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di
Vittadini Giorgio
L’ipocrisia regna
sovrana nel panorama internazionale. A chi parla della necessità di
ostacolare l’illegalità con cui emergenti paesi asiatici - dai regimi non
proprio democratici - attuano una concorrenza sleale ai danni dei piccoli
produttori europei, si oppone il dogma del liberismo economico. Chi leggesse
in modo non superficiale ciò che è successo a Cancun, chi parlasse non solo
con le veline della retorica politica nostrana, ma si informasse con qualche
politico latinoamericano, scoprirebbe l’inganno consueto. Francia e Germania
guidano un’Europa super protezionistica che copre di sussidi di Stato quella
parte della sua agricoltura decotta, che produce ad alto costo beni non
particolarmente pregiati, costituendo così uno dei più grandi ostacoli allo
sviluppo dell’America Latina, che avrebbe nella esportazione di prodotti
agricoli e di allevamento, in molti casi più pregiati di quelli europei
(vedi la carne), un mezzo per far decollare la sua economia. In questo senso
l’Europa a guida franco-tedesca si dimostra ancor più colonialista degli
Stati Uniti, che da sempre attuano una politica protezionista a favore dei
propri produttori agricoli. Anche gli uomini “illuminati” del
centro-sinistra, sia che governino paesi come la Germania, sia che siano al
timone dell’Europa, non si sottraggono alla difesa corporativa dei loro
produttori. Chi ha fatto saltare il tavolo a Cancun sono proprio i
rappresentanti di questa Europa delle corporazioni. Ci sono alternative?
Certo, ma richiedono coraggio, chiedono un’Europa che non si accontenti di
scrivere costituzioni di 500 pagine, vacue e tali da coprire - oggi e domani
- un atteggiamento di chiusura e difesa verso il mondo. Si potrebbe decidere
di aderire alla proposta di molti paesi latinoamericani di un’alleanza
strategica che scommetta sul loro sviluppo: una zona di libero mercato
allargato con l’eliminazione dei sussidi e l’incentivazione all’esportazione
dei loro prodotti agricoli; il sostegno allo sviluppo industriale con patti
di lungo periodo, così come fecero gli Stati Uniti con noi nel dopoguerra.
Certo, non è una strada facile: richiede una profonda trasformazione di
mentalità che tenga vivo, nello stesso tempo, l’interesse alla tutela di
prodotti pregiati, d’alto valore e la riqualificazione del territorio e
dell’ambiente. Ma richiede anche la fine dell’Europa delle burocrazie,
alleata delle corporazioni di cui sono figli tanti mediocri politici che
affollano il parlamento europeo. Bisogna tornare ad andare in America
Latina, sostenere i governi democratici, pensare piani di lungo periodo,
scambiare informazioni, mezzi e uomini. Ma, tant’è, qui in Europa a destra e
a sinistra si traccheggia, salvo inneggiare in modo messianico all’avvento
di un regime di centro-sinistra in Brasile, di cui non si sa praticamente
nulla. Non è un caso: senza ideale non si va lontano. L’Europa sta
scomparendo dalla scena mondiale, perché quello che non farà l’Europa lo
farà l’America, già pronta a proporre una zona di libero mercato all’America
Latina. Ci si può scommettere: loro rinunceranno ai sussidi prima di noi. E
allora, se i governi sono così, se gli uomini politici sono così, almeno i
popoli ricomincino a fare quel che facevano nel ‘500 e nel ‘600 quando
uomini virtuosi abbandonavano l’Europa e cominciavano lo sviluppo di un
nuovo continente in forza del proprio onore e della propria fede, perché
fosse più grande e nobile la nazione da cui provenivano.
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