Pace |
In margine alla marcia delle Pace del 15 febbraio 2003 |
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di Massimo Teodori, Non c'è dubbio che a Roma abbia manifestato una massa ingente di persone, così come in altre città, specialmente europee. Non c'è dubbio che il semplice (e semplicistico) slogan "per la pace contro la guerra" riesca a mobilitare molto più di qualsiasi altro tema Non c'è dubbio che l'ostilità pregiudiziale contro Berlusconi che appoggia Bush, e contro Bush perché è il pendant di Berlusconi, rappresenti una molla unificante della minoranza vociferante, per altri versi variegata e disarticolata. Ciò detto, tuttavia, occorre chiedersi cosa questo significhi, dove porti e a chi giovi. E' ormai provato che la percezione della minaccia dei terrorismo islamista e della destabilizzazione degli Stati-canaglia sia avvertita molto poco in Italia e in Europa in confronto agli Stati Uniti che l'hanno sperimentata direttamente sulla loro pelle. E' per ciò che Francia e Germania sono disinteressate alla "guerra al terrorismo" e sono pronte a disimpegnarsi dalle responsabilità internazionali. Ed è ancora per ciò che le masse pacifiste scendono a cuor leggero in piazza, gratificate da una comunanza umana a buon mercato che non si pone problemi. E questa la ragione per cui l'unità di massa realizzata ieri a San Giovanni è vuota di proposte, quindi politicamente debole e funzionale alle aspettative di Saddam Hussein. Nella fiumana di popolo che allegramente marciava c'era di tutto. I dirigenti dei partiti di centrosinistra e dei sindacati che sono scesi in piazza per non perdere i contatti con il girotondismo, ed i cosiddetti "disobbedienti" antiglobalisti pronti a passare alle vie di fatto. Gli interventisti internazionalisti disposti ad usare la mano forte contro Saddam a condizione che sia autorizzato dalle Nazioni Unite, e gli infantili pacifisti ideologici alla Gino Strada la cui Weltanschauung è semplice, "Bush è un terrorista come Bin Laden". I cattolici che applicano in maniera formalistica e strabica alla politica il precetto morale "non uccidere", e coloro che giustificano i kamikaze e i terroristi contro gli Stati Uniti ed Israele in quanto sarebbe in corso una guerra tra il demonio occidentale ricco e oppressore e l'angelo terzomondista povero e oppresso. I vetero-marxisti che continuano a ripetere che la guerra è voluta dagli americani per sete di dominio sul petrolio, e gli inconsolabili vedovi di un'Europa che - purtroppo - non c'è e non c'è mai stata in politica estera e di difesa. Il coro di tante voci così stonate tenuto insieme dal solo nobile spartito No War ignora tuttavia l'unico interrogativo che assilla l'umanità: "Che fare con Saddam Hussein? Il despota iracheno non è un caso qualsiasi analogo a quello di tanti dittatori sparsi nei tre continenti e di altri Stati canaglia che fanno la voce grossa ma sono impotenti. il sanguinario Rais destabilizza da vent'anni l'intera aria mediorientale aggredendo gli Stati islamici confinanti (Iran e Kuwait), massacrando i suoi concittadini (i curdi al Nord e gli sciiti al Sud), minacciando a destra e a manca con armi biochimiche, rifornendo i terroristi di ogni latitudine e ed impedendo con l'influenza finanziaria e petrolifera che si giunga a una qualche soluzione del conflitto israelo-palestinese. Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e la comunità internazionale per anni hanno tentato di ridurre a ragione il sanguinario dittatore senza però riuscire a fermarlo se non quando è stata usata la forza (guerra del Golfo e bombardamento israeliano della centrale nucleare). Le armi della diplomazia e della politica, gli ammonimenti morali, le diffide internazionali e le operazioni di intelligence si sono dimostrati, da soli, del tutto inefficaci. Anche oggi gli ispettori, per quel tanto che sono riusciti ad andare avanti tra mille difficoltà, lo hanno potuto fare solo grazie alla minaccia deterrente delle armi statunitensi e britanniche accampate ai confini.
Tutti i governi ragionevoli - ed in prima fila l'italiano -
preferirebbero risolvere la crisi irachena senza la forza. Ma nessuna
persona ragionevole può auspicare che il caso Saddam rimanga aperto
all'infinito con tutte le conseguenze di sangue che esso potrà provocare in
futuro come ha provocato in passato. Questo è l'interrogativo centrale a cui
il movimento pacifista non vuole, non può o non sa dare una risposta, con
gioia di Saddam Hussein che si compiace della retorica della pace. L'unico
linguaggio che il Dittatore riconosce è a forza, e pertanto sa bene che le
dispute fasulle su guerra e pace indeboliscono il mondo libero e rafforzano
la sua capacità di resistenza alle pressioni internazionali. |
Pace:
«Sotto la folla il nulla», di Massimo Teodori, Il Giornale 16.2.2003