Meditazioni

Il cielo e la terra passeranno,
le mie parole no

 

 

di Vincenzo La Gamba


Con la lettura dell'odierno brano (XXXIII.ma di Tempo Ordinario) termina il Vangelo di Marco e la Chiesa propone ogni anno una celebrazione incentrata esplicitamente sul mistero della fine. Questa celebrazione corrisponde a quella con cui inizia l'anno liturgico, la prima domenica di Avvento. E questo é molto significativo.
La certezza che tutto é orientato verso una fine sta al centro della fede e della speranza cristiana. Infatti la parola "fine" deriva dal greco "eschaton", da cui nasce il significato di Escatologia, che significa appunto "dottrina riguardante la fine e le realtà ultime".

Così la liturgia odierna invita i cristiani a considerare tutte le cose nel loro aspetto di eternità  basandosi sulle certezze che la fede garantisce e cioé che la creazione sarà trasfigurata dallo Spirito. Inoltre Cristo ritornerà.  Poco importa quando. Nemmeno é importante conoscere come apparirà il nuovo mondo.

Sarà l’improvviso fulgore di un lampo? Sarà qualcosa di invisibile agli occhi umani? Come reagiremo al ritorno di Cristo (se saremo in vita)?

Sono tutti questi validi interrogativi?  Noi non sappiamo "quando" ciò avverrà, ma possiamo esser certi che avverrà.

Vi saranno dei segni, da cui si evidenzierà che la fine é vicina?

Quali saranno? Non lo sappiamo.

Sappiamo dalla lettura di oggi che il Figlio dell'Uomo compare, al termine di un periodo dalla durata indeterminata, particolarmente agitato (Mc 13, 24-32) e che "l' uomo é in grado di capire i segnali delle stagioni".

Cosi é bene che sia attento ad altri segnali.

Si legge  ancora: "Il sole si oscurerà e la luna non darà il suo splendore. Gli astri si metteranno a cadere dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte".

Indubbiamente sono segnali catastrofici e per un credente tutto quello che é catastrofico nel mondo, ha un senso positivo perché é motivo di speranza: segna la nascita di un mondo nuovo e di una nuova creazione.

É da rilevare che tutte le immagini sopradescritte provengono dalle scritture degli ebrei.

La base letteraria che ha a che fare con la fine del mondo si chiama "Apocalittica", parola che significa "rivelare".

Questo tipo di scrittura sa di puro mistero. Va pure detto che la letteratura apocalittica esiste nelle scritture sol perché gli ebrei credono che Dio interverrà un giorno (in maniera cataclismatica) a distruggere,una volta per tutte, il male e restaurare Israele alla sua grandezza di vita, abbondanza e pace.

Gesù, attraverso il Vangelo di San Marco, parla della fine del mondo ai suoi interlocutori con un linguaggio a loro familiare, per questo capibile e condivisibile per molti dell'udienza.

E Gesù nell'odierno brano evangelico termina in questo modo "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi a quel giorno o a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo, e neppure il Figlio, ma solo il Padre".

Questa ignoranza (chiamiamola benevolmente così) del Figlio di Dio non deve sorprenderci più di tanto: Gesù ha assunto totalmente la condizione umana, eccetto il peccato, che si assume persino i limiti, per cui i problemi di tempo e di date non necessariamente dovrebbero interessarci ai fini della salvezza.

A noi basta sapere con certezza che "il giorno del Signore" verrà, per cui dobbiamo affidarci al Padre con atteggiamento di fede e di fiducia.

Ed é proprio questo atteggiamento di veglia che ci consente di scorgere (tra gli avvenimenti piccoli o grandi della nostra vita personale, della vita della Chiesa e di quella del mondo), le continue venute di Cristo, che ci fa segno e ci chiama a seguirLo giorno dopo giorno.
 

 

Meditazioni: «Il cielo e la terra passeranno, le mie parole no»,  di Vincenzo La Gamba - America Oggi,  New York, Domenica 16 Novembre  2003 - XXXIII.ma Tempo Ordinario
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