E' poi vero che da tre giorni è cominciata la guerra e il mondo non è più in pace? |
Il conflitto d'interessi dei pacifisti |
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di
Antonio Socci Ma è poi vero che da tre giorni è cominciata la guerra e il mondo non è più in pace come siamo indotti a credere vedendo decine di manifestazioni? Credo ci voglia un bel po’ di indifferenza al dolore umano per affermarlo o almeno molta disinformazione. Ho infatti qui davanti agli occhi la cartina del pianeta dove sono segnati tutti i conflitti sanguinosi in corso da anni, più o meno intermittenti. Sono una cinquantina (qualcuno ne ha contati settanta). Spesso cruentissimi, come quello sudanese che ha fatto due milioni di morti. Ma chi se ne cura? Vedete manifestazioni, appelli, iniziative anche solo paragonabili alla mobilitazione attuale contro gli Stati Uniti?
Non mi pare. Forse
quelle vittime non esistono? A quanto pare per quei poveretti, che hanno la
colpa di farsi macellare da tiranni o da gruppi armati “rivoluzionari”, non
ci sono lacrime, né slogan, né mobilitazioni. Sono così inesistenti che lo
slogan delle manifestazioni pacifiste organizzate alla vigilia del conflitto
in Iraq era “Lasciateci in pace”. Parole terrificanti, di cui qualcuno
dovrebbe vergognarsi. Si era forse in pace? E’ forse pace quella che vede
decine di popoli massacrati? E’ la pace dei cimiteri e delle fosse comuni. A
me, quella pace là, ripugna. Certo, quelli ammazzati lontano dall’Iraq sono
morti che non fanno notizia. Ma sono morti di serie B? Quei bambini, quelle
donne, sono esseri umani di serie B? Se fossero vittime degli “amerikani” o
degli israeliani, allora sì che farebbero notizia e peserebbero. Perché
per la maggior parte dei pacifisti e dei mass media sembra che esistano solo
due conflitti, quello Usa-Iraq e quello Israele-Palestina. Perché sul resto
l’indifferenza sembra regnare sovrana?
Non riesco a darmi una
risposta accettabile. E così di colpo – guardando la mobilitazione pacifista
attuale - tutto
acquista un insopportabile odore di ideologia.
Ecco spiegato perché
tante manifestazioni pacifiste, occupazioni di scuole, documenti e
appelli, invece di esprimere non-violenza trasudano odio e violenza
ideologica
(ovviamente anti-americana).
Non vorrei essere
ingiusto con i tanti che genuinamente hanno orrore della guerra e vanno in
piazza a dirlo. Ce ne sono e vanno rispettati. Ma in altri e in certi
organizzatori quella indignazione selettiva, parziale, ha uno spiacevole
odore. Come vogliamo chiamarlo: menzogna? Insensibilità al dolore? Calcolo?
Cinismo? So bene che tante persone oggi inalberano la bandiera della pace in
buona fede. Si tratta di bravissime persone seriamente angosciate per le
inevitabili sofferenze e le morti che anche il conflitto iracheno porta con
sé. Ma si tratta anche di persone molto disinformate. Che ignorano la
quantità di altre guerre che insanguinano il pianeta e che lasciano tutti
indifferenti. Tutti – guarda caso – eccetto gli Stati Uniti che in genere,
pur fra mille errori, talora gravi, sono la sola potenza mondiale che alla
fine interviene per ristabilire la pace, la sicurezza, il rispetto dei
diritti umani. Ripeto: gli Stati Uniti. Quasi mai l’Onu (che ha fatto errori
enormi) e tanto meno l’Europa. Perfino per metter fine ai massacri della
Bosnia, o in Kosovo così come a Timor Est, sono dovuti intervenire gli
americani. Del resto l’intervento in Iraq (nelle intenzioni della Casa
Bianca) dovrebbe aprire finalmente la strada alla soluzione di due antiche
tragedie, quella del conflitto Israele-Palestina e quella del popolo curdo.
