Meditazioni

«Pregare è parlare a Dio con la semplicità degli umili»
 

 
di Vincenzo La Gamba



Il racconto della Trasfigurazione, tratto dall' odierno Vangelo di Marco, anticipa in Gesù, prima della Sua passione e morte, la piena comprensione del Suo mistero, che ha dato agli Apostoli la fede post-pasquale.
Spieghiamo meglio il senso della Trasfigurazione che, assieme all'Incarnazione di Gesù, è uno dei più suggestivi momenti del Nuovo Testamento. Succede che il volto di Gesù Cristo si "trasfigura", mentre pregava sul monte assieme agli Apostoli Pietro, Giovanni e Giacomo.

Nel personale contatto con Suo Padre (attraverso la preghiera) sopraggiunge il cambio del volto di Gesù, che fa brillare nel Suo volto e nella Sua condizione umana, la gloria della divinità e della Sua condizione di  "Figlio, amato dal Padre ", facendo in questo modo presagire la luce della Sua Risurrezione.

Se la preghiera deve essere il clima abituale di chi sa di essere il Figlio di Dio, questo atteggiamento deve intensificarsi nei momenti di crisi, per riaffermarci nella nostra identità. Solo un incontro personale con Dio, può  pertanto riabilitarci.

Questo è il senso che si desume dal brano evangelico di oggi per tutti noi che seguiamo Cristo.

Saper pregare non è difficile; basta saper parlare con Dio, con la semplicità degli umili, attraverso la quale Dio "ascolta" meglio.

È a questo punto che Dio mette alla prova anche la nostra fede, così come lo ha fatto con Abramo e con Cristo. Nella prima lettura di oggi, infatti, Dio chiede ad Abramo il sacrificio del suo unico figlio Isacco, figlio nato nella vecchiaia e per promessa divina.

Abramo s'incammina verso il monte Moria e nel momento culminante l'angelo del Signore ferma il braccio di Abramo: un montone sostituisce il figlio nel sacrificio. Così Dio rinnova ad Abramo la Sua promessa: discendenza numerosa, benedizione per il suo popolo e per tutte le nazioni della terra.

Di norma, la prova del Signore per la nostra fede è la dedizione quotidiana.

C'è da rilevare, comunque, che la fede non è dimostrabile, misurabile e valutabile.

Cosa significa?

Significa porre la nostra fiducia ed amicizia, per mezzo di Gesù, in una persona, Dio, che accettiamo, adoriamo e della cui parola ci fidiamo. È a Lui che bisogna dimostrare la fede. Lui poi la valuta con la misura oggettiva della Sua benevolenza nei nostri confronti.

C'è, comunque, un inizio della nostra fede, che è quello di ascoltare "il Figlio prediletto di Dio", così come ci indica la voce dalla nube della Trasfigurazione nel Vangelo di oggi.

Cristo è, quindi, la parola personale di Dio e dove la si ode meglio è nella solitudine e nel vuote interiore.

Per questo dobbiamo "salire sulla montagna" e pregare con fede.

Una eloquente maniera di stabilire il senso della fede, ci viene dalla Lettera agli Ebrei, secondo cui "la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono" (Eb 11,1).

Nella seconda lettura odierna citiamo pure le parole di San Paolo: "Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi".

Questo per ricordare durante il periodo quaresimale che Gesù arriverà alla gloria della Risurrezione, il giorno di Pasqua, ma non senza essere passato prima attraverso la prova suprema della Sua passione e morte.

Rivelando la Sua gloria futura, si rinforza in noi la fede davanti allo scandalo della Croce, per cui seguendo Gesù, la morte, anticipando la Risurrezione, è vita.
 

 

Meditazioni: «Pregare è parlare a Dio con la semplicità degli umili»,  di Vincenzo La Gamba - America Oggi,  New York, Domenica 23 Marzo 2003 - Seconda Domenica di Quaresima


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