Politica
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Democrazia
Di
fronte alla drammatica situazione italiana, dominata da
grida, spinte e confusione, proponiamo una pagina da uno dei
testi fondamentali di Cl, il libro di don Giussani Appunti
di metodo cristiano,
del 1963. All’inizio della nostra storia la strada per una
ripresa positiva in ogni situazione, anche la più difficile
e apparentemente senza vie d’uscita: la carità - che è
passione per l’uomo - come unica legge dell’esistenza, e
quindi anche di una convivenza che voglia dirsi umana.
Nell’incertezza del futuro che domina tutti, un contributo
per vivere con maggiore consapevolezza il presente di una
responsabilità
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di
Luigi Giussani
L’ideale
della democrazia sorge normalmente come esigenza di rapporti
esatti, giusti fra persone e gruppi. Più
particolarmente, punto di partenza per una vera democrazia
è l’esigenza naturale umana che la convivenza aiuti
l’affermazione della persona, che i rapporti “sociali”
non ostacolino la personalità nella sua crescita.
Nel
suo spirito la democrazia non è innanzitutto una tecnica
sociale, un determinato meccanismo di rapporti esterni; la
tentazione è quella di ridurre la convivenza democratica a
puro fatto di ordine esteriore o di maniera. In tale caso il
rispetto per l’altro tende a coincidere con una
fondamentale indifferenza per lui.
Lo
spirito di una autentica democrazia invece mobilita
l’atteggiamento di ognuno in un rispetto attivo verso
l’altro, in una corrispondenza che tende ad affermare
l’altro nei suoi valori e nella sua libertà. Si potrebbe
chiamare “dialogo” questo modo di rapporto tra gli
uomini che la democrazia tende ad instaurare.
Il
dialogo come metodo di convivenza evidentemente si
radica e si qualifica in una “ideologia”, in un
determinato modo di concepire sé, gli uomini e il mondo;
non si può separare la volontà di dialogo dal determinato
tipo di sensibilità e di concezione che si vivono.
Anche
il più sincero democratico soffre perciò la tentazione di
tenere come criterio reale della convivenza il trionfo del
suo modo di concepire l’uomo e il mondo. Ora, rendere
questo non speranza, ma motivo e criterio dei rapporti, è
violenza, è la violenza del tentato trionfo di una
ideologia, che elimina l’affermazione del singolo uomo
libero. Lo sforzo di creare, per esempio, delle
Internazionali, o il voler creare a tutti i costi una
omogeneità “lasciando da parte ciò che ci divide”, può
avere commovente spunto, ma sempre, di fatto, finisce per
schiacciare la persona in nome di una idea matrice o di una
bandiera.
Bisogna
che il criterio della convivenza umana sia l’affermazione
dell’uomo “in quanto è”: allora l’ideale concreto
della società terrestre sarà l’affermazione di una
“comunione” tra le diverse libertà ideologicamente
impegnate.
Il
contratto che regola la vita comune (“Costituzione”)
deve cercare di dare norme sempre più perfette che
assicurino ed educhino gli uomini alla convivenza come
comunione.
Il
cristiano è particolarmente disposto e sensibile a questo
valore: proprio perché esso è educato ad affermare come
unica legge della esistenza la carità, per cui ideale di
ogni azione è la comunione con l’altro e l’affermazione
della sua realtà “perché è”.
Ma
solo nella carità cristiana questa affermazione trova la
sua sicurezza, in quanto nella carità cristiana diventa
noto il motivo ultimo di quel rispetto attivo verso gli
uomini. Il motivo ultimo non può essere solo il fatto che
“un uomo è un uomo”, il motivo ultimo del mio rispetto
all’altro deve essere qualcosa che c’entri con la mia
origine e il mio destino, il mio bene, la mia salvezza, deve
essere qualcosa che supremamente corrisponda al mio fine:
che possa entrare in comunione definitiva con me.
Il
motivo ultimo è il Mistero di Dio.
Un
governo della cosa pubblica che s’ispiri al concetto
cristiano di convivenza avrà come ideale il pluralismo. Le
trame cioè della vita sociale dovranno rendere possibile
l’esistenza e lo sviluppo di qualunque tentativo
d’espressione umana.
Per
la nostra mentalità cristiana la democrazia è convivenza,
cioè è riconoscere che la mia vita implica l’esistenza
dell’altro, e lo strumento di questa convivenza è il
dialogo. Ma il dialogo è proposta all’altro di quello che
io vivo e attenzione a quello che l’altro vive, per una
stima della sua umanità e per un amore all’altro che non
implica affatto un dubbio di me, che non implica affatto il
compromesso in ciò che io sono.
La
democrazia, perciò, non può essere fondata interiormente
su una quantità ideologica comune, ma sulla carità, cioè
sull’amore dell’uomo, adeguatamente motivato dal suo
rapporto con Dio.
(Appunti
di metodo cristiano, 1963; ora in Il cammino al vero
è un’esperienza, Sei, 1995, pp. 120-123)
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