I pacifisti, la realtà |
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di
Antonio Socci L’esito della guerra in Iraq ha quasi fatto ammutolire le anime dei tantissimi che – prima del suo scoppio – erano decisamente contrari e inveivano contro gli Usa. Una parte di loro ha cambiato opinione. Un’altra no. Ma la mobilitazione delle coscienze, l’indignazione morale, lo sdegno ideale che si esprimeva con i colori dell’arcobaleno sono finiti in naftalina come le bandiere della pace? E’ suonato il "tutti a casa" per l’esercito della pace? Domenica Dino Boffo, direttore di Avvenire ha provato a richiamarli in servizio, con vessilli e slogan, per occuparsi della tragedia che vive il Sudan: nel più grande stato africano due milioni di morti, cinque milioni di profughi, a causa dell’islamizzazione forzata imposta dal regime di Karthoum alle popolazioni cristiane e animiste del Sud. Avendo, nei mesi scorsi, già altri (compreso il sottoscritto, dalla televisione), denunciato quell’ecatombe presso l’opinione pacifista (senza effetto alcuno), temo che la lodevole iniziativa di Avvenire finisca anch’essa nel nulla. Come pure la mobilitazione per tutte le altre guerre dimenticate (una cinquantina) che sembrano non interessare al "popolo arcobaleno", non essendoci di mezzo Usa o Israele. D’altra parte, sembra dire qualcuno, non si può vivere di mobilitazioni continue: l’estate incombe. E quello slancio – sincero, per tanti – vive la frustrazione delle Utopie che affogano nella normalità della vita quotidiana. Frustrazione imbarazzante soprattutto per i tanti cattolici che inalberarono quei vessilli. Perché se di grande questione morale e teologica si tratta, e non di politica, allora non si dovrebbe conoscere smobilitazione, né vacanze al mare. E invece… Ho trovato uno spaccato commovente di questo impaccio in una bella lettera, amara e critica, pubblicata da Repubblica, in una colonnuccia remota che nessuno ha notato. E’ firmata da un ragazzo e una ragazza di Bergamo, Sara e Giambattista, due giovani cattolici, par di capire. Dice così. "Un giovane collega ‘no global da salotto’, con l’impeto dell’estremismo e la zavorra del vivere in Occidente, aveva insistito il giusto facendo sì che decidessimo di acquistare una bandiera della pace al negozio del Commercio Equo e Solidale. Da allora ne sono sbocciate tante. Le abbiamo viste in televisione, nelle manifestazioni, negli stadi, anche in piazza dopo la messa. Piano piano però l’emozione di quel vessillo è diventata una routine cromatica, come le luci natalizie. Forte la tentazione di staccare la bandiera della pace: sembra oramai inutile, vecchia e scontata. La scorsa estate era successo lo stesso con il tricolore, ammainato con tristezza dopo la misera figura coreana degli azzurri. Un paragone da brividi, ma è difficile negare che abbiamo vissuto quasi allo stesso modo la campagna alleata nel deserto iracheno, che con le stesse modalità abbiamo discusso di tattica e con la stessa maleducazione si sono animati i dibattiti dell’imbecille tubo catodico. Possiamo davvero staccare la bandiera della pace? Torneremo alla routine di sempre (l’abbiamo mai abbandonata?) sperando che qualcuno aderisca alle iniziative del nostro gruppo missionario, che i colleghi comprino i biglietti della lotteria della squadra di pallavolo, che l’amico senegalese sia assunto definitivamente e che magari l’Atalanta resti in serie A. Tutte le altre guerre del mondo possono aspettare, per ora siamo stanchi. C’è Pasqua, il 25 aprile e il 1 maggio. E preso arriverà anche l’estate". Sembra di rileggere le (per noi) celebri "Lettere a Lotta Continua", annata 1977 circa. Piccoli oggetti e piccole storie come struggenti relitti rimasti sulla spiaggia dopo il naufragio dell’utopia sugli scogli della realtà. Lettere dove si chiedeva "che tra la nostra splendida teoria piena di futuri paesi delle meraviglie e la nostra ‘squallida’ pratica quotidiana non si lasciasse più aperto un varco così grande dove un uomo possa perdersi". A distanza di tanti anni ci troviamo un mondo cattolico finito impantanato nell’Utopia. L’opposto del cristianesimo. |
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Pace: «I pacifisti, la realtà», di Antonio Socci, Il Foglio, 14 Maggio 2003 |