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di
Matteo Forte
Nel marciapiede immediatamente fuori si fatica a passare. Ci sono giovani,
tanti giovani. Arrivano da casa e dalla scuola. è mercoledì 17 marzo. Il
luogo in cui si ritrovano è il centralissimo Teatro Carcano di Milano.
L’incontro è organizzato da Portofranco - un’associazione che propone un
doposcuola di aiuto allo studio per ragazzi delle medie superiori -
con il sostegno della Consulta Studentesca. Il titolo che si legge sul
volantino d’invito, distribuito nelle scuole qualche giorno prima, provoca:
“Il velo, l’Euro e la champions: è questa l’Europa?”. Alle ore 16 la
platea è gremitissima e di lì a poco farà il suo ingresso l’ospite che i
ragazzi attendono. Paolo Mieli, responsabile editoriale di Rcs, ma anche
noto giornalista e storico, entrando viene subito colpito dal folto numero
di studenti che affollano il teatro. Chiede meravigliato quanti siano.
«Circa 1.000», gli viene risposto. Insiste: vuole sapere se c’è in ballo
qualche credito formativo che possa tornare utile in sede di scrutinio. Gli
viene risposto che i ragazzi presenti in teatro sono lì liberamente. Rimane
implicita in Mieli (e in qualunque osservatore esterno che venga a contatto
con questa realtà) la domanda su cosa spinga così tanti giovani a “perdere”
un pomeriggio per «vivere le dimensioni del mondo». Dopo tre canti sostenuti
dal coro di Busto Arsizio, Mieli introduce il dibattito con una breve
digressione storica sull’Europa politica che oggi conosciamo. Parte dalle
due guerre mondiali che, nel giro di trent’anni, hanno distrutto il Vecchio
Continente, per approdare al gigante economico che si è costruito
nell’ultimo decennio, che ha visto la nascita e l’introduzione della moneta
unica. Dopo questa breve analisi,
Mieli spiega dove, a
suo giudizio, ci sia un errore. L’errore è stato quello di anteporre la
questione economica a quella «politica e spirituale».
Bisogna riprendere il “bandolo” dei valori che ci tengono insieme.
Premettendo di essere “non credente”, sostiene che questo bandolo si può
identificare con la “cristianità”. Egli considera arrogante pensare che
l’inserimento nella Costituzione europea del riferimento alle radici
cristiane sia solo una questione nominalistica. Afferma che per fare
un’Europa diversa e ambiziosa nel fronteggiare gli Usa bisogna ripartire da
quelle radici, e la via da seguire è il ritorno a quei valori. Mieli si
appella alla responsabilità di noi cristiani, dei quali nota l’attenuazione
nello slanciare la «forte missione unitaria». Incalzato da domande su quanto
accaduto negli ultimi mesi, in relazione alla legge francese si dice
favorevole a una «laicità protetta». Spiega che se sono chiari allo Stato i
principi e i valori guida, «non c’è bisogno nella scuola pubblica, per
esempio, di ostentare simboli religiosi».
Aggiunge che occorre
anche evitare quel relativismo, «cancro della società europea», per cui
ognuno può indossare ciò che vuole perché è libero di fare e credere quel
che vuole. A questo
punto Alberto, del liceo scientifico Pascal, chiede come sia possibile che
un cittadino abbia chiare le sue radici se a scuola è stato educato a non
esprimere la propria appartenenza. Mieli ridimensiona la sua risposta,
dicendo che il problema non sono le piccole croci o le piccole stelle di
David al collo, che non danno fastidio a nessuno, ma il velo che spesso
viene vissuto come imposizione. Mieli crede che la contestata legge di
Chirac vada in difesa della libertà di molte ragazze musulmane che rifiutano
il velo, crede sia una forma di difesa di fronte ai tre milioni di musulmani
francesi. Purtroppo non tutti sono riusciti a porre le loro domande, ma
Mieli è comunque entusiasta e, salutando gli organizzatori, auspica un altro
incontro. Conclude sollecitando nuovamente i cristiani a rendere presente
una lunga e ricca tradizione cristiana. E da parte di un laico è proprio una
bella sfida.
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