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di Sandro
Magister,
ROMA – In Iraq è guerra. Una guerra fortemente contrastata
fino all’ultimo dalla Chiesa cattolica. Contrastata ma mai condannata,
stando alle parole della sua autorità suprema, il papa.
Sull’assenza di questa condanna, i media non hanno fatto chiarezza. Quasi
sempre hanno rilanciato le parole di Giovanni Paolo II come fossero un
anatema assoluto contro questa guerra, se non addirittura contro tutte le
guerre.
Ma di questa condanna non c’è traccia in nessuno dei frequenti, incalzanti
discorsi nei quali il papa ha invocato la pace in Iraq.
Per verificare, più sotto ci sono i discorsi originali di Giovanni Paolo II
sul tema: a partire dall’udienza generale di mercoledì 19 marzo e risalendo
a ritroso fino al 1 gennaio di quest’anno, giornata tradizionalmente
dedicata dalla Chiesa alla pace nel mondo.
In tutti i suoi interventi il papa predica la pace come un imperativo
assoluto, orizzonte ineludibile di ogni decisione dei governi e dei singoli.
Eppure mai si spinge a definire la guerra in Iraq «un crimine contro la
pace», come invece, ad esempio, hanno fatto due suoi collaboratori, gli
arcivescovi Jean Louis Tauran e Renato Martino.
Le parole del papa si distinguono per l’impronta intensamente religiosa.
Rari e misuratissimi sono i passaggi da lui dedicati alle modalità con le
quali costruire concretamente la pace nel Golfo. E hanno la forma del
“discorso sul metodo”, non del precetto.
È di metodo, ad esempio, l’avvertimento che Giovanni Paolo II ha dato agli
ambasciatori di tutto il mondo il 13 gennaio:
«Non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il
bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose
condizioni».
Ed è anch’esso un richiamo a decidere responsabilmente il monito
dell’Angelus del 16 marzo:
«Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti
quanto è grande questa responsabilità».
In questi come in altri passaggi, il papa non esclude mai la guerra in Iraq
dall’arco delle decisioni praticabili e giuste.
Ma affida il giudizio alla coscienza e all’intelligenza di ciascuno. Il papa
si mostra intransigente solo sull’orizzonte ultimo della pace, non sulle vie
per arrivarvi. E la pace da lui predicata è essenzialmente quella «che
viene da Dio».
Una conferma di questa linea papale è lo scontento che essa ha prodotto tra
i pacifisti cattolici.
Un buon numero di essi, in Italia, hanno indirizzato a Giovanni Paolo II una
lettera aperta per dirgli, testualmente:
«Santità, le chiediamo un'affermazione semplice e univoca, che non lasci
scappatoie per gli incisi e i distinguo».
Segno che a giudizio di questi pacifisti il no del papa alla guerra non è
radicale – senza se e senza ma – come da loro voluto.
Tra i firmatari della lettera vi sono il priore dell’abbazia benedettina
camaldolese di Fonte Avellana, Alessandro Barban, il presidente di “Beati i
costruttori di pace”, don Albino Bizzotto, il vicedirettore di “Famiglia
Cristiana”, Angelo Bertani, il missionario Alex Zanotelli, i cultori della
nonviolenza Enrico Peyretti e Massimo Toschi, preti, suore, teologi di fama.
Ed ecco qui di seguito
una fedele antologia degli interventi di Giovanni Paolo II sulla guerra del
Golfo, con i link ai discorsi integrali:
» Udienza generale del 19 marzo
2003
San Giuseppe, patrono universale della Chiesa, vegli sull’intera comunità
ecclesiale e, uomo di pace qual era, ottenga per l’intera umanità,
specialmente per i popoli minacciati in queste ore dalla guerra, il prezioso
dono della concordia e della pace.
» Angelus del 16 marzo 2003
Desidero rinnovare un pressante appello a moltiplicare l'impegno della
preghiera e della penitenza, per invocare da Cristo il dono della sua pace.
Senza conversione del cuore non c'è pace.
I prossimi giorni saranno decisivi per gli esiti della crisi irakena.
Preghiamo, perciò, il Signore perché ispiri a tutte le parti in causa
coraggio e lungimiranza.
Certo, i responsabili politici di Baghdad hanno l'urgente dovere di
collaborare pienamente con la comunità internazionale, per eliminare ogni
motivo d'intervento armato. A loro è rivolto il mio pressante appello: le
sorti dei loro concittadini abbiano sempre la priorità!
Ma vorrei pure ricordare ai paesi membri delle Nazioni Unite, ed in
particolare a quelli che compongono il consiglio di sicurezza, che l’uso
della forza rappresenta l'ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra
soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa Carta dell’Onu.
Ecco perché - di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare
internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l'equilibrio
dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli
estremismi che potrebbero derivarne - dico a tutti: c’è ancora tempo per
negoziare; c'è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per
comprendersi e per continuare a trattare.
Riflettere sui propri doveri, impegnarsi in fattivi negoziati non significa
umiliarsi, ma lavorare con responsabilità per la pace [...].
Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale
ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più
giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: "Mai più la guerra!",
come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare
tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo.
Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera
e penitenza!
» Angelus del 9 marzo 2003
Come suggerisce il Vangelo odierno (Mc 1,12-15), durante i quaranta giorni
della Quaresima i credenti sono chiamati a seguire Cristo nel "deserto", per
affrontare e vincere con Lui lo spirito del male. Si tratta di una lotta
interiore, da cui dipende la concreta impostazione della vita. E' infatti
dal cuore dell'uomo che scaturiscono le sue intenzioni e le sue azioni (cfr
Mc 7,21); è pertanto solo purificando la coscienza che si prepara la via
della giustizia e della pace, sia sul piano personale che in ambito sociale.
