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di Antonio Socci
Nessuna
autorità morale oggi al mondo è paragonabile a quella di Giovanni Paolo II e
perciò pesa il suo pronunciamento per la pace ripetuto anche ieri. Ma di che
genere è questo pronunciamento? Il Papa è forse assimilabile ai
pacifisti? No. Lui stesso in un paio di occasioni ha voluto specificare
di non essere un pacifista. Ci sono almeno tre ragioni che scavano un
abisso fra il Santo Padre e i pacifisti, anche i cosiddetti “pacifisti
cattolici” a cui di recente Ernesto Galli della Loggia ha posto una serie di
obiezioni rimaste senza risposta.
Innanzitutto i vocianti “partigiani della pace” – per riesumare
l’antica formula sovietica – se ne infischiano delle vittime e si mettono in
marcia sempre e solo per criminalizzare gli Stati Uniti a cui hanno ogni
volta preferito, implicitamente, con i fatti, qualunque tiranno. Non così il
Papa. Quindici anni fa, durante la rovente crisi dei missili fra Nato e
Patto di Varsavia (il braccio di ferro che poi portò, per dissanguamento, al
crollo del comunismo), il 27 febbraio 1985, il leader sovietico Andrej
Gromyko si presentò in Vaticano: “Giovani Paolo II capì… e rifiutò di
essere coinvolto in una campagna antiamericana”, scrive il suo biografo
George Weigel.
In secondo luogo per il Papa – lo dice da decenni e lo ha ripetuto anche nel
recente documento su cattolici e politica, facendo insorgere Massimo
Cacciari – gli attacchi alla vita umana, fin dal concepimento, sono i
primi attentati alla pace. Lo diceva a ogni angolo del pianeta anche
Madre Teresa di Calcutta ed è un giudizio che fa venire l’orticaria ai
pacifisti nostrani, per i quali la vita umana sembra essere sacra solo
qualche volta.
In terzo luogo – ed è uno sviluppo del punto precedente – da anni, anche in
documenti solenni, il
Papa va proclamando che guerra non sono (solo) i carri armati, ma ogni
violazione dei più elementari diritti umani.
Fin dall’inizio del suo pontificato affermò: “Il rispetto incondizionato ed
effettivo dei diritti imprescrittibili e inalienabili di ognuno è la
conditio sine qua non perché la pace regni in una società. Rispetto a
questi diritti fondamentali, tutti gli altri sono in qualche modo derivati e
secondari”.
Ne consegue che non è pace quella in cui regimi illiberali o tiranni
sanguinari possono impunemente calpestare i fondamentali diritti delle
persone. Non mi pare che i pacifisti si mobilitino per questo o comunque non
si è mai notato l’ardore che mettono nel puntare il dito sugli Usa: per loro
la pace è la situazione in cui aerei e carri armati Usa sono inattivi.
Qualunque violenza venga perpetrata su esseri umani innocenti da regimi
vergognosi viene chiamata pace purché gli americani non combattano.
Come notò André Glucksmann, cogliendo l’abissale distanza che
opponeva il Papa ai pacifisti, “il Papa formula il principio fondamentale
della democrazia europea, non c’è pace senza libertà”. Una pace seria si
ha battendosi per le libertà e il rispetto dei diritti umani. Dovunque.
C’è una clamorosa verifica storica che lo dimostra. Lo studioso americano
Rudolph J. Rummel ha dimostrato che nel corso del Novecento la più
grande ecatombe di vite umane non è stata prodotta dalle guerra, ma da
repressioni e genocidi che regimi totalitari e organizzazioni terroristiche
hanno perpetrato sulle popolazioni civili inermi. Se infatti 40 milioni sono
i soldati morti nelle guerre del Novecento, i civili massacrati in genocidi
sono circa 170 milioni, più del quadruplo. La principale causa di morti
violente dunque non è la guerra ma il “democidio”. Ed è anche la maggior
minaccia per la pace: non è un caso che il Papa abbia iniziato la recente
lettera per la Giornata mondiale della pace proprio ricordando l’immane
macello di cristiani perpetrato nel XX secolo dalle persecuzioni religiose.
Contro cui i pacifisti non profferiscono parola.
La quasi totalità
delle vittime dei “democidi” è stata fatta da regimi totalitari. Secondo
Rummel “non esiste alcun caso di Stato liberaldemocratico che ha sterminato
in massa i propri cittadini”. O comunque - direi - tendono a essere assai
più difficile simili episodi di barbarie ed esistono mille mezzi legali per
denunciare o impedire il crimine.
Inoltre Rummel ritiene
che la liberaldemocrazia renda quasi impossibile anche la guerra. Infatti
nel XX secolo sono entrate in conflitto 198 coppie di paesi non democratici
e sono scoppiati 155 conflitti fra paesi democratici e non democratici. Ma
due democrazie liberali non si sono mai combattute fra di loro con le armi:
“meno due Stati sono liberaldemocratici, più la guerra diventa probabile”.
La democrazia liberale tende a preservare la vita, secondo Rummel.
Cosicché chi veramente volesse la pace non dovrebbe gridare “pace, pace,
pace”, ma “libertà, diritti umani, sviluppo”. La libertà è un valore
superiore alla pace, perché la contiene. Tanto è vero che nessuno si
sognerebbe di affermare che gli americani nel 1945 hanno fatto male a venire
a combattere e morire per la nostra libertà. Quella loro guerra di
liberazione è ciò che ha permesso all’Europa di vivere mezzo secolo di pace.
I pacifisti di Monaco 1938 invece ci avrebbero scaraventato in una Europa
nazistizzata che era il contrario della pace: era l’orrore.
Conclude Rummel: “oggi possiamo estendere l’idea della pace attraverso
l’affermazione della democrazia liberale anche per proteggere la libertà dal
democidio dei governi”. Mi sembra vada proprio in questo senso la posizione
sempre ribadita dal Papa. Ma contiene una sfida in più proprio alle
democrazie liberali: la sfida per la salvaguardia della dignità e della vita
umana fin dal concepimento e fino alla fine, venendo meno la quale viene
minata alla base la moralità della liberaldemocrazia.
Alla fine dunque il
Papa ci appare tutt’altro che pacifista. E’ anzi un Papa in guerra: contro
ogni attentato alla dignità degli esseri umani e ogni nichilismo.
Un Papa ben consapevole dell’immane pericolo rappresentato da organizzazioni
e regimi terroristici che devono essere neutralizzati perché, disponendo di
armi micidiali, potrebbero perpetrare stragi immani. Ma anche un papa
realista che s’interroga sulle conseguenze cupe di un intervento armato e
sulle inevitabili numerose vittime che comporterebbe. In conclusione un papa
che difende i diritti di ogni essere umano. Una voce disarmata che parla
alle coscienze di tutti.
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