«Non pacifista ma pacificatrice»
 

L'articolo di fondo dello stesso giornale, edito dalla Conferenza Episcopale Italiana, respingeva il ringraziamento giunto da Baghdad per le manifestazioni pacifiste di questi giorni, che hanno visto una larga partecipazione cattolica. 'Quel grazie - vi si legge- va respinto ai mittenti iracheni, in quanto responsabili (o corresponsabili) di una delle dittature più occhiute e feroci e ostinate del nostro tempo' e, più avanti 'si deve esigere che il disarmo sia completo, immediato, certificabile'.

   Pare di comprendere che la Chiesa, che della mobilitazione pacifista è stata un motore fondamentale, stia bene attenta a non farsi coinvolgere nell'interpretazione antiamericana, e tantomeno filo-irachena, che molti le hanno voluto dare.

   Sul piano dottrinale i cristiani non sono e non possono essere soggetti politici. Il sublime insegnamento 'ama il tuo nemico' è per definizione il contrario della politica, che si definisce nella dialettica amico-nemico, e non solo per Carl Schmitt. La Santa Sede (non per caso Sodano usa questo termine e non quello di Chiesa) invece esercita una funzione politica assai accorta e realistica, che non vuole farsi iscrivere in un pacifismo a senso unico.

   Il Pontefice non ha parlato prima delle manifestazioni e, anche dopo, ha lasciato su questi temi la parola al capo della sua diplomazia. Ha invece chiesto ai 'popoli europei uniti sui valori e memori del loro passato', che include la grande tradizione cristiana, di interpretare il loro ruolo 'nella promozione della giustizia e della pace'. E' noto che chi si oppone con maggiore tenacia a questa richiesta sono i francesi, che pure hanno usato per la loro campagna antiamericana le posizioni della Santa Sede, che però non sono 'usa e getta'.