Nell'attuale contesto internazionale, si avverte più forte l'esigenza di
purificare la coscienza e convertire il cuore alla pace vera. Al riguardo, è
quanto mai eloquente l'icona di Cristo che smaschera e vince le menzogne di
Satana con la forza della verità, contenuta nella Parola di Dio. Nell'intimo
di ogni persona risuonano la voce di Dio e quella insidiosa del maligno.
Quest'ultima cerca di ingannare l'uomo seducendolo con la prospettiva di
falsi beni, per distoglierlo dal vero bene, che consiste proprio nel
compiere la volontà divina. Ma la preghiera umile e fiduciosa, rafforzata
dal digiuno, permette di superare anche le prove più dure, e infonde il
coraggio necessario per combattere il male con il bene. La Quaresima diviene
così un tempo di proficuo allenamento dello spirito.
» Angelus del 2 marzo 2003
Quest'anno, intraprenderemo l'itinerario penitenziale verso la Pasqua con un
più forte impegno di preghiera e di digiuno per la pace, messa in forse da
crescenti minacce di guerra. Già domenica scorsa ho avuto modo di annunciare
quest'iniziativa, che intende coinvolgere i fedeli in una fervorosa
preghiera a Cristo, Principe della Pace. La pace, infatti, è dono di Dio da
invocare con umile e insistente fiducia. Senza arrendersi dinanzi alle
difficoltà, occorre poi ricercare e percorrere ogni strada possibile per
evitare la guerra, che sempre porta con sé lutti e gravi conseguenze per
tutti.
» Angelus del 23 febbraio 2003
Da mesi la comunità internazionale vive in grande apprensione per il
pericolo di una guerra, che potrebbe turbare l'intera regione del Medio
Oriente e aggravare le tensioni purtroppo già presenti in quest'inizio del
terzo millennio. È doveroso per i credenti, a qualunque religione
appartengano, proclamare che mai potremo essere felici gli uni contro gli
altri; mai il futuro dell'umanità potrà essere assicurato dal terrorismo e
dalla logica della guerra.
Noi cristiani, in particolare, siamo chiamati ad essere come delle
sentinelle della pace, nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Ci è chiesto,
cioè, di vigilare, affinché le coscienze non cedano alla tentazione
dell'egoismo, della menzogna e della violenza.
Invito, pertanto, tutti i cattolici a dedicare con particolare intensità la
giornata del prossimo 5 marzo, Mercoledì delle Ceneri, alla preghiera e al
digiuno per la causa della pace, specialmente nel Medio Oriente.
» Angelus del 9 febbraio 2003
In quest'ora di preoccupazione internazionale, tutti sentiamo il bisogno di
rivolgerci al Signore per implorare il grande dono della pace. Come ho
rilevato nella Lettera apostolica ‘Rosarium Virginis Mariae’, "le difficoltà
che l'orizzonte mondiale presenta in questo avvio di nuovo millennio ci
inducono a pensare che solo un intervento dall'Alto [...] può far sperare in
un futuro meno oscuro" (n. 40). Numerose iniziative di preghiera si svolgono
in questi giorni in varie parti del mondo. Mentre le incoraggio di cuore,
invito tutti a prendere in mano la corona per invocare l'intercessione della
Vergine Santissima.
» Discorso al corpo diplomatico
del 13 gennaio 2003
No alla guerra! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una
sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la
solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni
dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. Dico questo
pensando a coloro che ripongono ancora la loro fiducia nell’arma nucleare e
ai troppi conflitti che tengono ancora in ostaggio nostri fratelli in
umanità. A Natale, Betlemme ci ha richiamato la crisi non risolta del Medio
Oriente dove due popoli, quello israeliano e quello palestinese, sono
chiamati a vivere fianco a fianco, ugualmente liberi e sovrani, rispettosi
l’uno dell’altro. Senza dover ripetere ciò che dicevo l’anno scorso in
questa stessa circostanza, mi accontenterò oggi di aggiungere, davanti al
costante aggravarsi della crisi mediorientale, che la sua soluzione non
potrà mai essere imposta ricorrendo al terrorismo o ai conflitti armati,
ritenendo addirittura che vittorie militari possano essere la soluzione. E
che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle
popolazioni dell’Iraq, terra dei profeti, popolazioni già estenuate da più
di dodici anni di embargo? Mai la guerra può essere considerata un mezzo
come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le nazioni. Come
ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto
internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di
assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di
ben rigorose condizioni, nè vanno trascurate le conseguenze che essa
comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari.
» Angelus del 1 gennaio 2003
Come non esprimere ancora una volta l'auspicio che, da parte dei
responsabili, si faccia tutto il possibile per trovare soluzioni pacifiche
alle molte tensioni in atto nel mondo, in particolare nel Medio Oriente,
evitando ulteriori sofferenze a quelle popolazioni già tanto provate?
Prevalgano la solidarietà umana e il diritto!
» Omelia del 1 gennaio 2003
Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest'anno rievoca
l'enciclica ‘Pacem in Terris’, nel quarantennio della sua pubblicazione.
[...] Quando fu scritta nubi minacciose si profilavano all'orizzonte
mondiale, e sull'umanità pesava l'incubo di una guerra atomica. Il mio
venerato predecessore [...] indicò con forza "la verità, la giustizia,
l'amore e la libertà" come i "quattro pilastri" su cui costruire una pace
durevole. Il suo insegnamento rimane attuale. [...] Di fronte agli odierni
conflitti ed alle minacciose tensioni del momento, ancora una volta invito a
pregare affinché siano ricercati "mezzi pacifici" di composizione ispirati
da una "volontà di intesa leale e costruttiva", in armonia con i principi
del diritto internazionale.
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