La presenza del Cristianesimo cambia anche il modo di fare la guerra |
L’aspirazione alla pace |
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di
Antonio Socci L’aspirazione – anche ingenua – alla pace di tanti è sincera e rappresenta, come ha osservato il Papa, il frutto inconsapevole di 2000 anni di cristianesimo che, silenziosamente, ha portato l’umanità a detestare la distruzione e le carneficine della guerra. Ma guerra non è solo quella che impiega i carri armati. Guerra è dovunque si usi violenza all’uomo. Guerra è per esempio dovunque una dittatura crudele, come quella irachena, calpesta la vita e la dignità degli esseri umani. Guerra è dovunque imperi la violenza e l’odio. E l’odio è un virus che ci minaccia tutti. Nessuno ne è immune. Perfino parlando di pace. Se c’è una cosa che rende letteralmente incredibile il pacifismo di una certa parte della sinistra è proprio l’odio, odio ideologico, che tracima da certe parole, da certi slogan, dagli atteggiamenti. Parlano di pace e hanno nel cuore la guerra, come dice la Scrittura.
Per questo un abisso li
separa e li contrappone a Giovanni Paolo II, alla sua testimonianza “non
pacifista, ma pacificatrice” come oltretevere hanno tenuto a precisare.
Per questo ancora una volta bisogna protestare, da cattolici, contro i
continui tentativi di appropriazione indebita di Giovanni Paolo II ed è
doveroso contestare le interpretazioni sbagliate. Ancora ieri Furio Colombo
estrapolava certe parole del Papa attribuendo loro un significato ad uso e
consumo dell’Unità.
E’ tornato a ricordare la
frase del Papa “Dio si nasconde” come se l’Onnipotente ce l’avesse con Bush
e la frase “La terra è diventata una grande cimitero” come se fosse stata
pronunciata contro le truppe alleate che stanno liberando l’Iraq. Sarebbe
bastata qualche piccola verifica per capire che quest’ultima frase fu
scritta dall’allora cardinal Wojtyla per la Via Crucis di Paolo VI, trent’anni
fa. Quelle parole stanno a significare la percezione drammatica della vita
umana, che è un correre verso la morte, salvata solo da un altro sepolcro,
l’unico vuoto, posto fuori delle mura di Gerusalemme, dove all’alba del 9
aprile dell’anno 30, Gesù di Nazareth, uomo e Dio ad un tempo, resuscitò,
sconfiggendo così, per sempre, il tragico destino umano.
Per quanto riguarda la
frase precedente (“Dio si nasconde”) di qualche mese fa già dette luogo al
clamoroso abbaglio di Eugenio Scalfari. Era l’11 dicembre 2002. All’interno
della consueta catechesi del mercoledi’, il Papa citò il profeta Geremia
che, di fronte alla tragedie del suo tempo, lamentava il silenzio di Dio.
Dopo questo lamento – spiegava
il Papa – accadeva la svolta: “il popolo ritorna a Dio e gli rivolge
un’intensa preghiera”. Era la conversione. La vera, unica risposta al Male
incombente. “Possiamo essere certi che Dio non ci abbandona”, spiegò il
Santo Padre. Ma la stampa enfatizzava solo la prima citazione del profeta.
Cosicché L’Espresso arrivava a dedicare la copertina – con un’articolessa di
Eugenio Scalfari – a queste “dimissioni” di Dio che il papa avrebbe
solennemente annunciato.
Scalfari spiegando da par suo
“L’ira di Dio” toccò il grottesco: “Mai prima d’ora - scrisse - il Vicario
aveva reso pubblica testimonianza del ritiro di Dio dalla scena del mondo”.
