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di
Pietro
Gheddo
È la prima volta, da quasi
vent'anni, che sui media internazionali si parla della Birmania (o Myanmar),
Paese quasi sempre dimenticato. Dal 1962 è oppresso da una dittatura
militar-socialista (o meglio, comunista), che schiaccia il popolo ma non
rappresenta alcuna minaccia diretta per l'Occidente. Dalla metà dell'agosto
scorso, a causa dell'aumento improvviso del prezzo di benzina e gasolio che
ha tagliato le gambe alla piccola economia, il popolo è sceso nelle piazze e
a settembre si sono uniti i monaci buddhisti, anch'essi sfilando per le
città nelle loro tuniche color zafferano-rosso. Per un po' di giorni i
militari non hanno reagito, poi s'è scatenata la repressione che ha
rapidamente eliminato il fastidioso spettacolo, trasmesso da tutte le
televisioni del mondo.
Era dal 1988 che non si verificava in Birmania una ribellione popolare su
scala nazionale, iniziata dalla protesta degli studenti per la frequente
chiusura delle scuole superiori e delle università. Com'è noto, allora la
giunta militare aveva dovuto lasciare una qualche libertà alle opposizioni,
a causa delle forti pressioni internazionali. Nel 1990 si erano tenute delle
"libere" elezioni, dalle quali uscì trionfante la Lega per la Democrazia di
Aung San Suu Kyi, mentre il Partito socialista birmano dei militari aveva
avuto il 10% dei voti. Qualche anno dopo tutto era tornato come prima: la
Suu Kyi non ha mai governato, i suoi deputati eletti erano finiti in
prigione o fuggiti all'estero.
C'erano state alcune migliaia di morti, ma molti arrestati in quelle
manifestazioni erano finiti ai lavori forzati. Visitando la Birmania nel
1993, ho visto io stesso file di uomini legati a due a due con catene ai
piedi e sorvegliati dai militari col fucile puntato, che costruivano la
strada ai confini con la Thailandia (confine di Thachileik). Uno spettacolo
da brividi, tanto più che mi accompagnava diceva: «Muoiono come mosche,
vivono in capannoni di paglia, con poco cibo, senza riparo dal caldo e
freddo dei monti e senza assistenza medica; e la grande maggioranza sono
uomini di città, non più abituati a lavori pesanti e alla vita in foresta».
Si teme che anche la recente ribellione con i monaci in prima fila finisca
allo stesso modo, nonostante le pressioni internazionali, inconcludenti per
il semplice motivo che dal 1990 a oggi la Birmania ha acquistato un potente
protettore nella Cina comunista, oggi tornata alla ribalta come grande
potenza e bisognosa di avere uno sbocco sull'Oceano indiano. Un testimone
oculare un anno fa circa mi scriveva: «I militari stanno costringendo i
contadini a coltivare l'oppio per loro e fanno della Birmania il maggior
esportatore del mondo... Oggi la Cina rifornisce i militari di armi per
ripagare i legni pregiati, i minerali, il gas e il petrolio; costruiscono
strade, ci inondano dei loro prodotti».
I cinesi sono già in Birmania, "colonizzano" alcune regioni tribali di
confine che sono autonome. Ne ho visitato una nel 2002, con la loro piccola
capitale Mong Lar invasa dai cinesi: scritte cinesi, taxi cinesi, moneta
cinese, ristoranti cinesi, lavori cinesi che modernizzano la città con
palazzi mai visti da quelle parti, canalizzano l'acqua, assicurano
elettricità e acqua corrente. È facile capire perché Cina e Russia si
oppongono alle sanzioni decretate dall'Onu. Oltre all'interesse economico e
strategico di queste due potenze c'è il fatto, di cui assolutamente non si
parla, che il colpo di stato che il 2 marzo 1962 ha portato le forze armate
al potere assoluto non era fatto solo da "militari", ma da militari
"socialisti", cioè in pratica "comunisti", che si ispiravano ai modelli di
sviluppo della Russia staliniana e della Cina maoista. L'hanno dimostrato
subito quando hanno varato in quell'anno 1962 il Lanzin, cioè "la
via birmana al socialismo", un socialismo "ispirato al buddhismo", anche se
poi di buddhista non ha assolutamente nulla. Nel "Programma" del Lanzin,
tra le idee di base da cui partire per una società nuova, si legge: «Al
posto di dio (minuscolo) bisogna mettere l'uomo, che è l'essere supremo...
La filosofia del nostro partito è una dottrina puramente mondana e umana.
Essa non è una religione... La storia dell'umanità è non solo storia di
nazioni e di guerre, ma anche di lotta di classe. Il socialismo intende
mettere fine a questo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. L'ideale del
socialismo è una società prospera, ricca, fondata sulla giustizia. Non c'è
posto per la carità. Noi faremo di tutto, con metodi appropriati, per
eliminare atti e opere di falsa carità e assistenza sociale. Lo stato pensa
a tutto. Nutrire ed educare i figli dei lavoratori sarà esclusiva
responsabilità dello stato, quando ci saranno abbastanza risorse economiche.
