Sudan, ecatombe "imbavagliata" |
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di
Gianni Santamaria Nel silenzio o nell’indifferenza dei mass media e dell’opinione pubblica si consuma un massacro di cui sono vittime soprattutto le popolazioni civili del Sudan. L’islamizzazione forzata, i bombardamenti e le ripetute violazioni dei diritti civili
"La guerra in Iraq? Giorno e notte i giornali e le
televisioni hanno riversato nelle case di tutto il mondo occidentale ore e
ore di trasmissioni. Ma chi ha parlato dei due milioni di morti del Sudan e
dei suoi cinque milioni di profughi? Chi conosce lo sterminio e la
violazione di diritti umani che nel mio Paese va avanti ormai da anni?". Usa
parole severe, il vescovo Macram Max Gassis, pastore in esilio di El Obeid,
sui Monti Nuba. È a Milano per l'incontro che i Centri culturali ambrosiani
hanno organizzato per il 40° della Pacem in terris. E coglie
l'occasione per andare dritto alla coscienza di un Occidente spesso
superficiale, se non ipocrita, che fa valere la vita di un iracheno, più di
quella altrettanto preziosa di un sudanese. «È proprio vero che l'interesse
dell'opinione pubblica è legato solo alla questione della ricchezza?»,
incalza il vescovo. In un mondo sempre più villaggio globale, possono
esistere «persone di serie A e di serie B?». Snocciola orrori da far
rabbrividire: denuncia con nomi e luoghi precisi episodi di crocifissioni,
parrocchie bombardate, bambini venduti schiavi. Tutte cose di cui nessuno
parla. Come se lo spiega questo silenzio? I motivi sono vari. Il primo è la
furbizia del regime di Khartoum. Quando arrivano i giornalisti gli fanno
vedere quello che vogliono loro. Non li lasciano entrare nelle zone dove
davvero si soffre. E poi anche il mondo cristiano non ha il coraggio di dire
che ci sono davvero dei fondamentalisti islamici che perseguitano dei
cristiani. A differenza di altre situazioni. Quali? Noi cristiani abbiamo levato la
voce per difendere i dritti dei curdi, dei kossovari. Ma per il Sudan no.
Non c'è stato un massiccio movimento per venire a vedere. Da noi, sui Monti
Nuba, le persone sono venute con il contagocce. Vanno magari a parlare con
altri. Mentre la Chiesa, presente con i suoi sacerdoti o catechisti, non
viene avvicinata da alcuno. La mia porta è aperta per qualsiasi delegazione
del mondo della comunicazione: venite a vedere la situazione. È vero, adesso
è un po' migliorata dopo il cessate-il-fuoco firmato a Ginevra nel gennaio
2002. C'è più apertura. Meno paura di essere bombardati o aggrediti da
terra. Ma ci sono voluti cinque anni di appelli inascoltati alla Commissione
diritti umani dell'Onu a Ginevra. L'Occidente non parla di Sudan,
anche perché ha la coscienza sporca, per esempio riguardo al petrolio? Lei vive per lunghi periodi negli
Stati Uniti e in Europa. Ciò non la facilita nel far conoscere la causa del
suo popolo? O davvero si scontra con un "razzismo mediatico" per il quale le
vicende del Sudan non importano a nessuno? Ho la mia base a Nairobi, ma sono
un po' un globetrotter. E ho formato dei gruppi, soprattutto, in
America, composti da avvocati specializzati nei diritti umani, per
continuare la mia opera, mentre io sono in giro. C'è indifferenza. La
Scrittura dice: poiché non sei né caldo né freddo, ma tiepido, ti ho
vomitato. Mi pare che i media cerchino solo il sensazionalismo. Tanti morti
in Burundi, tutti preziosi davanti agli occhi di Dio. Ma quanti sono morti
in Sudan: due milioni e mezzo dall'89. E nessuno dice niente? Cinque milioni
di profughi. Siamo diventati un peso per i Paesi vicini: Uganda, Kenya,
Etiopia. E anche in Inghilterra. E nessuno dice niente? Da africano, secondo lei che
Occidente è quello che dimentica una parte così sofferente dell'umanità? L'ho detto, in Occidente giro Paesi
dove è comune dirsi cristiani. Ci vuole più coraggio nel condividere il
cammino di questi fratelli che percorrono la Via Crucis. Di farsi cirenei.
Quello che noi vogliamo è solo pace e giustizia. Oggi si parla tanto di
pace, ma non di quella che nasce dalla giustizia. Dovrebbe essere messo
anche sulle bandiere appese ai balconi: pace e giustizia. |
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Pace: «Sudan, ecatombe "imbavagliata". Il vescovo Gassis: il grido inascoltato dei cristiani vittime della persecuzione», di Gianni Santamaria, Avvenire - 11 Maggio 2003 |