Faccio solo piccole cose … ma con grande amore
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di Vincenzo La Gamba La parabola odierna riguardante i talenti (un' antica misura di oro e di argento, pari ad un salario di oltre 6000 giornate lavorative di allora) é densa di significati. La si può applicare in diversi modi nella nostra vita perché é fondamentalmente la parabola della creatività. Per prima cosa la parabola dei talenti racchiude un insegnamento, secondo cui Dio non misura né conta le nostre realizzazioni in terra. Egli esige di sapere da noi come abbiamo usato il nostro tempo, cosa abbiamo fatto della nostra vita e dei talenti che abbiamo ricevuto, cioè delle nostre capacità. É la parabola che coinvolge, fondamentalmente, la nostra fede e la grazia di Dio. Nella fattispecie, noi cristiani dobbiamo assumerci la responsabilità di investire (per mezzo dei nostri talenti) nella costruzione del Regno di Dio in terra, partendo, ovviamente, da solide fondazioni. Precisamente nel nostro lavoro, nella nostra vita privata, nel sociale. Il contrario é invece rinunciare ad essere una persona cristiana: é sotterrarsi in vita con valori conservati. A tre servi il padrone diede talenti (rispettivamente cinque, tre ed un talento), per farli fruttare. Si accorse, successivamente che solo un servo (quello a cui aveva dato un solo talento) non ascoltò il suo consiglio. Il perché va evidenziato nel fatto che egli lo sotterrò senza ricavare nessun usufrutto. Agli altri due servi, egli disse loro: bravi. Al terzo disse: tu sei pigro. Vi siete mai domandati perchè chi "sotterra" il talento non é un buon servo di Dio? Perché Dio vuole che la nostra fede non valga un solo ma più di un talento. Un talento non aumenta la nostra fede, anzi ne arresta la crescita. Dio non vuole indietro i talenti affidati, anzi ne vuole raddoppiare la posta; vuole addirittura moltiplicarla appropriatamente così: sei stato fedele e bravo nel poco, ebbene ti darò autorità sul molto. Non di restituzione si tratta, ma di un rilancio. Noi non siamo nati per restituire a Dio i Suoi doni. Anzi questa è una immagine che, dettata dalla nostra paura, immiserisce Dio. Noi non viviamo per essere come Lui, perché il mondo e la vita ci sono stati affidati come un dono che deve fruttare, un giardino incompiuto che deve fiorire. Una vita che cresce, nasce perché rientra nella creazione. Pena, invece, il non senso alla vita. E’ già la nostra una vita senza senso? Certo che lo è, se non c'è Dio come nostra guida e speranza. Possiamo convenire, dunque, che tutti abbiamo ricevuto almeno un talento? Certamente. Anzi più di uno! Ogni creatura che incontriamo é un talento, da custodire e lavorare per fare ricca l'altrui vita. Ognuno é talento di Dio per gli altri. Uno sposo può dire alla sposa: "Come talento io ho ricevuto te!" Oppure un figlio al padre, un amico ad un altro amico, un povero ad un altro povero. É bello dirlo a molti, perché così si entra con passo creatore nella liturgia della vita. C'é un famoso detto della Beata Madre Teresa di Calcutta, che racchiude nella sua essenza il significato della parabola odierna: "Io non faccio grandi cose, ma solo piccole cose con grande amore". Ecco. Ella ha messo a frutto quel talento a beneficio dei "più poveri dei poveri", al contrario del terzo servo che conservò quel talento sottoterra, che non ha fruttato a niente. Madre Teresa, più che proprietaria del "talento" ne é stata, durante la sua nobile e santa esistenza l' amministratrice del "deposito di fede". Ella ha portato a compimento quello che Gesù ha parafrasato in questa parabola domenicale e cioè che la fede ed il bene della grazia di Dio non sono capitali da sotterrare, ma da moltiplicare fino all' infinito. Più spesso dovremmo recarci alla Banca del Regno dei Cieli, aprire il nostro "deposito di fede" e pagare i "dues" a chi di dovere.
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Meditazioni: «Faccio solo piccole cose … ma con grande amore», Vincenzo La Gamba - America Oggi, New York, Domenica 16 Novembre 2008 - XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A) | |
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