Meditazioni |
"Chi
non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me" |
di Vincenzo La
Gamba Le prime parole di Gesù nell'odierno Vangelo secondo Matteo, lette senza una profondità "missionaria", verrebbero ad essere fraintese dal comune credente: "Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me". A ciò si aggiunge: "Chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me". È possibile che il Gesù, che sempre ha predicato l'amore, usi una contrapposizione dell'amore dai caratteri egoistici?
Dobbiamo e possiamo
amare di meno i nostri genitori e ancora di meno i nostri figli messi
al mondo? Essere discepolo di Gesù Cristo vuol dire "ammettere che solo Cristo è il Signore" e che, per conseguenza, il discepolo deve essere "subordinato a Lui". Chi è, quindi, discepolo di Gesù oggi? I sacerdoti, i missionari, i laici, tutti i figli spirituali di una Chiesa che vive e sopravvive per virtù del "discipleship" al Signore, che è diffondere la parola di Dio da un punto all'altro del mondo. Per diffonderla bisogna prima ricevere la "chiamata"dall'Alto. Da li nasce l'amore verso Gesù che si "antepone" all'amore verso i genitori e all'amore verso i figli. Amare Gesù per sacrificare l'amore verso il padre o la madre; oppure il figlio e la figlia è un atto veramente eroico che nessun essere umano e nessuna causa possono esigere. Non si può nemmeno condannare chi non abbia avuto la forza di farlo. Gesù non agisce mai come i carnefici che esercitano un ricatto odioso minacciando di vendicarsi sul padre, la madre, il figlio o la figlia per il rifiuto che i genitori od i figli oppongono alla loro volontà. Insomma Dio "non prende mai degli ostaggi". Vuole per sé una fetta di noi per essere discepoli della Sua Parola. Ci "chiama" non per rinunciare all'amore terreno ma per capire meglio l'amore "divino", attraverso la cui subordinazione non disumanizza l'uomo. Anzi purifica i suoi sentimenti più intimi e legittimi.
Allora, come ora, si può
essere martirizzati per la causa religiosa. "Nulla e nessuno anteporre
all'amore di Cristo" è una sentenza che troviamo nella Regola di San
Benedetto, capitolo quarto, secondo cui "bisogna amare il Signore Dio
con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze". Si racconta nell' odierno Vangelo di Matteo: "chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me".
In sostanza bisogna
essere in comunione con il mistero della morte in Croce ed il miracolo
della Risurrezione.
L'espressione: "prendere
la propria Croce" significa sopportare tutte le eventuali prove che la
vita ci pone davanti. Una volta superate, se superate, sfociano in un
alleggerimento di peso di una croce che dobbiamo sempre e comunque
portare sulle nostre spalle, perché solo così possiamo L' ultima parte del Vangelo riguarda "l'accoglienza da riservare agli inviati del Signore, ai giusti e ai discepoli". Dice Gesù: "Accogli colui che t'invio come se fossi io stesso". È la diretta estensione del "discorso missionario", già accennato all' inizio. Egli promette adesso la ricompensa divina a chi Lo accolga nelle diverse forme ed aspetti.
Al capitolo 53 della
"Regola" di San Benedetto troviamo: "Nel saluto si mostri grande
umiltà per tutti gli ospiti, sia in arrivo che in partenza: col capo
chino e prostrati a terra si adori Cristo, perché è Lui che si
accoglie in essi... Soprattutto ci si preoccupi di ricevere bene i
poveri ed i pellegrini, perché è proprio in loro che si accoglie di
più il Cristo. |
New York, Domenica 30 Giugno 2002, XIII.ma di Tempo ordinario