Giogio
Gaber

«Per Gaber»
 

di Claudio Chieffo,


Ci sono persone che, ad un certo punto della loro vita o forse dall'inizio, chissà, intraprendono una corsa inarrestabile verso la Verità e la Bellezza (che loro vedono, giustamente, come inscindibili, anzi meglio: una sola cosa) e questo privilegio, questa Grazia, che si portano dentro, con consapevolezza diversa a seconda dei momenti della loro storia, in mezzo alle contraddizioni, ai limiti e alle fragilità varie di cui è imbastita la loro persona, li spinge a continuare questa corsa che è poi l'unica degna di ogni sacrificio.


Giorgio Gaber è uno di questi.


Quando nella mia fonovaligia Lesa (si chiamava così allora) ascoltavo il 45 giri di "Non arrossire" che conteneva sul retro un'altra stupenda canzone, "Le strade di notte" e mi innamoravo lentamente di quella voce e facevo le mie prime canzoni non avrei mai sperato di poterlo incontrare, conoscere, diventare, come tanti altri, suo amico.


Ricordo bene le parole che gli diceva un solerte compagno che voleva dissuaderlo dall'incontrarmi al ristorante "Vittorino" a Forlì, dove veniva spesso in tournee, quando gli portai, tutto fiero, il mio secondo LP, La Casa, era il 1978, ma lui volle incontrarmi lo stesso e mi invitò alle prove e cominciammo a parlare e a discutere: fu l'inizio di una amicizia che non è finita neanche adesso.


Era uno strano incontro tra il suo "dubbio" e la mia "certezza": "Io non potrei mai fare canzoni come quelle che fai tu, ci sono troppe certezze dentro, però… Il fiume e il cavaliere …mi piace" e io a dirgli che di certezze ne avevo una sola: la Misericordia di Dio, che, se anche lui non la sentiva, c'era.
Una volta, molti anni dopo, al termine di un suo incontro al Meeting di Rimini mentre lo salutavo con i miei figli - li chiamava i chieffini - mi disse "Beato te che hai un popolo a cui appartenere!".
E poi ancora, durante un concerto che facemmo insieme a Chiavari, intervenne duramente contro uno spettatore che mi derideva e insultava ad alta voce… e che parole piene di affetto, belle e lusinghiere (le rileggo ancora quando mi viene voglia di smettere) scrisse per i miei 25 anni di canzoni su "Il Sabato"!
Aspettavo con ansia ogni suo lavoro ed ero spesso invitato all'anteprima dei suoi spettacoli e cercavo sempre di esserci e, quando alla fine, nel suo camerino, ne parlavamo, voleva sapere il mio giudizio anche sugli aspetti più tecnici, suoni, luci, microfoni… ma io ero più colpito dalla bellezza, a volte disperata, delle canzoni e glielo dicevo e lui si schermiva e mi abbracciava.


Il rapporto che Gaber aveva con il suo pubblico era unico e stupendo anche perché chi lo ascoltava non poteva non volergli bene, non poteva non essergli grato per la commozione che c'era in sala; e lui lo sentiva, lo sapeva e ci "viveva" di quel rapporto e lo cercava e ne aveva nostalgia. Per forza rifiutava "la televisione", ma volete mettere quei teatri pieni di ascolto, di affetto… di partecipazione?


Non ha mai accettato che la "politica" fosse l'ultima parola su di lui e sulla vita (esemplare il bellissimo rapporto con sua moglie) e infatti "la televisione" non lo voleva; la sua corsa verso la Verità e la Bellezza, il suo anelito per la Giustizia (quella vera, perché la giustizia sommaria non gli interessava) non si sono mai fermati.
Ci sono persone come attraversate, nonostante tutto, da una Grazia, che in questa corsa inarrestabile rivelano, in una canzone, in un film, in una poesia, in un dipinto, in una risata, riflessi di quella Verità e Bellezza da cui sono, inesorabilmente, attratti.


"Allora vide in fondo all'acqua che passava il volto della pace che cercava e bevve avidamente dell'acqua del torrente e rivide la casa e la sua gente"… mi immagino che Dio gli sia corso incontro colmando, Lui, la distanza.
 

Giorgio Gaber: «Per Gaber», di Claudio Chieffo, CulturaCattolica.it, 1.02.03