Pace

I nuovi terroristi


Centinaia di guerriglieri arabi, ma anche occidentali convertiti all’Islam: «Puniremo gli infedeli»


I «clandestini» della jihad sbarcano a Bagdad
 

 
di Massimo Nava ,


BAGDAD - Tunica bianca, gilet di pelle, turbante, scimitarra con borchie dorate, Robert, 20enne canadese di Winnipeg (Ontario) non va ad un ballo in costume, ma alla guerra. Convertitosi all’Islam, è arrivato a Bagdad per «difendere la sacra terra dall’aggressione degli infedeli». Sono centinaia, forse migliaia, i combattenti che stanno affluendo con ogni mezzo nella capitale irachena. «Seimila presenti, tremila in arrivo», assicura il vicepresidente Yassir Ramadan. Di questi non si sa quanti siano votati al martirio, pronti a farsi esplodere fra i soldati americani. Dagli sguardi e dalla determinazione, molti sembrano già estranei ai vivi senza essere ancora morti.

Accanto a Robert, nella hall dell’albergo dei giornalisti, ci sono guerriglieri arrivati un po’ da tutti i Paesi arabi, ma anche dal Tagikistan e persino dalla Bulgaria. Alcuni portano la fascia verde attorno alla fronte, alla maniera dei mujaheddin che combatterono in Bosnia. C’è anche una mamma, arrivata dal Libano, che vorrebbe riportarsi a casa il figlio, partito senza chiedere il permesso dei genitori.

Il volontario bulgaro è in completo jeans. Per le telecamere dell’informazione globale, una trentina di yemeniti sfila in tuta mimetica e kefiah, puntando i mitra al cielo e inneggiando a Saddam Hussein. Poi salgono su un pullman in partenza per il fronte. Ci saranno anche loro a difendere le ultime trincee attorno a Bagdad. Da Beirut, via Damasco, è arrivato un pullman carico di libanesi, palestinesi ed egiziani.
«È nostro dovere, dovere di tutti i nostri musulmani, difendere l’Iraq, perché questa è una terra sacra. Siamo pronti a combattere e a morire. Molti, in tutti i Paesi del mondo, seguiranno il nostro esempio!». Sguardo ascetico, barbetta da talebano, il guerrigliero Robert racconta la sua conversione: «Vivevo come tutti i giovani della mia età. Scuola, ragazze, spinelli. Poi ho capito quale fosse la mia strada. Bush ha tradito l’America cristiana, rappresenta soltanto il male e va combattuto».

Anni fa, uno vestito come Robert sarebbe stato probabilmente cacciato dal rigore staliniano e secolarizzato del regime di Saddam. Se questa guerra doveva cambiare la faccia dell’Iraq e la mappa del Medio Oriente, non c’è dubbio che il cambiamento sia in atto, purtroppo nella direzione opposta alle intenzioni e a ritroso nel tempo. Il guerrigliero Robert, con la sua scimitarra dorata, ricorda le miniature che raffiguravano il Saladino che sfida a duello Riccardo Cuor di Leone, re d’Inghilterra. Il progresso, dalle parti di Bagdad, sta diventando una storia di bombe umane contro bombe intelligenti.

L’Iraq, per difendersi, gioca ormai le carte che gli sono rimaste. Non potendo competere nei rapporti di forza militari, sta cercando di «vietnamizzare» il conflitto e di guadagnare tempo, nell’attesa di un prezioso alleato, il «generale» Caldo.
Il regime ha sfoderato tutte le possibili astuzie della diplomazia e della propaganda. «Non attaccare la vipera se non sei sicuro di tagliarle la testa», è un detto di Saddam, il quale, in Iraq, è padrone anche dei proverbi. Bagdad ha messo in crisi l’Onu, il diritto internazionale e la coscienza dell’Occidente con l’esposizione quotidiana di massacri di civili. Ieri Al Jazira , che in questi giorni continua a registrare record di ascolti, e non solo nel mondo arabo, ha mandato in onda più e più volte le immagini di una clinica ostetrica distrutta dalle bombe americane cadute sulla capitale in mattinata. Poteva essere una strage, ma fortunatamente l’ospedale era stato chiuso all'inizio del conflitto, proprio per motivi precauzionali. La struttura, gestita dalla Mezzaluna Rossa, l'equivalente della Croce Rossa dei Paesi islamici, secondo quanto riferito da un ostetrico che ci lavorava, Mohamed Ibrahim, funzionava solo per le urgenze. Ma in fila per sottoporsi a esami clinici c'erano molte donne, alcune delle quali sono rimaste ferite.

Per rompere l’isolamento e ritrovare alleanze, Saddam ha buon gioco ad agitare, come una scimitarra, la bandiera dell’Islam: appelli alla guerra santa, reclutamento di combattenti nel mondo arabo, rapporti più cordiali con vicini un tempo ostili e oggi spettatori interessati del conflitto. In Siria, dove si sono rifugiate molte famiglie in vista del regime, la lobby del partito Baath sta probabilmente organizzando l’afflusso di aiuti e combattenti sulla rotta che i viaggiatori di mille anni fa descrivevano sempre ombreggiata.
Via Damasco e via Amman sono arrivati centinaia di algerini, tunisini, palestinesi. Per loro, non è nemmeno necessario un visto d’ingresso.
Basta un biglietto aereo per la Siria. Fra i volontari, c’è anche il primo caduto, un palestinese residente in Danimarca. A Bagdad, dicono che le ambasciate irachene in Europa siano tempestate di richieste di visti.
La deriva islamica è evidente all’interno della società irachena, Saddam l’ha incentivata spegnendo le voci degli intellettuali laici e le insegne di casinò e discoteche. Un regime considerato in agonia, ha serrato i ranghi con il collante del patriottismo e della religione. La guerra, almeno fino ad oggi, ha allontanato prospettive di rivolte sociali, disegnate a tavolino sulle rivalse della componente sciita. I più importanti ayatollah del Paese, alcuni dei quali finiti in carcere per aver rappresentato una guida spirituale contro il regime, oggi proclamano insieme una fatwa contro l’invasione americana.
Rahim Musswi, imam sciita di una delle più importanti e suggestive moschee di Bagdad, quella sulla Via dei Califfi, dove è sepolto il terzo dei dodici imam della tradizione, spiega il consenso alla guerra santa lanciato dal raìs: «In Iraq sono sepolti sei profeti. In Iraq si trovano alcuni dei luoghi più sacri alla fede sciita. Questa terra è stata invasa e aggredita. Per difenderla con ogni mezzo non è nemmeno necessaria la parola dei saggi. È un dovere di ogni musulmano».
 

 

Pace: «Centinaia di guerriglieri arabi, ma anche occidentali convertiti all’Islam: «Puniremo gli infedeli». I "clandestini" della jihad sbarcano a Bagdad», di Massimo Nava, Il Corriere della Sera 3.4.2003

 

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