In pratica, spiegava, era una dichiarazione di fallimento. Solo che il Papa
aveva detto tutt’altro. Aveva esortato alla conversione perché Dio non
abbandona mai l’uomo. L’opposto. Del resto in un’altra occasione, il 22 gennaio 2003, pregando per l’unita’ dei Cristiani, invitava alla “comune riflessione sul ministero del Vescovo di Roma”. Ebbene, il giorno dopo, i titoli dei giornali ne parlavano come se il Pontefice avesse intenzione di delegittimare il Primato di Pietro. Il 9 marzo 2003 il Papa, parlando della Quaresima, il Papa afferma che “la preghiera e il digiuno infondono il coraggio per combattere il male con il bene”. I giornali gli attribuiscono un’equazione (Bush = il Male) del tutto estranea al suo pensiero. Giustamente insorse su queste colonne monsignor Maggiolini riportando il virgolettato esatto del Pontefice.
Uno degli episodi più
buffi accade ai primi di marzo, quando esce il volumetto di poesie inedite
di Karol Wojtyla, “Trittico Romano”. Il Papa cita qui la “visione di
Michelangelo” nella Cappella Sistina e l’amore tra uomo e donna. Un noto
commentatore fraintende la faccenda. Con la forzatura del titolista ne viene
fuori che “Il matrimonio si scioglie senza l’amplesso totale”.
Ma è sul conflitto in Iraq che
il malinteso e la strumentalizzazione sono più pesanti. Solo qualche
vaticanista, che segue con precisione le parole del papa e le sue scelte, ha
spiegato che è sbagliato attribuire al pontefice le posizioni del pacifismo
antiamericano. Sandro Magister, dell’Espresso, osserva infatti che il Papa
ha fortemente contrastato la decisione di intervento armato, ma mai l’ha
condannato solennemente. Prova ne è che i pacifisti cattolici hanno inviato
al Papa una lettera aperta, quasi un diktat, dove si chiede “un’affermazione
semplice e univoca”. Senza se e senza ma (qualcuno era arrivato addirittura
a esigere dal Papa che scomunicasse i soldati cattolici impegnati nel
conflitto).
A dimostrazione di quanto
invece abbiano commosso gli americani le parole del Papa e la sua accorata
esortazione a risolvere il dramma iracheno (il dramma di una dittatura
sanguinaria e pericolosa) senza le armi, sta l’impressionante risoluzione
della Camera dei Rappresentanti di Washington che ha indetto “una
giornata nazionale di contrizione, di preghiera e digiuno” per “chiedere
l’aiuto e la guida di Dio al fine di comprendere meglio i nostri errori e
imparare sia a comportarci meglio nella vita di ogni giorno sia a rafforzare
la determinazione di ognuno di noi di fronte alle prove che attendono la
nostra nazione”.
Come ha scritto Ernesto
Galli della Loggia è la dimostrazione solenne che dietro la scelta
americana non sta affatto la presunzione di avere Dio dalla propria parte.
Ma semmai la decisione di sottomettere a Dio tutti i propri atti chiedendo
perdono per quelli eventualmente contrari alla sua volontà. La decisione
strategica della Casa Bianca di risparmiare quante più vite umane fosse
possibile, sia di americani che di iracheni, impiegando per questo scopo le
tecnologie più avanzate, è la prova di quanto il lievito cristiano abbia
cambiato la storia umana, perfino nel suo atto più crudele e terribile: il
modo di fare la guerra.
Ed è importante notare – se si
legge tutta la risoluzione approvata e il dibattito (reperibili in internet)
– che l’ispirazione per quell’atto di preghiera e contrizione, non è venuta
solo da analoghi atti della storia americana precedente (profondamente
impregnata di cristianesimo), ma anche dalle parole e dai gesti di Giovanni
Paolo II, specialmente dalla sua richiesta – relativa al mercoledì delle
Ceneri – di digiunare e pregare per la Pace. E’ questa disponibilità a
mettersi in discussione e a emendarsi che rende “superiore” la civiltà
occidentale. Ed è una dote che viene dalla presenza del Cristianesimo. |
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Pace: «L’aspirazione alla pace», di Antonio Socci, Il Giornale, 07.04.2003 |