Europa |
Multiculturalità
La nuova Costituzione europea. L’Europa e la
sua tradizione. L’Est e l’Ovest. Le condizioni di una convivenza tra
popoli. Il compito dei cristiani e la rilevanza della presenza della
Chiesa. Nessuna fuga nostalgica nel passato. Parla il professore
Lobkowicz |
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a cura di Monica Scholz
Professore, identità e
tolleranza sembrano essere oggi concetti inconciliabili. Proclamare la
propria identità implicherebbe intolleranza verso altri. Cosa ne
pensa? L’islam, per esempio, ha una comprensione del diritto diversa da quella europea. In Europa, soprattutto nell’Ovest, siamo riusciti a “secolarizzare” il politico: attraverso un processo difficile e non sempre coerente siamo arrivati a una distinzione fra politica e religione. In questo modo si è creata la base per una convivenza fra diverse opinioni e convinzioni. La tolleranza è diventata perciò prima di tutto una dimensione dell’individuo e, in una certa misura, della società. Del resto, il rimprovero d’intolleranza mosso alla Chiesa cattolica non solo non è fondato, ma è interessante notare che spesso esso nasca dalle proprie fila. La Chiesa stessa ha contribuito a discernere fra le due potestas.
Al di là degli accordi
strategico-militari, cosa è cambiato in Europa, secondo lei, dalla
caduta del muro di Berlino a oggi? All’inizio c’è stato il trasferimento dall’ovest all’est di una certa “ricchezza a buon mercato”, fatta di jeans e pop, una specie di “macdonaldizzazione”. Ma in molte regioni è andato all’inizio peggio che sotto il comunismo. Grandi firme hanno aperto negozi in città in cui nessuno poteva comprare le loro offerte, ma forse è meglio non poter comprare certi articoli che non poter comprare del tutto. Ci sono stati anche tanti imbrogli, per esempio da parte di assicurazioni. Lentamente sta iniziando un processo di comprensione. Noi nell’Ovest, dopo il 1945, abbiamo avuto uno sviluppo spirituale, per esempio una riflessione sui diritti umani, sulla tolleranza, sul rapporto fra Stato e società. I Paesi dell’Est non hanno ancora fatto questo cammino e si trovano nella situazione di dover recuperare i concetti democratici. Gli stessi giornalisti dell’Est si trovano impacciati oggi nello scrivere un semplice reportage o un commento, tanto che la Rfe (Radio Europa Libera) ha organizzato a Praga un convegno per 150 giornalisti con lo scopo di trasmettere loro un nuovo metodo di lavoro. Per quanto riguarda la vita religiosa, la situazione è comunque molto differente da Paese a Paese. Ci si trova a dover riprendere sulle rovine di una cultura distrutta dal comunismo. In Boemia, per esempio, solo il 30% è rimasto cattolico e il 15% è praticante. Ma in generale i giovani dimostrano un interesse per il fatto religioso, per una proposta che riesca a rispondere alle loro domande e alle loro esigenze. Inoltre va osservato che tanti dei cristiani che hanno tenuto duro sotto il regime comunista sono quelli che oggi ricoprono le nuove funzioni pubbliche.
Nei documenti preparatori della
Costituzione europea il cristianesimo è relegato a un “eccetera”. Come
giudica questa situazione e come pensa debba essere posto il problema? Nel rapporto tra Stato e Chiesa penso che qualsiasi restrizione all’azione della Chiesa andrebbe contro i diritti umani come tali. Per questo le frasi che si riferiscono alla libertà delle Chiese, delle religioni sono quelle decisive delle costituzioni moderne. Questa libertà non è un privilegio, ma un’esigenza fondamentale di qualsiasi diritto moderno. Alla Chiesa, peraltro, non fa bene stare troppo vicino alla Stato. La Chiesa deve poter avere la possibilità di annunciare, indipendentemente dallo Stato, ciò che le sta a cuore. A questo punto occorre considerare che anche i musulmani o aderenti ad altre religioni esigono questi stessi diritti. Credo quindi che la Chiesa debba buttarsi nella battaglia aperta delle opinioni, senza violentare nessuno, ma cercando di conquistare la comprensione della società sui punti fondamentali della dignità umana. Bisogna ritornare a una posizione originaria che riaffermi i valori umani. È di primaria importanza che venga riaffermata la dignità dell’uomo, la garanzia della sua libertà e dei suoi diritti fondamentali, che non provengono dallo Stato, ma lo precedono. Questo sarà la parte decisiva della Costituzione. La Chiesa dovrà salvaguardare quei valori umani che lei stessa ha portato e inoltre chiarire un fraintendimento presente nella maggior parte degli europei e purtroppo anche fra tanti dei suoi fedeli: che ciò che lo Stato non proibisce o permette sia per questa ragione di per sé morale. Nel ’90 il cardinale Tomasek, vedendo la tragica situazione della Chiesa, disse che forse ora per i cattolici era venuto il momento di prendere una decisione cosciente e personale, perché un’appartenenza semplicemente basata sulla tradizione potrebbe venire meno di fronte a certi conflitti o contraddizioni. La positività di questa situazione è che chi è cristiano oggi lo è perché lo ha deciso lui, non solo perché è nato in una famiglia o tradizione cristiana. Forse ci ritroveremo come i primi cristiani a Roma. E gia è un po’ così. Quanti cristiani sono cristiani da dare la vita, da rischiare pubblicamente una posizione?
Una certa riduzione del concetto
di ragione ha favorito l’emergere di forme irrazionalistiche... Di
fronte a quale fenomeno ci troviamo?
A cosa sono chiamati, allora
oggi, i cristiani?
Mi sembra che il modo
più significativo per una cristianizzazione o ricristianizzazione
dell’Europa sia quello che uno possa incontrare sul posto di lavoro un
collega così diverso, così affascinante da doversi chiedere: «Perché è
così, qual è il suo segreto?».
Non dobbiamo cedere alla tentazione di una nostalgia del passato:
dobbiamo attraversare questo tempo, attraversare i problemi che ci
pone testimoniando il nostro “segreto”. |
Europa: «Multiculturalità - Intervista a Lobkowicz: Identità e tolleranza» a cura di Monica Scholz, Tracce, Luglio 2002