Galatro:
Don Agostino
Giovinazzo

Gli amici ricordano il sacerdote Don Agostino Tullio Giovinazzo,
nel primo anniversario della sua scomparsa

di Carmelo Cordiani



“Gli amici ricordano il sacerdote Don Agostino Tullio Giovinazzo, nel primo anniversario della sua scomparsa”. Questo il testo del manifesto che i galatresi hanno avuto modo di leggere nel pomeriggio del 17 maggio scorso, vigilia dell’anniversario di quel 18 maggio 2002 che sconvolse e preoccupò un po’ tutti. Sconvolse, perché la morte è un avvenimento che, per quanto ineluttabile, quando arriva, lascia un segno. Preoccupò, perché si pensò subito al dopo Don Agostino. E, per quanto mi è dato di leggere tra le righe di alcune osservazioni, i due stati d’animo sono ancora vivi.

 

Il nuovo parroco ha celebrato la Santa messa delle undici in suffragio del “confratello Sacerdote Don Agostino Tullio Giovinazzo”, presenti i fedeli, i fratelli di Don Agostino ed altri parenti. Dopo il commento al Vangelo, una bellissima pagina che trae lo spunto dalla metafora della vite e dei tralci, ha ricordato la figura del suo predecessore che per ben ventotto anni ha guidato la comunità cristiana di Galatro. Una giovinezza spesa al servizio delle anime, “restando coerente al suo mandato”, “accettando la vita e la morte” come un autentico servitore di Cristo. “Don Agostino è presente tra noi”, ha detto; “Concelebra” il sacrificio della Croce che noi oggi ricordiamo fisicamente. “Egli gode la visione di Cristo; assiste dall’alto dei Cieli”, dove il buon Dio lo ha accolto come Suo Ministro.

 

Rimpiangere una persona scomparsa è un fatto del tutto naturale. Quanto non si riesce ad apprezzare in vita, ritorna come un film di cui si rivivono i singoli fotogrammi, si esaminano attentamente, si inquadrano in contesti molto ampi, si confrontano e si finisce per dare il giusto valore, quello che era dovuto allora. E’ il senno di poi! Valutare le persone in vita vuol dire tesorizzare tante esperienze per crescere meglio.

 

Una persona molto discreta. E si confuse la discrezione con l’introflessione, con il disinteresse, con la regressio ad uterum. Più volte è stato mio ospite a pranzo. Mi stupiva la sua loquacità. Era al corrente di tutto. E ciò contrastava con il suo apparente disinteresse. Gli avvenimenti del paese venivano, da Lui, presentati in problematiche di cui cercava di individuare la causa, dimostrando una forte capacità di analisi. Qualche volta mi scappò anche di dirgli che “era pettegolo come un prete”. “Perché come un prete? Forse i preti sono più pettegoli degli altri?”. “E’ che i preti ne sanno tante, più di quanto ne possano conoscere gli altri”. Ci si rideva sopra, naturalmente. Terminato il pranzo non finiva di ringraziare e di apprezzare l’amicizia che ci legava. E si trattava di autentica amicizia, quella che non esclude i contrasti in cui  le persone vive cadono, perché è impossibile e, d’altra parte, innaturale che si valutino avvenimenti sempre in maniera concorde. Capita che i pareri siano discordi, che si esprimano opinioni opposte, che si difendano posizioni diverse, con motivazioni valide e non per capriccio. E capitò anche a me di dissentire, di sostenere l’opposto di quanto Don Agostino diceva. Seguì un periodo di freddezza, con sofferenza mia e sua. Me ne parlò quando i rapporti ritornarono sereni, come doveroso tra persone che si rispettano e si stimano. Una sofferenza che affiorava anche nei commenti domenicali alla parola di Dio : “ E’ umano litigare, diceva; è doveroso riconciliarsi e dimenticare il litigio, specie quando le motivazioni sono futili”.

 

Comprensivo e sensibile nelle confessioni. Un momento sacro, quello in cui il Sacerdote ascolta le debolezze dell’uomo. Un momento in cui esercita un potere unico: Rimettere i peccati. Nessun altro può appropriarsi di questo potere. Agisce in nome e per conto di Cristo che ha perdonato. Incarna Colui che conosce l’uomo nella sua intimità, che legge l’animo e ne intuisce la volontà di rinascita attraverso il sacramento della confessione. L’incontro tra il sacerdote e l’uomo deve svolgersi in un clima di fiducia e di speranza. Se il peccato è segno di debolezza, la confessione è testimonianza di forza. Un uomo che si rialza, dopo il peccato, vale molto di più di chi cade nel peccato. Questo, Don Agostino lo sapeva e lo teneva presente. Mai un accenno alle ire di Dio, come fa qualcuno che presenta il Dio del Vecchio Testamento, terribile, vendicatore, con un blocchetto di appunti in mano, pronto a segnare gli sgarri dell’uomo, con l’atteggiamento di chi non vede l’ora di fartela pagare. Se così è, non si capisce perché ha mandato Suo Figlio sulla terra. Non certo per il gusto di sacrificarlo sulla Croce. Se così è, Cristo poteva risparmiarsi di parlarci del figlio prodigo, dell’adultera, della Maddalena, della Samaritana. Poteva fare a meno di illuderci dicendo che è venuto per i peccatori e non per i giusti. Questo aveva in mente Don Agostino, quando qualcuno si inginocchiava per aprire il suo animo. Dio amore, non Dio crudele.