Gli europei hanno sì goduto di
mezzo secolo di pace, ma conquistataci e regalataci da migliaia di giovani
vite americane. Gli europei amano riempirsi la bocca della parola “pace”. Ma
perché possono contare sul contribuente americano che paga le tasse e
finanzia l’esercito americano e quindi la sicurezza anche nostra, europea.
L’ha ricordato – e gliene va dato atto – lo stesso Romano Prodi in
questi giorni, aggiungendo che non si può costruire l’Europa “contro” gli
Stati Uniti. Ed è curioso che non abbia fatto notizia la sua insolita
posizione. Forse perché avrebbe diviso il centrosinistra italiano. Forse
perché si sarebbe avvertita la consonanza con Berlusconi che ha avuto il
merito e la lungimiranza politica di aver lavorato per unire (Europa e
America innanzitutto) laddove quasi tutti hanno lavorato per dividere. Ed è
stato un lavoro che ha preparato il terreno per il documento unitario del
recente vertice Ue.
Ma, per tornare alla “pace”
che avremmo perduto solo tre giorni fa, provo a dare qualche flash da
agenzia per mostrare di che lacrime grondi e di che sangue, quella “pace”
lì. Solo notizie sparse degli ultimi giorni, precedenti la guerra in Iraq:
60 morti a Warri, in Nigeria, per uno dei tanti conflitti, più di 10
dispersi nello Sri Lanka per un attacco dei Tamil, 3 morti ammazzati dai
guerriglieri nelle Filippine, 7 operatori umanitari uccisi in Costa
d’Avorio, 20 morti in Cecenia, altri 10 in Somalia e vari civili in Congo,
più di 20 in Burundi, 18 in Algeria.
A questi andrebbero aggiunti i
“fronti” da cui le notizie di massacri neanche trapelano (per esempio il
regime comunista della Corea del Nord che però fa notizia per le sue minacce
nucleari) o gli altri fronti di orrore e violenza come Cuba e la Cina dove
sono in atto dure repressioni, ma nell’indifferenza dell’opinione pubblica.
Indifferenza che può arrivare
talora perfino all’intolleranza verso chi fa conoscere queste “guerre”. Non
ci avrei creduto se io stesso non ne fossi stato un diretto testimone. Dopo
aver denunciato da queste colonne (e grazie alla direzione di questo
giornale che me ne ha dato la possibilità) le tante violenze e i massacri
contro i cristiani che vengono perpetrati sotto molti regimi, l' anno scorso
– su proposta di un editore – ho dedicato all’argomento un pamphlet in cui
fra l’altro fornivo statistiche agghiaccianti. Statistiche peraltro
incontestabili essendo riprese dalla autorevolissima World Christian
Encyclopedia, da cui emergeva specialmente quella relativa all’anno 2000
(circa 160 mila morti a causa della fede). Non ho fatto che il mio dovere di
giornalista, che è quello di informare.
Ebbene, gli unici veri
attacchi pesanti mi sono arrivati da un certo ambito clericale che mi ha
accusato di voler così fomentare scontri di civiltà. Raccontare queste
tragedie di cristiani perseguitati, dar voce alle vittime, far conoscere
stragi e violenze subite da tanti poveretti indifesi, sarebbe un atto di
intolleranza. Coloro che mi hanno mosso questa accusa si danno un gran da
fare oggi come clerico-pacifisti. Li vedo impegnatissimi a marciare.
Sventolare bandiere della pace e lanciare slogan. Tutti e sempre contro gli
Stati Uniti. Proprio quegli americani che – guarda caso – hanno realizzato e
sostengono le poche iniziative di sostegno e di protezione di quei
perseguitati di cui mi sono occupato. |
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Pace: «Il conflitto d'interessi dei pacifisti», di Antonio Socci, Il Giornale, 23.3.2003 |