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On.
Rocco Buttiglione
Perché
vogliamo che, nella Costituzione europea, l'Europa riconosca le proprie
radici culturali cristiane ?
Vediamo, innanzi tutto, di delimitare l'ambito del tema di questa sera.
Vogliamo forse dire che tutti gli Europei devono essere cristiani cattolici
e che quelli che non vanno a Messa la Domenica sono cittadini di seconda
categoria? Non è questo quello che noi vogliamo dire! Quando vogliamo che
siano menzionate le radici cristiane dell'Europa, non dimentichiamo che
l'Europa è fatta di cattolici, di protestanti, di ortodossi e anche di
cittadini che se gli domandi se Gesù Cristo sia il Figlio di Dio ti
rispondono di no o che non ci credono, non credenti. Perché, allora, diciamo
che l'Europa ha delle radici cristiane? Qui parliamo del Cristianesimo in un
senso culturale. Anche quegli uomini Europei che non credono in Gesù Cristo
Figlio di Dio o che dicono di non credere in Gesù Cristo Figlio di Dio, -
che non è esattamente la stessa cosa, perché a giudicare sulla fede sarà
solo il buon Dio nell'altro mondo - anche questi, hanno una struttura di
personalità e una cultura che ha profondamente subito l'impatto e
l'influenza della vita cristiana, tanto è vero che un grande filosofo laico
- avversario della Chiesa Cattolica in Italia - come Benedetto Croce
poteva scrivere un libretto dal titolo
"Perché non possiamo non
dirci cristiani".
Che vuol dire questo?
Se uno viaggia e va fuori dell'Europa lo capisce meglio. Perché scopre che
tante cose che noi consideriamo come ovvie e scontate, come puramente
naturali, fra popoli che non hanno subito l'esperienza cristiana non sono
riconosciute. Basta attraversare il canale di Sicilia, perché una cosa per
noi ovvia e scontata, come il fatto che ogni ragazza ha il diritto di
scegliersi il proprio marito, non sia così ovvia e scontata, anzi sembra che
il contrario sia vero.
La idea che la responsabilità penale è personale e che io non posso
ammazzare qualcuno per un torto che mi ha fatto suo fratello, suo cugino o
suo cognato, il suo concittadino, questa idea che a noi sembra evidente, in
altri popoli non è altrettanto evidente. Lo diciamo senza nessun complesso
di superiorità. Non stiamo dicendo che noi siamo migliori o più buoni di
altri popoli. Infatti, non appena, per un attimo ci dimentichiamo del
cristianesimo anche noi facciamo le rappresaglie, ammazziamo la gente
facendo le vendette trasversali. Pensate al dramma terribile del ciclo delle
due grandi guerre mondiali: quando l'Europa si è dimenticata di essere
cristiana ha fatto esattamente le stesse cose!
Ci sono alcuni valori naturali che nel Cristianesimo hanno avuto un appoggio
potentissimo e hanno formato la nostra cultura.
Ci hanno dato un modello di famiglia: noi siamo più o meno convinti che i
bimbi devono nascere da un papà e da una mamma e che un papà ed una mamma
devono prendersi cura dei loro figli (… c'è il divorzio, però è
considerato ancora una eccezione). Noi crediamo in una certa struttura
di famiglia che produce un certo tipo di persona. Non in tutto il mondo è
così, non nello stesso modo.
Quale è l'apporto
più grande che il Cristianesimo ci ha portato? Io, direi, è la
idea di persona.
Non a caso nella Carta dei diritti - all'articolo 1° - c'è proprio il
richiamo alla dignità di ogni singola persona umana.
Cosa vuol dire
persona? L'idea di
persona è una idea filosofica e non c'è bisogno della Rivelazione per
giustificarla, però storicamente nasce in ambiente cristiano, più
precisamente in ambiente teologico. L'idea di persona nasce nelle
controversie cristologiche del IV° secolo, quando i cristiani devono
rispondere ad una obiezione. L'obiezione principe contro il Cristianesimo:
l'obiezione contro l'idea di Trinità. Meglio…, l'idea di Trinità ancora non
c'era: i cristiani devono rispondere all'obiezione
"com'è possibile che Gesù
sia anche il Padre e anche lo Spirito Santo? Se sono tre, come fanno ad
essere uno? È una cosa incomprensibile."