 

Gentile e sensibile con i suoi collaboratori. Tanti, per la verità. Ognuno prestava la sua opera per quello che sapeva fare. E non dimenticava, nelle circostanze più impegnative, di ringraziare. Era anche una gratificazione e un incentivo. Si dice che, per modestia, bisogna stare lontano dalle lodi, dalle congratulazioni. Ma se vengono spontanee, sono sempre ben accette e  invogliano a fare di più e meglio. E poi, diciamolo con sincerità, dimenticare le persone che lavorano con noi, che ci sono vicine e si impegnano gratuitamente, sacrificando parte del proprio tempo libero, non è segno di maturità.

 

Molto modesto. Anche nelle omelie, usava un linguaggio semplice, facile, alla portata di tutti i fedeli, senza toni di voce da panegiristi dei secoli passati, con ampi gesti, con mimiche studiate per fare colpo. “Hai visto che bella predica”, si diceva allora. “E cosa ha detto?” . “Boh!; ma la predica è stata bella”. Qualche volta andava fuori tempo…Se ne accorgeva. Un giorno mi confidò : “ Quando predico e mi accorgo che la gente guarda il soffitto, le statue dei Santi,  l’orologio, il vicino… mi rendo conto che la sto tirando troppo. E mi affretto a chiudere”. Rendersi conto! E’ importante ed è segno di sensibilità, oltre che di intelligenza. Il guaio è quando non ci si rende conto, quando si persiste nella convinzione che quanto facciamo è giusto, che noi siamo la misura di tutto, che possiamo dire le cose come ci pare, che possiamo utilizzare a nostro piacimento parole e immagini che ci passano per la testa, senza badare alla circostanza, al ruolo che ricopriamo, alla figura che rappresentiamo, al posto in cui ci troviamo, alla responsabilità che ci investe. Quando si va a ruota libera, insomma. In tanti anni di frequentazioni non mi è mai capitato di sentire una sola parola indecorosa dalla bocca di Don Agostino. Anche nelle conversazioni spicciole. Mai più nelle prediche o nei discorsi ufficiali, nelle riunioni con i giovani, con i ragazzi. E tanta, tanta pazienza. Mai un segno di insofferenza o, peggio, di ostilità nei confronti di chi “disturbava” con qualche parolina sottovoce rivolta al vicino. Un semplice richiamo, molto garbato; un invito a seguire con più attenzione la cerimonia, la messa. Non ha mai mandato via nessuno, convinto che anche le “pecore nere” fanno parte del gregge di Cristo. E se qualche pecora nera venisse allontanata, è doveroso che il pastore vada a ricercarla. Appartiene a Cristo come le altre.

 

Ho riletto la sua lettera inviata alla comunità di Galatro in occasione della Pasqua. Stava già molto male e sentiva prossimo il suo appuntamento. “Dio sa cosa fa e perché lo fa: noi dobbiamo solo ubbidire ed adorare”. C’è dentro tutta la sua fede, ma anche la coscienza del definitivo distacco. “Se il mio corpo mi tiene lontano, i miei occhi vi vedono tutti indistintamente”. E, tra le tante persone che rivede si accorge anche dei “giovani in fondo alla Chiesa che parlano e scherzano con il braciere”. Ma ha continuato a svolgere con attenzione e religiosità la cerimonia della Veglia, perché anche quei giovani sono “la famiglia di Dio e se permettete, diceva nella lettera, anche la mia famiglia, riunita per la festa e, come in ogni casa, ci sono figlioli più buoni e quelli più discoli”. E ci invitava ad accendere quante più luci possibili, per celebrare con gioia la festa di Pasqua, il giorno trionfale della liberazione. E concludeva con gli  auguri a tutti: “ Auguri a tutti, con tutto il mio cuore e il mio animo, di buona Pasqua. Andate a casa e domani fate una grande festa perché Gesù è risorto”.

 

Caro Don Agostino: quest’anno, a Pasqua, ci sono mancati gli auguri.
 

Don Agostino Giovianzzo: «Gli amici ricordano il sacerdote Don Agostino Tullio Giovinazzo, nel primo anniversario della sua scomparsa», di Carmelo Cordiani, 18 Maggio 2003 "http://digilander.libero.it/galatrorc/"
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