L'attività di imprese sociali fondate sul diritto di proprietà privata è
contro natura e non fa che sfociare in antagonismi sociali. La proprietà dei
mezzi di produzione deve essere sociale... Un'azione può essere considerata
come retta, morale, solo quando serve agli interessi dei lavoratori. Per un
uomo, lavorare tutta la vita per il benessere dei suoi concittadini e per
quello dell'umanità in spirito di fratellanza è il "Programma delle
Beatitudini" per la Società dell'Unione Birmana».
In base a questi principi, uno dei primi decreti del governo è l'abolizione
del buddhismo come "religione di stato" (lo era da subito dopo
l'indipendenza del 1948). Poi il governo nazionalizza le banche, le
industrie, le piccole e medie aziende artigianali, i negozi e le terre, i
giornali e le radio, gli alberghi e i ristoranti e via dicendo. Scomparsa la
proprietà privata, tutto è dello Stato, che orienta ogni cosa al bene
pubblico. Infine, il 31 marzo 1964 vengono requisite le scuole e le
strutture sanitarie private (con le loro terre e mezzi di trasporto: ai
proprietari restano solo i debiti), in buona parte cattoliche e protestanti
(soprattutto battiste e anglicane). Il regime nel 1966 espelle tutti i
missionari entrati in Birmania dopo il 1964, fra i quali trenta del Pime,
mentre altri trenta arrivati prima rimangono. Poi, a poco a poco, il governo
si è accorto che avrebbe scontentato troppo il popolo e ha lasciato
sopravvivere le religioni; fino al punto che i buddhisti si sono
riconciliati e hanno appoggiato la giunta, che assicurava comunque stabilità
a un Paese che nei 14 anni del governo democratico (1948-1962) aveva
conosciuto la guerra civile. La svolta è avvenuta nel 1988 e da allora fino
a oggi i buddhisti sono stati all'opposizione.
Occorre spiegare come mai il buddhismo, che predica il distacco dalle cose
mondane, la rinunzia a tutto, l'accettazione passiva per assicurarsi una
rinascita più felice, in Birmania oggi si impegna contro il governo. In
sintesi, si può dire che la rinascita del buddhismo nel mondo moderno (parlo
soprattutto della "piccola via", l'hinayana, praticata in Sri Lanka,
Birmania, Thailandia, Cambogia e Laos) è iniziata alla fine dell'Ottocento
col nascere del nazionalismo in questi Paesi allora colonizzati (eccetto la
Thailandia). L'identità nazionale comprendeva la lingua, la storia e
naturalmente la religione e la cultura buddhista, radicatissime in quei
popoli. Questo movimento ha portato i bonzi, i monaci e i fedeli laici a
capire che la loro religione, secondo i principi dottrinali antichi e la
tradizione storica, non poteva sopravvivere nel mondo moderno, che dava
importanza alla scuola, alla politica, all'organizzazione popolare, al
benessere sociale. I nazionalismi in Asia sono stati tutti ispirati alle
religioni popolari: basta pensare al Pakistan e, oggi, allo Sri Lanka, con
la guerra civile fra maggioranza singalese buddhista e la minoranza tamil
hindù.
Il rinnovamento del buddhismo ha avuto vari aspetti: modernizzazione delle
scuole dei monasteri, fondazione di centri di studio e università buddhiste,
inizio di associazioni laicali, fondazione di molte opere sociali per il
popolo (a imitazione delle missioni cristiane), che prima assolutamente non
esistevano. Ho visitato l'università buddhista di Kandy, in Sri Lanka, e mi
sono reso conto della complessità del buddhismo, a partire dalla difficoltà
di stabilire quali sono i testi di Buddha. Il vescovo di Kandy (che ha
studiato in quella università) mi diceva che oggi i testi della tradizione
in varie lingue (sanscrito e pali soprattutto) attribuiti a Buddha, che sono
le Sacre Scritture del buddismo, sono 11 volte più lunghi dell'intera Bibbia
(che ha 72 libri canonici). Gli studi critici, iniziati da studiosi inglesi
e tedeschi poco più d'un secolo fa, sono praticamente ancora agli inizi, nel
mare magnum di questa letteratura (anche in singalese, birmano,
thailandese, cambogiano, vietnamita, ecc.). Scientificamente non è ancora
possibile dire cosa ha detto o non detto Buddha. Questo vale anche, in
misura minore, per Maometto e il Corano!
Tutto ciò non impedisce al buddhismo popolare birmano non solo di
sopravvivere, ma di avere una seconda giovinezza e di essere sempre più
l'anima del popolo, anche come unica forza di opposizione, data la pratica
eliminazione di tutte le altre. La discesa in campo così massiccia dei
monaci buddhisti contro il governo nel settembre scorso è il chiaro indice
di come la situazione sia diventata insopportabile.
Inutile aggiungere altro. Se non riesce la pacifica rivolta popolare guidata
e animata dai bonzi, per Myanmar si aprono scenari ancora più cupi: potrebbe
diventare, per interposto governo "locale", una provincia cinese. I
governi europei e quello italiano cosa fanno? L'unica minaccia efficace di
boicottaggio spontaneo dell'Occidente sarebbe di non partecipare alle
Olimpiadi del 2008 a Pechino, ma mi pare che non ci siano ancora state
proposte e dibattiti seri in questo senso, nemmeno in Italia dove abbondano
i democratici, i pacifisti e i gruppi pronti a mobilitarsi per i diritti
dell'uomo. Per quale motivo?
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