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di
Antonio Socci
Ma davvero “non c’è più religione”? O invece ha ragione il Wall Street
Journal che qualche mese fa titolava un editoriale “The Christian
Century”, segnalando un grande ritorno di Dio in corso nel neonato XXI
secolo? La modernità porta inevitabilmente alla scristianizzazione o
invece è vero ciò che “fiuta”, in base a dati e studi approfonditi, il
pragmatico quotidiano della finanza internazionale?
Nell’Ottocento fu “profetizzata”, anche da Marx, la progressiva
sparizione della religione, considerata “una menzogna idealistica”.
Auguste Comte fonda la “sociologia” proprio sulla persuasione che tali
“fantasie” sarebbero svanite. Cosicché un esercito di intellettuali
negli anni Sessanta e Settanta ancora proclamavano, con Anthony
Wallace, che “il futuro evolutivo della religione è l’estinzione”.
Secondo costoro il progresso scientifico, il consumismo e la modernità
avrebbero dissolto Dio come nebbia al sole.
E’
paradossale che proprio il mondo cattolico, dagli ecclesiastici agli
intellettuali (compreso chi scrive), abbia inavvertitamente
abbracciato queste tesi. E’ infatti diventato ovvio per tutti noi
considerare la modernità come un equivalente della scristianizzazione
e indicare la minaccia per la fede cristiana in “consumismo e
individualismo”.
Queste parole
sono risuonate in un importante discorso alla diocesi ambrosiana del
cardinal Tettamanzi (che ha detto però altre cose belle e preziose, su
cui torneremo). Ebbene c’è un fenomeno, enorme, che fa letteralmente
saltare questo teorema: gli Stati Uniti d’America.
“Il basso
tasso di pratica religiosa in molte nazioni europee è stato
interpretato come una conferma di questa tesi, mentre l’enorme vigore
religioso degli Stati Uniti ha sempre costituito una grande difficoltà
all’applicazione della tesi della secolarizzazione”. Così scrivono
Rodney Stark (docente a Washington, un sociologo americano fra i più
autorevoli) e Massimo Introvigne (fra i maggiori esperti di movimenti
religiosi) in uno studio dal titolo sorprendente: “Dio è tornato”
(sottotitolo: “Indagine sulla rivincita delle religioni in
Occidente”).
Negli Usa in
effetti “nonostante l’immensa popolarità della scienza e l’alto
livello di istruzione, la religione non mostra alcun segno di
declino”. Altissima è la percentuale di credenti e praticanti delle
varie denominazioni e la religiosità pervade perfino il discorso
pubblico, a cominciare dalle maggiori istituzioni legislative, come si
è visto dopo l’11 settembre.
Se dunque
la modernità, il consumismo e l’individualismo mandano Dio in soffitta
com’è possibile che proprio il Paese leader del mondo, quanto a
modernità, istruzione e benessere, sia anche quello più profondamente
religioso? Stark e Introvigne hanno il merito di segnalare una vera e
propria svolta avvenuta nella sociologia contemporanea di cui il mondo
cattolico e quello ecclesiastico non si sono ancora accorti.
Un “mutamento di
paradigma”. In soldoni la teoria della scristianizzazione è stata
giudicata sbagliata ed è oggi accantonata. La modernità non significa
affatto secolarizzazione ed è in corso piuttosto il ritorno di Dio. Il
libro di Stark e Introvigne fornisce i dettagli dell’inversione di
rotta. Intanto – documenti storici alla mano – si scopre che “apatia ,
eterodossia e agnosticismo popolari sono esistiti di gran lunga prima
dell’industrializzazione”. Le élite di un tempo erano fortemente
cristiane e la cultura cattolica era egemone, esprimeva il senso
comune, ma se per esempio si va a vedere lo stato del clero e della
frequenza popolare alla messa e ai sacramenti ai tempi del Concilio di
Trento, soprattutto nelle campagne, scopriamo che la situazione era
assai peggiore di quella odierna. Così in altre epoche.
Oggi poi i dati e le indagini dell’ultimo decennio non parlano affatto
di declino religioso e cristiano in particolare. Al contrario.
L’Italia venti anni fa era annoverata fra le nazioni che si stavano
secolarizzando, ma Stark e Introvigne constatano invece attualmente
“un sostanziale risveglio religioso”. Rilevato per esempio dall’
Inchiesta europea sui valori. Vediamo qualche dato. Dal 1981 al
1999, passano dal 35 al 40 per cento coloro che “frequentano una
comunità religiosa ogni settimana”. Dal 47 al 61 per cento coloro che
“credono in una vita dopo la morte”, e viceversa dal 19 al 5 per cento
quelli che “considerano la credenza in Dio non importante”.
Ancora più alti i valori per i giovani fra 18 e 29 anni: per esempio,
passano dall’83 al 94 per cento quelli che “credono in Dio”. Il
fenomeno è stato rilevato anche in una recente indagine Eurisko
pubblicata il 22 giugno dalla Repubblica. Vi si scopre che il
50,7 per cento degli italiani prega almeno una volta al giorno (nove
anni prima era il 41 per cento) e che il 61 per cento ritiene la
religione “importante” o “fondamentale” (nel 1994 questo valore era al
46 per cento).
Innanzitutto c’è da aspettarsi che anche la Chiesa prenda atto del
fenomeno e del “cambio di paradigma” della sociologia contemporanea.
Dobbiamo capire che la modernità, l’istruzione e anche il benessere,
di per sé, non spazzano affatto via la domanda di significato, cioè il
bisogno di Dio, ma anzi la ingigantiscono.
Il solo fenomeno
che i cristiani devono temere è semmai quando “il sale diventa
scipito” (lo dice già il Vangelo), cioè il venir meno dell’entusiasmo
della fede, la burocratizzazione del mondo cattolico, la mancanza di
presenza cristiana, di annuncio chiaro e deciso, di dinamismo
missionario, il conformismo che induce anche tanti pastori ad andar
dietro alle mode ideologiche del momento anziché a Cristo.
Lo si deduce anche dal nuovo modello sociologico che Stark e
Introvigne illustrano e che spiega contemporaneamente sia il fervore
religioso americano sia la secolarizzazione di alcuni paesi europei. A
loro avviso la “società aperta” americana costringe ciascuno a
ritrovare l’essenziale, l’identità. E così diventa persuasivo chi ha
una proposta più esauriente e convincente per la vita. “L’incapacità
delle denominazioni liberal a vendere se stesse efficacemente”
scrivono gli autori “trova la sua radice nelle loro dottrine: solo
vive concezioni di un supernaturale attivo e che si preoccupa degli
uomini possono generare un’azione religiosa davvero vigorosa”.
Il gergo sociologico è terribile, ma per i cristiani c’è di che
riflettere. E’ l’evidenza della presenza di Cristo, un incontro che
colpisce la mente e il cuore, a convincere, non una strategia
clericale e burocratica. Il mondo cattolico lo sta capendo? Forse sì.
E’ un bel segno dei tempi l’intervento del cardinal Tettamanzi che
ieri ha voluto dare una salutare scossa al mondo cattolico milanese,
con il suo forte richiamo alla missione. L’urgenza avvertita dal nuovo
vescovo di annunciare Gesù Cristo corrisponde a una fortissima attesa
degli uomini che la Chiesa non può disattendere. Lo fa capire anche
l’impressionante reportage di Magdi Allam, uscito sul Corriere
della sera, sui tanti musulmani che in Italia si sono convertiti
(più o meno segretamente, a causa dei pericoli conseguenti) al
cristianesimo.
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