Per rispondere a questo, i
cristiani, elaborano il concetto di persona.
La persona è un essere il quale,
come dirà poi anche il Concilio Ecumenico Vaticano II,
non può realizzare
compiutamente se stesso se non attraverso un libero dono di sé.
E l'idea di persona è che uno vive attraverso l'altro, che l'appartenere
all'altro è costitutivo della mia identità tanto che io non sarei me stesso
se non appartenessi a te. Questa appartenenza ha tanti livelli: il primo,
nell'ordine naturale il più forte, è quello dell'amore coniugale. Io sono
quello che sono, perché sono contemporaneamente il marito di mia moglie, il
padre delle mie figlie, il nonno dei miei nipoti, il figlio dei miei
genitori. Ma questo, che è un fatto naturale, poi si dilata al di là
dell'ambito naturale, perché attraverso la fede divento figlio, fratello,
sposo, padre, secondo un ordine di prossimità, di tutti gli altri esseri
umani che sono sulla terra.
E da questo nasce anche
quella realtà che chiamiamo nazione.
Vi siete mai domandati da dove nasce la nazione italiana? Ha provato a
descriverlo Alessandro Manzoni in un dramma, l'"Adelchi":
la nazione italiana
nasce dal perdono e dal Battesimo.
È il Battesimo e il perdono che mette assieme Longobardi e Latini: due
popoli che si odiano, che hanno tanti motivi per ammazzarsi l'uno con
l'altro, più di quanti ne abbiano Palestinesi ed Ebrei in Palestina e che,
tuttavia, in forza del Battesimo, lentamente, molto lentamente, imparano a
considerarsi come fratelli, a sposarsi gli uni con gli altri, a perdonarsi
il male che si sono fatti e, in questo modo, nasce una cosa nuova che è la
nazione italiana.
Come nascono le altre nazioni europee? Più o meno nello stesso modo.
Guardate la storia francese: sono i Franchi e i Galli, in Spagna saranno i
Visigoti e gli Ispanici. Il cristianesimo è capace di rendere il lontano
vicino, l'estraneo fratello, di creare una comunità che va al di là del
vincolo della carne. Approfondisce il vincolo della carne, ma crea una
comunità che va al di là di questo vincolo.
Questo dato
culturale definisce la cultura europea. Perché
l'Europa non è un continente,
è una cultura. Dov'è il confine geografico
dell'Europa ? Non lo sa nessuno, perché l'Europa è una cultura che nasce
all'inizio a Roma, però con una radice in Palestina ed anche in Grecia.
Un' Europa che non ha consapevolezza delle sue radici non è un
soggetto culturale, non è un soggetto politico, è soltanto uno spessore di
mercato. Il mercato è una cosa buona e noi siamo per l'economia di
mercato, ma il mercato è come il sesso: originariamente buono, ma che
facilmente diventa cattivo se non è contenuto e governato dalla ragione.
Allora, il mercato ha bisogno di essere contenuto e governato da valori che
sono politici, religiosi, culturali. Per poterlo governare occorre avere una
cultura: allora, il mercato, diventa un elemento positivo. Inoltre, se
l'Europa non vuole essere mercato e solo mercato deve avere una identità. E
l'identità dell'Europa è questa: è l'identità cristiana. Obiezioni: quando
io ho fatto la proposta, alla commissione delle Carta dei Diritti di
cui ero membro, attraverso un emendamento, di richiamare nella Carta dei
diritti le radici cristiane dell'Europa, mi hanno detto "no, è troppo
limitato". Ho riposto, avete ragione: non solo cristiane, ma
ebraico-cristiane. C'erano anche gli ebrei in tutto il processo della storia
europea, ebrei e cristiani hanno tantissimo in comune, sono i nostri
fratelli maggiori… mi hanno detto "non va bene, è troppo limitato".
