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del
Cardinale Carlo Caffarra,
Arcivescovo di Bologna
Discorso del Card. Caffarra
presso il Centro Polivalente "Pandurera" di Cento (Fe)
16 febbraio 2007
Viviamo dentro una cultura
ed una comunicazione sociale nella quale si tende a trasformare ogni
desiderio in diritto.
Una società nella quale
vale il principio: "se tu non vuoi, perché devi impedire che io possa?". Una
società cioè nella quale la soggettività individuale, la ricerca del
proprio bene-essere diventa il criterio supremo dell'organizzazione sociale,
negando che esistano beni umani insiti nella natura della persona
umana che tutti devono riconoscere; che esiste un bene umano comune.
Potremmo dire che il principio utilitaristico ha così completamente
pervaso i nostri rapporti sociali rendendoli "scambio di equivalenti"
come nei rapporti economici e nel mercato.
Questa premessa mi serve ad esprimere meglio l'idea fondamentale di
questa mia riflessione. Che è la seguente: la famiglia intesa come "società
naturale fondata sul matrimonio" è la principale nemica di una società
che riduca il bene comune all'utilità dell'individuo. Pertanto chi
indebolisce l'istituto familiare, obiettivamente promuove un'organizzazione
sociale dominata dalla "regola degli equivalenti". Insidia cioè
gravemente il bene comune. Ora cercherò di spiegarmi punto per punto,
brevemente.
Primo punto. La comunità familiare è dominata dal principio di reciprocità
perché è costruita sull'affermazione di ogni persona che la compone,
in se stessa e per se stessa. Il bambino neonato è amato e ben voluto non
per l'utilità che esso offre. L'anziano è custodito e venerato anche
se non è più produttivo. Quando un familiare si ammala non viene
abbandonato a se stesso. La vita in famiglia costituisce la prima,
originaria socializzazione della persona umana perché la inserisce in
un tessuto connettivo costituito dall'affermazione di ogni persona in se
stessa e per se stessa, e non per la funzione che esercita. Cerchiamo di
riflettere molto seriamente su questo punto fondamentale. Quando due si
sposano promettono di essere reciprocamente fedeli per sempre "nella
gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia", e di amarsi ed
onorarsi per tutti i giorni della vita. È il contenuto di questa promessa
che costituisce il bene comune della comunità che il vincolo coniugale
crea fra l'uomo e la donna. Sono le parole con cui l'uomo e la donna fondano
il loro matrimonio ad indicare il bene comune della società
coniugale: l'amore, la fedeltà, l'onore e "per tutti i giorni della
vita".
La comunità coniugale è intimamente orientata alla generazione-educazione
dei figli. Non si tratta solo di un fatto biologico: è un evento spirituale
molto profondo. Il figlio "apre" la comunità coniugale all'ingresso di un
altro che non è "estraneo", ma è a pieno diritto membro di una vera
comunità umana, la famiglia. Essa è in senso vero e proprio la vera culla
della società umana, poiché è in essa che l'umanità continua. L'uomo può
smettere di fare qualsiasi cosa, ma non di generare ed educare l'uomo.
Senza l'educazione il nostro bene comune fondamentale che è la nostra
umanità, è destinata a scomparire. È nella famiglia che si imparano gli
stili di vita che promuovono nella società il principio della
reciprocità, ed impedisce che diventi dominante il principio
dell'equivalenza.
Punto secondo. Se ciò che ho detto è vero, la conseguenza è che chi
indebolisce, chi non riconosce la famiglia, obiettivamente non promuove il
bene comune. Ci sono molti modi per rafforzare/ indebolire,
riconoscere/non riconoscere la famiglia. Non voglio addentrarmi in un
campo che in una certa misura esula dalla mia competenza. Mi limito ad una
sola riflessione. Non sto giudicando le intenzioni di nessuno. Quando si
creano, attraverso le leggi, istituzioni nuove, esse, una volta entrate a
far parte della vita associata possono avere conseguenze che non erano
quelle desiderate: conseguenze inattese dell'azione intenzionale. Orbene, da
quanto ho detto prima risulta che: il matrimonio e la famiglia sono di
importanza fondamentale per il bene comune; la decisione di sposarsi è una
decisione ardua; il matrimonio e la famiglia sono oggi particolarmente
insidiati nella loro preziosità etica anche da un diffuso utilitarismo.
Presupposto tutto questo, facciamo la seguente ipotesi: lo Stato offre una
via alternativa per avere quei beni che fino ad ora erano concessi a chi era
sposato, un'alternativa che non richiede gli impegni propri del matrimonio.
Quale sarà il risultato? Almeno due: un'ulteriore conferma della mentalità
utilitarista e quindi un forte indebolimento dell'istituto matrimoniale
rispetto alle ideologie ad esso ostili. In una parola: il bene comune è
seriamente compromesso. In una società in cui la norma utilitarista sta
pervadendo sempre più profondamente la coscienza, offrire un'alternativa
alla famiglia, nel senso che i beni propri di essa si possono raggiungere
senza gli impegni che essa comporta, obiettivamente significa persuadere le
persone a scegliere secondo la norma utilitarista.
Se ci va bene una società così configurata, possiamo pure proseguire su
questa strada. Il capolinea sarà una persona sempre più sradicata dalla
verità e dal bene della sua umanità; una società di estranei gli uni agli
altri. La situazione è grave, poiché si sta marciando verso questo
capolinea dicendo che si sta percorrendo la direzione opposta.
Come cristiani abbiamo una grande responsabilità in questo contesto
poiché abbiamo ricevuto mediante la fede un grande dono. Il dono è l'essere
nella Chiesa, l'essere Chiesa. E la Chiesa è l'esperienza di un bene comune
che non ha l'uguale. È la comunione ecclesiale dove ciascuno è responsabile
di ciascuno. Certamente, la Chiesa ha una sua originaria specificità. Ma là
dove ci sono vere comunità cristiane, piccoli frammenti cioè in cui vive ed
opera tutto il grande Mistero che è la Chiesa, esse non possono non
diventare creatrici anche di società buone e giuste. Non è l'essere
minoranza o maggioranza la preoccupazione fondamentale della Chiesa. Questa
è una preoccupazione di chi pensa soprattutto al potere.
La nostra preoccupazione è di prendersi cura della nostra umanità. La
preoccupazione della Chiesa è di aiutare la persona a realizzare in misura
alta la sua umanità.
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