Pace |
Le tentazioni di
Bush jr |
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di Vittorio E. Parsi Il Vaticano prosegue i suoi sforzi per cercare di scongiurare un conflitto che fino all'ultimo momento resta pur sempre evitabile. Oggi il cardinal Pio Laghi consegnerà al presidente Bush una lettera personale del Papa, nella quale Karol Wojtyla perora ancora una volta la causa della pace, illustrando il punto di vista della Chiesa cattolica, ma dando conto anche del perché questa opzione non porti vantaggio ad alcuno. Neppure agli Stati Uniti. La posizione della Santa Sede e quella di Washington sono note e sarebbe ingenuo attendersi da questa visita esiti immediatamente miracolosi. E però la Casa Bianca ha già fatto sapere che "il presidente è ansioso di salutare e ricevere l'emissario papale". Pio Laghi è un vecchio amico della famiglia Bush, che conosce dagli anni '80, e la sua visita servirà innanzitutto a rasserenare gli animi, dopo quel certo imbarazzo che è calato sui rapporti tra Amministrazione e Vaticano a seguito delle rudi parole del portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer, circa il fatto che il presidente non si sarebbe "fatto condizionare dalle parole del Pontefice". Il cardinal Laghi sarà quindi accolto come un amico che porta l'appello di un Papa che è a sua volta un amico degli Stati Uniti e che gode (ricambiandola) della stima del presidente. Nessuno conosce il contenuto preciso della missiva papale, ma forse non è un azzardo ipotizzare che in essa il Papa insisterà su un tema a lui particolarmente caro, un tema per di più, tale da poter essere valutato e soppesato senza pregiudiziale ostilità dal presidente Bush, e non intriso di quell'antiamericanismo di pelle che spesso copre le pur nobili idealità di tanti che si mobilitano per la pace. Nessun nuovo ordine internazionale che voglia durare può essere fondato solo sul ricorso alle armi. Era questa la convinzione del Papa già nel 1990-91, quando egli si oppose a una guerra che pure era perfettamente legale e legittima, in termini giuridici e politici, ma che si proponeva anche di fondare un “nuovo ordine mondiale”. Allora il Papa ammonì che il successo epocale della sconfitta del comunismo meritasse che il nuovo ordine non venisse costruito solo sulla base della forza e delle armi (ancorchè, in quel caso, il loro impiego fosse ineccepibile in termini giuridici e politici). Oggi
Karol Wojtyla non sembra aver cambiato idea. Per quanto lecite e
condivisibili siano le preoccupazioni di Bush per la sicurezza dei suoi
concittadini, l'isolamento degli Stati Uniti all'interno delle assisi
internazionali rischia di generare l'impressione che l' America stia
dimenticando la grande tradizione della sua politica internazionale: che
forza e diritto devono sempre procedere congiunte, attraverso l' esercizio
di una leadership responsabile. L’appello pontificio, nella sobrietà e nella
riservatezza dello stile e del mezzo, e nella solidarietà del messaggero,
potrà anche giovarsi di un timido segnale positivo che per la prima volta
proviene dallo scacchiere della crisi. Anche in virtù della fermezza
dimostrata da Washington e dai governi alleati, Saddam sembra iniziare
quella cooperazione attiva cogli ispettori e quel disarmo che costituiscono
la con dizione irrinunciabile perché il dispositivo militare continui ad
essere l’efficace strumento di pressione che finora ha rappresentato, e non
si trasformi in una inesorabile macchina di guerra. Concedere ancora qualche
tempo alla pace, potrebbe così non avere l’apparenza nè il significato di
una resa, ma sarebbe un gesto di vigile pazienza e di autentica ritrovata
leadership globale da parte di Washington. |
Pace:
«Le tentazioni di Bush jr. La lealtà del Vaticano», di Vittorio E. Parsi,
Avvenire, 5 Marzo 2002