Galatro:
Prof.
Bruno
Marazzita

Una vita per l'ideale

Primo Anniversario della morte
di
Bruno Marazzita

 

 
di Carmelo Cordiani,


 

E’ passato un anno. Ne passeranno infiniti da quando il grande cuore del Maestro Bruno, dell’ex Sindaco , di un uomo che, nel bene e nel male, ha lasciato un segno nel sua cara Galatro, si è fermato. Il suo profilo ritorna spesso nelle riflessioni spicciole che nascono in piazza e si portano a casa, a volte ossessive, per approfondirle, ognuno a seconda dei contatti, degli incontri, degli scontri che ricorda di aver vissuto con Bruno Marazzita. C’è un po’ di stizza, anche nei giovani che ne hanno solo sentito parlare dai genitori, da persone anziane: “Ci voleva Marazzita… Se ci fosse Marazzita… “

 

Sempre così! Bisogna morire per essere apprezzati. Bisogna morire per togliere quell’umano ingombrante che ti fa perdere di vista la vera ricchezza della persona.

 

Il due novembre, come dovunque, il cimitero di Galatro era affollatissimo. Anche nei due giorni precedenti. Mi sono fermato ad osservare quante persone si recavano alla tomba di Marazzita con un fiore, con un lumino. Tante! Anche qualcuna di quelle che, in vita, lo aveva disprezzato. Per politica? Forse. Forse, anche, perché è difficile voler bene alle persone buone. Buono è tutto ciò che ci fa comodo, che ci accontenta. Se piace ad altri, se accontenta altri, il buono diventa odioso.

 

Poche sere fa, trovandomi a parlare con un giovane a proposito di un aggeggio elettronico che non voleva funzionare, mi sentii dire: “ Se c’era Marazzita, non avrei problemi”. E mi vennero in mente le lunghe serate d’inverno, trascorse accanto al braciere, con vecchie radio da riparare, con televisori da sistemare, mentre si canticchiavano motivi di operette, tanto care a Marazzita. Mi vennero in mente le sue preoccupazioni quando maturava l’idea di dare vita alle nuove terme. “Vedrai, mi diceva. Faremo di Galatro un centro importante. Finirà la fuga dei giovani al Nord, all’estero. I giovani devono rimanere a Galatro, perché sono loro a dare vita al paese. Noi andiamo invecchiando. Dobbiamo lasciare ai giovani un buon patrimonio. Vedrai, continuava. Tra qualche anno Galatro diventerà un cittadina  invidiabile”.

 

Caro Bruno: Ti sei sbagliato. So che questa mia notizia ti dispiacerà, ma devo dartela. Galatro non è invidiabile. Da Galatro i giovani vanno via, al Nord, all’estero e, contrariamente a quanto succedeva allora, non tornano. Sapessi quante case deserte! Sapessi quanti vogliono vendere le case costruite allora con i risparmi guadagnati altrove! Costruivano con la prospettiva di ritornare un giorno, nella loro Galatro aperta ad un domani di progresso. Ci hanno ripensato. “La Patria è dove si sta bene”, diceva Renzo. A Galatro non si sta bene. Non c’è lavoro. E non c’è quell’entusiasmo al quale tu facevi sempre riferimento. Abbonda, invece, l’indifferenza, l’assuefazione. Non ci scuotono più di tanto gli avvenimenti che, un tempo preoccupavano un po’ tutti, quelli che ti coinvolgevano in prima persona e che ti spingevano ad intervenire, con cocciutaggine, finché non riuscivi a sistemarli. Abbondano le conflittualità inutili che, a volte, mettono l’uno contro l’altro, perché non si è in grado di mediare, di dialogare civilmente, di confrontarsi. I problemi di uno non sono problemi di tutti, come sarebbe giusto in una comunità unita, dove è regola il rispetto reciproco e lo spirito di collaborazione. Ognuno per sé, chiuso a riccio. Guai se ti scappa una parola in più! Non te la perdonano.