Ho risposto, avete ragione. Perché non ci sono solo le radici
ebraico-cristiane. Non vogliamo essere escludenti. Socrate, dove lo mettete?
La cultura europea è fatta da Gesù Cristo e dalla tradizione greco-latina.
Poi, noi pensiamo che Socrate sia una specie di Mosè dei pagani (S. Agostino
lo ha chiamato Mosè dei pagani, colui che nel mondo pagano ha avuto la
funzione di precursore per i pagani così come Mosè l'ha avuta per gli
Ebrei). Richiamiamo - ho nuovamente proposto - le radici cristiane ed
ebraico-greco-latine. Non è andato bene neppure così! Ed io ho la
preoccupazione che qualcuno voglia un'Europa senza cultura. Perché non
basta il richiamo ai valori: se non ti indico il metodo con cui questi
valori sono diventati concreti per me, i valori rischiano di rimanere
astratti, oggetto di una ammirazione che non può diventare imitazione.
Immaginate che un grande sollevatore di pesi si esibisca davanti a voi
sollevando in aria 200 chili. Questo vi abilita ad alzare 200 chili? Neanche
un po'! Ma se lui vi indica la palestra dove ha imparato come si fa e vi
dice il processo attraverso il quale tutte le mattine, facendo questi
esercizi, di qui ad un anno solleverete duecento chili, allora, forse,
funziona. Indicare i valori senza indicare il metodo attraverso il quale
questi valori sono entrati nella storia europea è astratto, e rischia di
rendere il riferimento ai valori poco credibile. Altra obiezione: voi
siete contro l'Islam e volete emarginare gli islamici. Non è vero! Per
due motivi.
1° L'Islam nel Corano riconosce Cristo come il più grande profeta prima di
Maometto. In senso culturale, non dovrebbero avere difficoltà nemmeno loro a
riconoscere la positività dei valori cristiani. E se non fosse così?
Vorrebbe dire che è un Islam che non ama il Cristianesimo, ma se non ama il
Cristianesimo non ama neanche l'Europa e allora è bene che in Europa non ci
venga, perché, tutto sommato non siamo noi che chiediamo di entrare nella
Turchia, è la Turchia che chiede di entrare nell'Unione Europea. Io credo
che sia bene che entri. Pensate che grande cosa l'apertura alla missione, in
termini di libertà religiosa, di un grande paese islamico. Non c'è mai stata
un'opportunità così nella storia della Chiesa. Io sono favorevole che la
Turchia entri, ma deve entrare rispettando la nostra cultura e la nostra
identità. Altrimenti, si genera il paradosso per cui tutti possono venire in
Europa portandosi dietro la loro cultura e noi che siamo nati in Europa il
diritto alla nostra cultura non lo abbiamo e dobbiamo annullare la nostra
cultura, perché se noi affermiamo la nostra cultura sembra un'offesa per gli
altri. Ora, se io vado in un paese che ha una cultura diversa dalla mia
cerco di valorizzarne gli aspetti positivi, di entrare in un dialogo
simpatetico con quella cultura, per lo meno la rispetto se non riesco ad
amarla. Se chi viene fra di noi, non è in grado di amare o, almeno, di
rispettare la nostra cultura, onestamente, il problema è il suo. Nessuno può
chiederci di rinunciare ad avere una cultura, perché viene sentito come un
ostacolo per altri.
2° Guardate che chi viaggia nei paesi islamici, chi dialoga con l'Islam e
conosce l'Islam, sa bene una cosa: l'Islam ha molta più paura del vuoto di
valori che è diffuso da una certa cultura laicista che non del
Cristianesimo. Hanno molto più paura di "Dallas" - non la bella città
americana, dove anche sono stato professore - ma del telefilm: quella
immagine di un mondo in cui tutti i valori sono scomparsi e rimangono solo
l'usura, la lussuria ed il potere. Il loro timore è "volete renderci
simili a voi, facendoci perdere tutti i valori". E questo genera la
rabbia. Se, invece, ad esempio, uno dice "io sono cristiano e credo nella
santità del matrimonio, anzi ci credo più di te perché ho un'idea più
elevata della donna" - questa è una cosa su cui si può discutere.
