Lo
spirito della democrazia |
«SuperBush Quando
la settimana scorsa gli è stato chiesto che cosa pensasse dei
democratici che hanno dichiarato la loro intenzione di concorrere alla
nomination per le elezioni presidenziali del 2004, |
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di Albacete
Lorenzo Quando la settimana scorsa gli è stato chiesto che cosa pensasse dei democratici che hanno dichiarato la loro intenzione di concorrere alla nomination per le elezioni presidenziali del 2004, il presidente Bush ha congedato la questione come si trattasse di un fatto marginale, come se fosse semplicemente troppo impegnato per prenderla in considerazione. Molti opinionisti concordano sul fatto che, in quanto uno dei politici più potenti nella recente storia americana, il presidente Bush non ha bisogno di sentirsene preoccupato. In ogni caso, i suoi aspiranti contendenti non hanno finora trovato niente di nuovo o di interessante da dire, e hanno lasciato che l’attuale programma politico venisse interamente definito dalle iniziative del Presidente. Occorre risalire fino alla prima parte della presidenza di Lyndon Johnson per trovare qualcosa di simile in America. E nemmeno allora Johnson aveva mai cercato di convincere l'ala liberale del partito democratico che lui era dalla loro parte. I ricordi del presidente Kennedy e le macchinazioni politiche dei fratelli Kennedy avevano sempre fatto apparire Johnson quale un intruso alla corte di Camelot (il mitico regno di re Artù e della Tavola Rotonda, reso popolare all'epoca da un musical di Broadway), mentre il governo Kennedy riteneva incarnarla. Anche quando Johnson usò il suo potere per far approvare il programma sociale più liberal nella storia della nazione (nell'ambito dei diritti civili e della cosiddetta “Guerra alla Povertà”), non riuscì mai ad ottenere il controllo totale del partito democratico. La tragedia della guerra del Vietnam, ad ogni modo, portò alla fine alla caduta di Johnson. Gli osservatori concordano sul fatto che oggi il presidente Bush ha una posizione molto più forte di quella di Johnson nei giorni della “Grande Società”. La sua “eliminazione” del senatore Trent Lott dal ruolo di leader della maggioranza senza sembrarne per nulla implicato è qualcosa che neanche Franklin Roosevelt avrebbe potuto fare all’apice del suo potere. Il Presidente sta gradualmente rimodellando il partito repubblicano: con abbraccia in parte le posizioni dei conservatori sociali (a chi altro potrebbero rivolgersi?), seguendo tuttavia il loro programma con cautela e moderazione, e allo stesso tempo tiene sotto controllo l’ideologia libertaria (quella del governo minimo) dei conservatori ideologici, che continuano a sognare i giorni di Ronald Reagan. Parallelamente ha dato priorità alla necessità di rivolgersi le minoranze. Bush avrà successo nel ridisegnare la politica americana? Molto dipende, naturalmente, dalla riuscita delle sue strategie in Irak e in Medio Oriente. Il popolo americano non si interessa della Corea del Nord perché non vede nessuna minaccia terroristica venire da quella parte del mondo. Il resto dipende dallo stato dell'economia. Questo è il punto in cui Bush padre ha fallito, e suo figlio è determinato a non dimenticarlo. Finché i democratici non avranno nessuna nuova idea circa questa sfida e continueranno a concepirne la soluzione in termini di divisione di classi, il presidente non avrà nulla da temere. |
Lo spirito della democrazia: «SuperBush (se non fa l’errore del padre)» di Albacete Lorenzo, New York Times - Tempi, Numero: 2 - 9 Gennaio 2003