 

Non ti fa piacere, lo so. Ma è così. E non ti fa piacere nemmeno sapere che tra i giovani serpeggia una gran voglia di evasione che li spinge ad esperienze dannose. Anche loro si tirano dietro indifferenti a tutto, apatici, privi di quella spina dorsale cui si riferivano spesso i vecchi professori. Mancano di motivazioni forti, di punti di riferimento validi. Al loro posto c’è il mito, del successo facile, della star di moda, del “Cogli l’attimo”, dello sballo.

 

Ti chiedo scusa se disturbo la tua quiete. Ma è quanto mi leggi in mente quando mi fermo qualche minuto davanti al tuo luogo di riposo. Quel garofano bianco che ti porto ricorda la nostra condivisione di un ideale che ci ha entusiasmato per tanti anni. Ricorda le riflessioni che si faceva insieme, le valutazioni sugli avvenimenti dell’Italia, della nostra Calabria e degli uomini che la governavano. Si parlava, si conveniva, non si era d’accordo… , come accade tra persone che si stimano. Portavi il tuo contributo di esperienze vissute altrove, offrivi materia di confronto, riferivi osservazioni lette, perché, forse non tutti ci credono, leggevi molto. E, quando gli impegni, non ti concedevano spazi per leggere, scherzando, mi dicevi di sentirti vuoto. Alla lettura, oggi, si preferisce la TV ( Tu eri esperto tecnico!). Ma non i programmi impegnativi, che, per fortuna, vanno in onda, anche se in orari poco seguibili. Si preferiscono le cose frivole, abbondanti di immagini suggestive, accattivanti e, consentimi, diseducative. Ricordi quando, tanti anni fa, si discuteva sulla vacuità delle telenovele, delle “soap opera”, dei soggetti “commerciali”; e della pericolosità dal punto di vista educativo. Si temeva l’infatuazione subdola, quel contenuto apparentemente innocuo, ma fortemente condizionante, al punto da deviare un osservatore sprovveduto di senso critico ed immaturo. Si rideva sulla moda di dare ai propri figli nomi non più tradizionali, ma mutuati da altre culture. “Tra qualche generazione, dicevi, spariranno i Giuseppe, i Pasquale, i Rocco… e saranno sostituiti da Jessica, Jonni, William…” Ci siamo, caro Bruno. Ma non è questo il guaio. E’ che anche nelle famiglie nascenti serpeggia quell’atteggiamento tipico delle telenovele, dove c’è tutto meno l’unità, la fedeltà, la serietà e, soprattutto, la visione reale della vita. Le belle ville, ambiente tipico di tali proposte, le belle donne, sempre in ordine, sofisticate, i fusti perfetti, l’amico della moglie, l’amica del marito, bambini che non si sa a chi appartengano, separazioni, divorzi, menzogne per coprire intrighi, lasciano il segno. Nessun personaggio ha le mani incallite dal lavoro. C’è lusso dovunque. Ed è proprio questo modello di vita, ideale, che pochi possono godere, ad incidere sulla formazione delle giovani famiglie. Si sogna ad occhi aperti, come si suol dire. Sparisce il gusto delle cose semplici, del piatto di minestra consumato insieme, dei discorsi sulle cose che succedono, del sentirsi vicini perché innamorati di quello che si è.

 

Certo, sorriderai per quanto ti sto raccontando. Dall’alto vedi il nostro mondo piccolo, piccolo. Vorresti dirci che non occorre morire per stare in pace. Che la vita è un dono prezioso, anche quando si soffre come è successo a te e come succede a tanti altri. Basta uno sguardo al Cielo, un pensiero a Dio che tu vedi, un’attenzione in più alle cose che veramente contano e che vale la pena di realizzare. Continua a voler bene alla tua Galatro, alle persone che hai conosciuto, amici e non. Dài un consiglio buono a chi passa davanti al tuo luogo di riposo e si ferma un istante per dirti: “ Ciao Bruno”.
 

 

Bruno Marazzita: «Una vita per l'ideale. Primo Anniversario della morte di Bruno Marazzita», di Carmelo Cordiani, domenica 7 dicembre 2003
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