Mentre, definire l'Europa come uno spazio vuoto di valori, non rende più
facile la convivenza, ma la rende più difficile! Perché chi viene e trova
uno spazio vuoto ha due reazioni: la prima, il disprezzo per una cultura
senza valori e, la seconda, il tentativo di riempire lui questo spazio
vuoto. Se, invece, gli si dice che questo è uno spazio pieno, lui cercherà
di dialogare con questo spazio pieno chiedendo il rispetto per la sua
cultura, ma anche esprimendo il rispetto per la cultura che trova. Per
questo abbiamo fatto un emendamento all'articolo due della nuova
Costituzione Europea, in cui inseriamo il richiamo alle radici cristiane.
Secondo me, se non è l'articolo due va bene lo stesso. Stiamo trattando, in
politica si tratta su tutto. Pare che, invece che nell'articolo 2, il
richiamo alle radici cristiane potrebbero metterlo nel Preambolo. Va
ugualmente bene. E se ci dicono che oltre alle radici cristiane occorre
aggiungere le radici ebraico-latine va ugualmente bene, perché corrisponde
alla realtà. Non chiediamo privilegi, chiediamo un Europa che abbia il
coraggio di dire la verità su se stessa.
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Don Luigi Negri
Vorrei
fare soltanto alcune osservazioni di conferma ed, eventualmente, di
documentazione a quello che Rocco Buttiglione ha già detto.
Una prima
osservazione:
la tradizione cristiana, la tradizione cattolica è
inscritta profondamente nella struttura culturale ed antropologica
dell'Europa. Lui ha già usato la parola più sintetica, il valore più
sintetico ed espressivo: la persona. Questa realtà irriducibile a
qualsiasi altra, perché sta sola di fronte al Mistero di Dio e, quindi, non
è riducibile né alle condizioni fisiche in cui vive, né alle condizioni
politiche. Ma questa "persona" dotata della straordinaria capacità che si
chiama libertà: quella di scegliere, di affermare il positivo, di
affermare il negativo e, quindi, una libertà che costruisce. Una
libertà che costruisce società, costruisce famiglia, dialogo fra le
famiglie, stanziamento delle famiglie in un territorio, creazione di
istituzioni e strutture. Fino all'ultima struttura: quella della conduzione
politica che deve garantire che la polis, la società, non sia
semplicemente una regolamentazione dall'esterno, ma sia una guida attiva del
bene comune, nel rispetto delle differenze, delle persone, delle famiglie,
dei gruppi. L'Europa ha questa tradizione: una tradizione di personalismo
libero, responsabile che ha avuto sempre una profonda pietas, una
profonda consapevolezza dei propri limiti e del cammino faticoso con cui si
è creata l'Europa. L'Europa non si è creata dalla sera alla mattina, come
per un progetto ideologico, ma è stato un lungo cammino di inculturazione
della fede e, in questa inculturazione della fede, i limiti ancestrali
delle razze, dei popoli che per qualche secolo sono venuti rovinosamente
l'uno contro l'altro ha trovato una possibilità di reale educazione. Per
questo, se la parola "persona" sintetizza la tradizione cristiana
dell'Europa, c'è un'altra parola che è come il riverbero di questa prima ed
è la sua espressione più significativa: libertà. L'Europa è stata il
luogo della libertà. Della libertà positiva, della libertà di costruire. Un
grande storico francese - René Grousset - in un grande volume - "Bilancio
della Storia" - ha detto: "sempre l'Europa ha messo la libertà contro
l'assolutismo". Dal tempo dello scontro fra i Greci e i Persiani, nel
momento della straordinaria e, per certi aspetti, inconcepibile impresa di
Alessandro Magno di portare la persona e la libertà fino agli estremi
confini dell'Asia, nel confronto duro con gli Arabi, con i Turchi e, forse,
anche nel contrasto non meno duro con i popoli delle steppe eurasiatiche,
l'Europa ha difeso la libertà. Questi sono i valori della tradizione.
