di Moro fatta dall’Unità e da Cofferati. Ma invece di
presentarci un Moro “antesignano” di Cofferati sarebbe utile fare i conti
con i ritardi storici della sinistra (perfino sul Moro del 1968) e chiedersi
anche perché a lungo in Italia chi ha militato politicamente sul fronte
moderato ha rischiato così tanto. |
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Politica: «I DS arruolano anche Moro...», di Antonio Socci, Il Giornale, 18 Marzo 2003 |