Religioni |
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di
Lorenzo Albacete Recentemente sono stato a Louisville, nel Kentucky, per commemorare il secondo anniversario dell’attacco dell’Undici Settembre. Ho così partecipato a un “incontro interreligioso” sul tema “Il lato oscuro della religione”. La serata è iniziata con la proiezione di alcuni spezzoni del documentario televisivo realizzato lo scorso anno dalla Pbs, che, intitolato Faith and Doubt at Ground Zero, “Fede e dubbi a Ground Zero”, intendeva esplorare le conseguenze spirituali prodotte dallo shock di quell’attacco terroristico. Dato che in quel documentario ero apparso anch’io dicendo di avere riconosciuto sin dall’inizio la matrice religiosa di quel gesto, la paternità del tema della discussione di Louisville è più o meno ricaduta su di me. Gli altri oratori sono stati Helen Whitney, autrice, produttrice e regista del documentario; un ministro di culto luterano (processato per eresia per aver partecipato al servizio liturgico interconfessionale ufficiale, svoltosi allo Yankee Stadium in suffragio delle vittime della tragedia), un rabbino ebreo, un imam musulmano e una signora afroamericana, madre di una ragazza uccisa nell’attentato. La serata, senza posti a sedere, si è svolta nel seminterrato della cappella del seminario presbiteriano. (Il direttore del Centro Interreligioso ha significativamente detto: «Immaginate una folla di persone che esce la sera per partecipare a un incontro sui pericoli posti dalla religione a Louisville, nel Kentucky!»). La discussione seguita alla proiezione delle immagini, però, è stata piuttosto deludente. Ero andato pronto a sostenere che, di per sé, la passione religiosa è pericolosa se non viene adeguatamente educata, ma, eccezion fatta per il rabbino, non credo che i miei interlocutori abbiano compreso pienamente la cosa. (Eravamo, dopo tutto, a Louisville, nel Kentucky, nel Sud degli stati Uniti d’America, ovvero in uno dei luoghi più ardentemente religiosi di tutto il Paese nordamericano!). L’imam si è quindi lanciato in un’omelia che in sostanza intendeva spiegare come l’islam dovesse ancora fare i conti con la Riforma, come già aveva invece fatto il cristianesimo, e che i musulmani non si erano ancora scontrati con la critica moderna, come invece fatto dall’ebraismo. Prima che ciò avvenisse, ha detto l’imam, sia il cristianesimo sia l’ebraismo sono stati proni alla violenza come ancora lo è oggi l’islam. Dal canto proprio, il pastore luterano appariva ancora tutto traumatizzato per il processo per eresia che aveva subìto (è stato condannato, ma a quanto pare un tribunale superiore ha poi ribaltato la sentenza). Tutto ciò che ha fatto è dunque stato predicare in maniera commossa la causa della tolleranza. La signora afroamericana non ha invece mai vissuto una crisi religiosa e pare che sua figlia le appaia frequentemente; così non ha voluto dire alcunché sui pericoli della religione! (Era di gran lunga la persona più simpatica del gruppo degli oratori, tutta presa in un altro mondo rispetto a quello abitato da noi conferenzieri intellettuali ed ecumenisti impenitenti). Il rabbino, però, si è detto tormentato dai versetti anticristiani e favorevoli alla violenza che si trovano nei testi legati alla maggior parte delle celebrazioni ebraiche, tanto da decidere di votarsi completamente alla lotta contro l’intolleranza religiosa presente fra gli ebrei. Quanto al produttore agnostico del documentario televisivo e al monsignore cattolico che avevano dato inizio alla discussione, tutto ciò che in realtà abbiamo fatto è stato scambiarci note di lamentela sulla natura “ispirata” e moralizzante della discussione. (Il sottoscritto si è pure domandato se la cosa nel suo insieme meritasse davvero lo spazio di questo articolo). Il problema centrale resta però la riduzione della religione a morale, tragedia tipica, questa, del protestantesimo statunitense e trappola in cui anche il cattolicesimo sembra essere caduto, sia che la morale in questione abbia orientamenti di sinistra (come nei gruppi interreligiosi) sia che sia di destra. In verità, il caso più interessante si è rivelato essere proprio quello del pastore luterano. Almeno non era stato accusato d’immoralità, ma di eresia, ovvero di aver rinnegato la verità rivelata. I suoi accusatori hanno evidentemente a cuore la verità del Dio che adorano, esattamente come fanno i fanatici islamici. Solo che i luterani hanno conosciuto (in verità l’hanno addirittura incominciata!) la Riforma (questo tanto per fare i conti con il contributo dato dal luteranesimo alla tolleranza!). Ed è questa la questione che si deve affrontare davvero se si desidera comprendere la dimensione più significativa dei fatti dell’Undici Settembre: la verità rivelata e la tolleranza religiosa sono incompatibili? Oppure la risposta sta solamente in un sincretismo religioso vuoto e sentimentale che tralascia, oltre la nostra immaginazione, qualsiasi pretesa di Realtà, giudicandola incompatibile con la libertà? Sono queste pretese che rendono la religione pericolosa, a meno che la Realtà adorata non contenga in se stessa le basi della tolleranza. Ossia a meno che il Mistero non sia l’Amore. |
Lo spirito della democrazia: «Religioni. Sono mandrie di tori?» di Albacete Lorenzo, New York Times - Tempi, Numero: 38 - 18 Settembre 2003