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Il silenzio dei pacifisti |
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di
Alessandro Maggiolini Continua la catena di atti terroristici: aspiranti suicidi - donne per di più - si trasformano in bombe che provocano vittime le quali ormai si contano a un dipresso come quelle di una guerra attuale. Un terrorismo siffatto è guerra o no? Si può disquisire all'infinito. Ma se la guerra si descrive come uso della forza per bloccare o distruggere il nemico, ebbene qui si dispiegano armi e si contano morti. L'obiezione secondo cui, però, non si è di fronte a un conflitto dichiarato e talvolta si registrano atti distruttivi nemmeno rivendicati da precisi soggetti politici, non fa che aggravare la situazione. Non più un annuncio pubblico di inizio e di termine delle ostilità; non più un fronte contrapposto a un altro. Piuttosto il pericolo diffuso un poco dappertutto in quella che dovrebbe essere una convivenza civile pacifica: un pericolo che può danneggiare a piacere o a capriccio o a modo di vendetta, dove non vige nemmeno la legge del taglione: occhio per occhio, dente per dente, e non più in là; e la paura sempre all'erta. Non senza un'ombra di vigliaccheria esercitata e subita. I nostri pacifisti - anche quelli che ritenevano la violenza levatrice della storia - non scendevano in piazza contro ogni guerra considerata un male per principio? E il terrorismo merita un'assoluzione generale? Dove si sono rifugiati? Hanno desistito dalla loro protesta e dal compito educativo che si sono attribuiti? Il terrorismo attuale è guerra giusta? Sembra che no. Almeno perché si rivela dubbia l'intenzione di legittima difesa. E tale violenza non solo colpisce di fatto persone estranee alla lotta, ma si attua proprio là dove si possono mietere numerose vittime innocenti per suscitare il più grande orrore possibile. Addio Giovanni XXIII con la guerra quasi sempre da condannare oggi. I nostri pacifisti militanti hanno cambiato le motivazioni per le quali agivano? Oppure distinguono tra violenza e violenza? Tra morti e morti? E in base a quale criterio? Il terrorismo a cui assistiamo può essere qualificato come guerra di risposta e non guerra preventiva? Si ammetterà che non è del tutto agevole stabilire chi ha iniziato un conflitto: spesso si risale nei decenni, se non proprio nei secoli, soprattutto se si gonfia a dismisura il concetto di sopraffazione subìta. Nella condizione attuale, poi, risulta problematico determinare il punto di avvio di una contesa anche perché attacco e/o contrattacco spesso sono tanto vicini da sovrapporsi senza soverchia possibilità di distinzione. E tuttavia, almeno nel caso del terrorismo contemporaneo, non si cerca esattamente il momento di minore attenzione da parte dell'avversario? O ci si deve sempre considerare in stato di guerra sempiterna? Ma allora, i nostri pacifisti lottatori e manifestanti non debbono schierarsi a maggior ragione contro il terrorismo? E invece, dove sono? Viene il sospetto che essi protestino contro la guerra soltanto quando questa è attribuibile a una precisa potenza politica. Il resto sarebbe tutto lecito e benedetto. Così facendo, essi rischiano di suscitare - magari senza volerlo - un clima di odio che predispone a schierarsi con una delle parti confliggenti: soprattutto tendano a distogliere l'attenzione da focolai di guerra che non siano riconducibili allo schema prescelto. Detto fuori dai denti: che non siano riconducibili alla logica antiamericana. O si immagina ipertrofico il potere del nord-occidente: l'unico che esisterebbe senza possibilità di confronti: unico e universale. Dopodiché nettamente si separa il bene dal male senza troppo badare alle sfumature. I nostri pacifisti di principio e
forse di convenienza o di autoinganno non potrebbero sostare un poco a
ripensare le loro ragioni di lotta? E se vogliono essere coerenti, perché
non protestare anche per i lutti provocati da kamikaze fanatici? A meno che
le loro finalità siano diverse dalla pace. Talvolta lo si sospetta. Ebbene,
se così è, lo ammettano. Si potrà discutere senza soverchi sottintesi. I
cattolici, poi, non tirino per i capelli qualche frase del Vangelo. Non si
illudano che la vera dottrina della Chiesa sulla guerra inizi soltanto con
le loro trovate, le loro frasi fatte e le loro manifestazioni non sempre
quiete e chiare. Non pretendano di avere sempre in mano la chiave
interpretativa della giustezza o meno della dottrina sociale alle diverse
contingenze concrete. |
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Pace: «Il silenzio dei pacifisti», di Alessandro Maggiolini, Il Giornale - 19 maggio 2003 |