Togliere ogni riferimento alla tradizione cristiana vuol dire dare
dell'Europa un'immagine monca, in ciò che è così essenziale non per un
determinato momento della storia, ma per l'uomo in ogni momento della
storia. Perché
se l'uomo non è persona, e se non è persona libera
non è più uomo nella radicale e definitiva rivelazione che il
Cristianesimo ha fatto di una profonda esigenza della natura - che la
filosofia greca aveva siglato nella grande filosofia platonico-aristotelica.
Seconda
osservazione.
Vorrei chiamare in causa del Magistero dei Papi - che
hanno sempre parlato dell'Europa nei termini che abbiamo formulato anche
noi, questa sera - quello che mi sembra lo specifico dell'insegnamento di
Giovanni Paolo II. E non soltanto di Giovanni Paolo II, perché c'è un
predecessore di Giovanni Paolo II che ha avuto, per molti aspetti, una
vibrazione estremamente simile a quella di Giovanni Paolo II: Leone XIII.
L'insegnamento di questi due Papi, ovviamente riconosce che i valori della
tradizione cristiana fanno parte della tradizione europea, ma il Papa cerca
di chiarirci in che modo sono nati questi valori e perché sono nati. Sono
nati perché la Chiesa non è stata un progetto ideologico, ma è stata
un movimento di vita. Questi valori sono stati creati, perché il
popolo cristiano - quello che Paolo VI definiva una "entità etnica
sui generis"- un popolo che non nasce dalla carne e dal sangue, per
dirla con San Giovanni, ma che da Dio è generato - ha creato la cultura e
la civiltà europea, non prefiggendosi di creare una cultura, ma
vivendo. Vivendo, mangiando, bevendo, vegliando e dormendo, vivendo e
morendo, non più per se stessi, ma per il Signore. La Chiesa ha creato
cultura, perché è stata un movimento di vita.
La grande alternativa,
nella storia, è sempre fra l'ideologia e la vita. O, per dirla con più
radicale chiarezza, - come ha detto Rocco Buttiglione -
fra ideologia e
cultura. Perché
la cultura è l'espressione di un popolo, è la
coscienza critica e sistematica di un popolo. È la coscienza che un popolo
ha di sé, della propria identità, dei propri valori e che li testimonia,
prima ancora che parlandone, perché li vive. La cultura viene sempre un
istante dopo la vita. La Chiesa Cattolica è stata in Occidente matrice di
cultura, potremmo dire, paradossalmente. Ma un paradosso abbracciato da uno
dei più grandi storici dell'Europa moderna che non era cristiano: Arnold
Toynbee. La Chiesa ha costruito l'Europa senza volerlo, quasi senza volerlo,
dando espressione e spessore, non ad un progetto ideologico, ma ad una
esperienza di vita. Quando, a Subiaco, S. Benedetto e i primi monaci hanno
deciso di vivere sine glossa il Cristianesimo, nessuno di loro poteva
pensare che da quell'impegno di essere veri con Cristo nella loro comunione
sarebbe nato un movimento di civilizzazione. Un movimento di civilizzazione,
per cui la persona era ovviamente al centro, ma era al centro della società
perché era al centro della Chiesa. La libertà diventava caratteristica della
persona anche a livello civile, perché era caratteristica della persona
nella communio ecclesiale. Un movimento di vita che ha creato questi
valori che, ormai, fanno parte del DNA dell'Europa. Tanto è vero che sono
costretti, vorrei dire, ad affermarli anche quelli che non sono professanti
cattolici, perché sono stati creati non da un progetto ma da una esperienza
di vita. Un movimento di vita, cioè una vita di un uomo cosciente della
propria identità, della propria origine, cosciente del proprio destino: una
cultura. Come ce lo ha insegnato il Papa:
"una fede che non diventa
cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non
fedelmente vissuta". Un uomo con un cuore nuovo, a cui la fede dona un
cuore nuovo, cioè una capacità di affermare e condividere l'altro nella sua
diversità, senza ridurlo a sé, che è, invece, la caratteristica tipica
dell'ideologia. Perché l'ideologia riduce tutto al proprio schema, mentre la
fede e la carità aprono il nostro schema allo schema di Dio. E lo schema di
Dio comprende tutte le diversità, perché Dio è uno ed è padre di tutte le
diversità, avendo lasciato gli uomini liberi di affermare o di negare la sua
stessa presenza. Questa è la grande riscoperta della parola Europa, nel
magistero di questo Papa. La Chiesa ha creato l'Europa, perché è stata
Chiesa, non perché ha avuto il progetto di creare l'Europa.
