Niente sarebbe peggio di un impantanamento degli americani in Irak |
Intervista a Finkielkraut
Il popolo pacifista
europeo sogna un mondo senza politica e ha bisogno di credere in un
Impero del Male. Tipico di una psicologia adolescenziale, dice
Finkielkraut. |
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di
Rodolfo Casadei, Il popolo pacifista europeo sogna un mondo senza politica e ha bisogno di credere in un Impero del Male. Tipico di una psicologia adolescenziale, dice Finkielkraut Monsieur Finkielkraut, lei ha dichiarato la sua opposizione all’intervento militare Usa in Irak prima che esso avesse luogo. Ora che la guerra è in corso, quale posizione dovrebbero assumere le persone per esercitare la responsabilità morale e la sollecitudine per il mondo? Non siamo in grado di pesare sul corso degli avvenimenti, ma se siamo preoccupati per il mondo, dobbiamo ardentemente sperare che la campagna militare sia breve ed efficace. Niente sarebbe peggio di un impantanamento degli americani in Irak. Questo non significa approvazione dell’intervento: continuo a restare scettico di fronte alla volontà americana di risolvere con la guerra i problemi del Medio Oriente. Sono dibattuto fra due scetticismi: da una parte, ho l’impressione che l’Europa gioca con le parole quando parla di soluzione pacifica del conflitto, quando pensa di proiettare nel mondo il suo modello; dall’altra, ho paura che l’America stia giocando coi fatti, puntando tutto sulla sua potenza per liberare il Medio Oriente dal marasma cronico in cui si trova. Le manifestazioni pacifiste, al di là dell’enfasi retorica, stanno formulando una proposta politica: gli anglo-americani si dovrebbero ritirare e la crisi dovrebbe tornare nelle mani dell’Onu, incaricata di trovare la soluzione. Si tratta di una proposta realista, ingenua o ingannevole? Certamente non è una proposta
realista. L’Onu non ha i mezzi né la volontà per risolvere la crisi. è
sempre possibile nascondere armi chimiche o biologiche a degli ispettori,
per quanto numerosi siano. Il risultato della prosecuzione delle ispezioni
sarebbe stato la necessità di mantenere l’embargo sull’Irak per chissà
quanto tempo ancora. E l’embargo è una pessima cosa, anche in presenza del
programma food for oil, perché ad approfittarne è il regime, e non la
popolazione. I pacifisti, oltre che poco
realisti, sono ingenui quando concepiscono l’Onu come una Ue su scala
mondiale. Certo, l’Europa ha scelto il
negoziato contro la politica di potenza, ma questa scelta è possibile solo
perché l’Europa tutta intera è democratica, mentre le Nazioni Unite non lo
sono. Quando poi l’Europa ha esercitato un influsso determinante sulle
decisioni dell’Onu, i risultati sono stati pessimi a causa del rifiuto degli
europei di cogliere l’elemento di conflittualità delle situazioni.
Ricordiamoci Srebrenica: sono stati soldati europei sotto la bandiera dell’Onu
a consegnare la città al generale Mladic, che ha fatto quel che ha fatto. E
non si può avere fiducia in un’organizzazione come l’Onu che a Durban ha
permesso che la conferenza sul razzismo venisse sequestrata da paesi arabi e
musulmani per farne una tribuna antioccidentale e antisemita. Nemmeno fra i maitres-â-penser delle proteste lei vede ipocrisia? Quel che percepisco negli intellettuali è il ritorno in forze del pensiero binario, dell’anti-imperialismo militante. Avevamo sperato che questa metafisica sarebbe scomparsa col comunismo, ma abbiamo scoperto che il comunismo era solo una delle sue incarnazioni provvisorie. Nella loro visione il male deriva dallo sfruttamento o dalla dominazione, perciò l’America è l’Impero del Male. Uso questa espressione intenzionalmente, perché mi sembra che ci sia qualcosa di molto comico nell’emergere di questa opinione mondiale antiamericana, ostile all’Amministrazione Bush: i manifestanti denunciano con violenza il semplicismo, il manicheismo dell’Amministrazione Usa, quando sono loro i primi a ragionare in termini furiosamente manichei. Non sono capaci di contare più in là di due. Per loro tutto il male della terra procede dall’America. Cosa pensa delle modalità con cui si svolgono le manifestazioni pacifiste nel mondo e dei loro simboli? Più invecchio, e più detesto le manifestazioni in quanto tali - anche se non escludo di poter un giorno scendere in piazza per esprimere la mia indignazione o la mia contentezza. Quando vedo questa gente che sfila, quando li vedo abdicare la loro individualità per abbandonarsi all’ebrezza collettiva, quando li vedo abdicare il loro diritto alla parola per urlare degli slogan, mi sento molto a disagio, tanto più che la situazione non si presta alla scelta di campo netta, ci sono molti chiaroscuri. Si può essere contrari alla guerra ma sperare che abbia un certo esito. Nessuna di queste nuance può trovare spazio nelle attuali manifestazioni; la cosa che più detesto è la buona coscienza con cui i manifestanti invocano la legalità, il diritto internazionale contro l’atteggiamento degli americani, perché questa legalità internazionale protegge il tiranno e gli permette di non rendere conto dei suoi crimini. Forse è giusto rispettarla, ma questo rispetto dovrebbe pesare un po’ a coloro che lo invocano. Ciò che è legale non coincide necessariamente con ciò che è legittimo, e questo i manifestanti si rifiutano di riconoscerlo: si muovono come se il diritto internazionale che invocano coincidesse col diritto universale. Ma questo non è vero. Il diritto universale è il diritto che riguarda l’unità del genere umano, è il dovere di reagire ai crimini andando al di là delle frontiere statali. Tale diritto è evidentemente irriso dalla legalità internazionale. Perciò io vorrei vedere - e mi rendo conto che si tratta di un’utopia - dei manifestanti a disagio con se stessi. Ma ciò non succede mai: i manifestanti non sono mai a disagio, piuttosto seriosi, oppure entusiasti, sicuri delle loro convinzioni. E invece io credo che la situazione non si presta a questo genere di certezze. Cosa si può dire dell’atteggiamento degli europei? In Italia qualcuno ha scritto che le manifestazioni pacifiste rappresentano l’atto di nascita del "popolo europeo". Che ne pensa? É possibile, ma è molto
inquietante. Ciò significherebbe, infatti, che ciò che definisce l’Europa è
un desiderio appassionato di fuoriuscire dalla politica. E forse il popolo
europeo è questo popolo post-nazionale che appunto si riconosce nella
negazione idilliaca e felice della condizione politica dell’uomo. Il popolo
europeo è il popolo senza nemici, investito della gloriosa missione di
diffondere nel mondo intero la pace europea, una pace fondata sul negoziato,
la pazienza, la creazione di rapporti economici. In effetti la divisione
dell’Occidente si potrebbe riassumere così: da una parte l’idealismo degli
americani, che credono di poter rimodellare il mondo in un senso più
democratico per mezzo della guerra, e dall’altra parte l’idealismo europeo,
che crede di poter rimodellare, o almeno migliorare, il mondo attraverso la
diffusione di buone parole, attraverso i discorsi moralizzatori e attraverso
l’economia. Ci viene imposto di scegliere fra due sogni: il sogno della
ricreazione del mondo attraverso la guerra, e il sogno della fuoriuscita del
mondo dalla politica. |
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Pace: «Intervista a Finkielkraut. Pacifismo, trionfo da adolescenza», di Rodolfo Casadei, Tempi, Numero: 13 - 27 Marzo 2003 |