Condizioni per il dialogo
A chi gli chiede se sia possibile la pace in Terra Santa, il rabbino
Cohen dà una risposta che lui stesso definisce «chiara, univoca e
assoluta. Nonostante l’attuale situazione di massacri, di odio
spaventoso e di violenze che caratterizza il nostro Paese, la pace è
possibile». Ma ci sono due condizioni fondamentali che devono essere
soddisfatte. «La prima, la più importante, è che entrambe le parti
coinvolte nell’attuale conflitto vogliano davvero la pace. La seconda,
forse ancora più importante, è che entrambe le parti comprendano e si
rendano conto di quelli che sono i motivi profondi e le radici
storiche e religiose della presenza della controparte in Terra Santa.
Occorre comprendere le ragioni, i sentimenti della controparte che ci
sta davanti, occorre comprendere quello che è il loro amore per la
Terra Santa e l’ammirazione per la città santa di Gerusalemme».
Occorre un dialogo che non è ragionevole definire impossibile perché
«il fatto che Gerusalemme sia la città santa per tutti noi e che
questa terra sia la terra santa anche per i cristiani e per i
musulmani non è comunque motivo che giustifichi un terribile
massacro». La storia, spesso impugnata da alcuni leader musulmani ed
ebrei per giustificare l’eliminazione delle cosiddette controparti
come unica via di soluzione, dice anzi che non solo è possibile il
dialogo, ma addirittura la convivenza.
«Dopo
la conquista musulmana di Gerusalemme - questo è un fatto storico
dimostrato, dice il rabbino Cohen - esisteva una sinagoga ebraica, sul
monte del tempio, dove si recitavano preghiere ebraiche. E al contempo
si evitava in ogni modo di sottrarre un solo centimetro di territorio
alla moschea santa di Al Aqsa. Questo è durato per 400 anni». Perché
oggi c’è chi vuole convincere il mondo che la convivenza non sia
possibile?
Umanizzare Dio
«Quello che noi tutti ci auguriamo è poter sviluppare un modello a
partire dall’esperienza cattolica-cristiana». Il professor Qleibo
stupisce tutti con questa affermazione, ma buttato il sasso non ritira
la mano e prosegue: «Mi riferisco al Rinascimento in cui si è stati in
grado di umanizzare Dio: Dio, la Sua bellezza, un’idea presa a
prestito dai classici greci. L’idea della forma ancora non c’è nella
nostra tradizione, quello che noi abbiamo è una religione che è
diventata una giurisprudenza, una religione moralizzante che predica,
una sintassi di riti. Il cristianesimo ci ha offerto una forma di
umanesimo che si applica appunto nel mondo cristiano». Questa forma di
umanesimo può segnare la strada della riconciliazione, ma nel contempo
- verrebbe da dire al professore - costringerebbe il mondo islamico ed
ebraico a una rivoluzione. Eppure: «L’unica soluzione per la pace è
vedere il divino e l’umano nell’altro perché accettando Dio e l’altro
possiamo gettare le fondamenta per una soluzione politica: senza fede
nell’altro, senza fiducia nell’altro è impossibile conseguire la
pace».
Educare alla pace
«Qual è la parte che prevarrà alla fine - si chiede il rabbino Cohen
-? Gli estremisti che non sono tolleranti, che credono in una guerra
santa, oppure chi comprende che la violenza non è una soluzione e
sostiene che si debba porre fine al massacro, alla rivendicazione e
agli atti terroristici che colpiscono gli innocenti?». Dalla risposta
a questi interrogativi dipende il futuro della Terra Santa. Ma
immediatamente segna anche il presente di chi vuole porre fine alla
violenza e «ritiene che si debba educare entrambe le parti in causa
affinché i nostri figli cessino di odiarsi e comincino a comprendersi
e ad amarsi». Educare alla pace è, infatti, il primo passo che si deve
fare anche mentre tutto attorno urla violenza, è un flebile segno che
nel dolore quotidiano può gettare le basi della riconciliazione perché
«è importante comprendere che la pace si ottiene non fra leader, fra
politici, ma fra due popoli». Perché questo avvenga ci vuole l’esempio
di qualcuno e il rabbino Cohen non esita a darne uno chiaro e
significativo per la storia più recente del suo popolo: «Nel
cristianesimo c’è stato un cambiamento, sostenuto soprattutto da
Giovanni Paolo II, che ha invitato alla comprensione fra ebraismo e
cristianesimo. Io attendo la comparsa di un leader religioso
dell’islam che inviti a un ritorno all’epoca aurea in cui i teologi
della religione ebraica e della religione musulmana vivano in pace e
insieme, operino per il beneficio e il vantaggio di tutta l’umanità».
La pace è possibile, ma «il cambiamento deve avvenire prima tra chi
educa, solo dopo i politici, i diplomatici, i leader potranno iniziare
a lavorare su quelli che sono gli aspetti pratici del conflitto».