L'Europa è
stata come l'opera di cultura e civilizzazione
di un popolo che ha vissuto la fede.
Terza osservazione.
È indubbio che questo movimento di vita, per difficoltà
interne che non si devono sottovalutare - crisi interne ideali e culturali,
certamente più gravi di quelle morali - ma, soprattutto, per un movimento
ideologico che si è creato contro la Chiesa, l'Europa ha visto sorgere nel
suo seno,
l'ideologia: il tentativo di creare, a freddo, astrattamente,
una immagine di uomo e di società senza Dio.
Un uomo ed una società
senza riferimenti religiosi. Una politica che risponde solo a se stessa,
cioè al rigore delle procedure che l'hanno fatta nascere. La
secolarizzazione che, certamente, - non possiamo negarlo - appartiene
anch'essa alla tradizione europea, ha avuto il volto della
scristianizzazione.
E la scristianizzazione ha avuto due facce che, ora,
sono chiaramente visibili:
la prima, - la
più radicale e rovinosa - quella
di annientare il popolo cristiano, annientare la Chiesa come movimento di
vita. L'enorme tributo di martirio che ha caratterizzato la vita della
Chiesa in Europa negli ultimi secoli, e segnatamente nell'ultimo secolo, il XX, - riscoperto da grandi giornalisti, ma soprattutto per l'iniziativa del
Papa - di oltre quaranta milioni di cristiani martirizzati da sistemi
ideologici che, ancora oggi, segnano di martirio la presenza cristiana.
La seconda, non meno grave, e, per certi aspetti
più pervasiva, è quella di
ridurre il movimento di vita della fede a qualche cosa che può essere ideologizzato: la Chiesa come agenzia di valori pedagogici. Questo
riconoscevano i rivoluzionari francesi nella costituzione civile del Clero:
i preti educassero alla moralità il popolo, perché lo Stato non aveva questa
forza. Questo riconosceva il fascismo italiano nella sua riforma gentiliana
della scuola, quando metteva la Religione come propedeutica e premessa
all'appartenenza fascista. Ridurre la Chiesa a parte di sé, condizionarla in
tutti i modi nell'esercizio della sua libertà. La Chiesa se tende ad avere
una sua espressione culturale e sociale dipende dalla Stato. Libera Chiesa,
in libero Stato. Se la Chiesa vuole essere un popolo deve fare i conti con
lo Stato e deve accettare le regole dello Stato. Se la Chiesa accetta di
essere un fattore sostanzialmente ideologizzabile, cioè ricondotto ad un uso
ideologico, allora la Chiesa può esistere come opzione individuale, come
spiritualità individuale, come esegesi, come impegno etico a servizio delle
classi povere, come uno sforzo che non ha la forza del popolo, ma che copre
certi interessi e certi bisogni, che risponde a certe necessità senza
mettere in crisi la cultura e l'ideologia di una società. Rocco Buttiglione
ci ha insegnato, anni fa, a leggere la storia della Dottrina sociale della
Chiesa - dal 1848 fino al 1991 con l'enciclica "Centesimus annus"-
come una grande lotta che il supremo magistero della Chiesa ha fatto, non
per contrapporre ai contenuti ideologici del laicismo i contenuti ideologici
della tradizione cristiana, ma per contrapporre al movimento ideologico che
strozzava l'Europa - e al di là di essa, strozzava il mondo, perché l'Europa
era diventata la capitale del mondo nel 19° e nel 20° secolo - un'altra
cultura, la cultura di un popolo che chiedeva la centralità della persona;
la cultura che chiedeva la superiorità della società sullo Stato e lo Stato
a servizio della società; che chiedeva quella rigorosa distinzione fra
struttura politica e realtà ecclesiale che è stato il vanto del Magistero
cattolico dai tempi di Papa Gelasio fino al Concilio Ecumenico Vaticano II.
La Chiesa, dunque, non può accettare di essere ridotta ad un
fattore ideologico o ideologizzabile e la crisi che serpeggia, a mio
parere, in tante espressioni del mondo cattolico di oggi è la tendenza a
pensarsi e a farsi considerare come "agenzia", come un particolare che la
cultura ideologica può utilizzare, anziché come una cultura autonoma che ha
una sua originalità, che ha una sua identità, che ha una sua antropologia,
che ha una sua concezione della società e, quindi, che ha una sua concezione
della politica. Per questo - e concludo -
il Papa non difende una tradizione
del passato, difende il presente di questa tradizione. E il presente di
questa tradizione è la vita, oggi, del popolo cristiano. E oggi il popolo
cristiano è una realtà viva, non che difende contenuti del passato, ma che
li ripropone continuamente secondo la formalità e le esigenze del presente.
Il Papa che difende così attivamente la tradizione è anche il Papa che ha
chiesto alle Chiese, in particolare alle Chiese europee, di riprendere la
propria soggettività evangelizzatrice. È il Papa che alla sua prima visita
in Francia, proprio all'aeroporto, guardando l'impressionante fenomeno della
folla che era concorsa a salutarlo disse una frase terribile, semplicissima
e profondamente paterna:
"Francia, decidi. Chi ami tu? Di chi ti
fidi?" E alla Chiesa italiana, radunata non lontano da qui, al Congresso
di Loreto, nel 1995, disse: "Oggi la tradizione cattolica del vostro
Paese rischia di essere completamente superata"; e aggiunse -
quasi gridando - "è necessaria nel vostro Paese una nuova implantatio
evangelica". Il Papa difende la nostra tradizione, ma il Papa
ci interpella nel nostro presente. Potremo seguirlo in questa difesa
appassionata di un passato che diventa presente se risponderemo alla sua
interpellanza; e la sua interpellanza è a noi cristiani: chi amate voi
cristiani? Di chi vi fidate? Il movimento della fede è il movimento della
vita. La fede è un principio di vita e, quindi, di conoscenza e di azione, o
la fede è un particolare totalmente inseribile nella ideologia mondana?
Il Papa certamente difende la Chiesa di fronte al mondo e la difende da par
suo, ma insieme il Papa interpella la nostra coscienza e la nostra libertà
cristiana. Non si può mai sentire parlare il Papa di nessuna cosa, ma
particolarmente dell'Europa, senza rendersi conto che ciascuno di noi deve
rispondere positivamente a questa sua interpellanza: chi amiamo? Che cosa
vogliamo nel mondo? La semplice radicalità con cui Benedetto ha voluto la
fede e ha contribuito alla nascita dell'Europa. Se saremo uomini di fede
daremo il nostro contributo all'Europa del terzo millennio, altrimenti il
passato finirà per essere una cosa che, non essendo la passione del nostro
presente, difficilmente potrà essere la passione di quelli che ci circondano
e ai quali non saremo più neanche in grado di proporci. Difendere
l'Europa cristiana vuol dire rinnovare l'impeto della fede e della missione
cattolica oggi, all'inizio del tertio millennio ineunte.
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