Lo spirito
della
democrazia

«Bush ha convinto gli americani?»

Finalmente la settimana scorsa i principali giornali americani hanno pubblicato servizi circa l’opposizione dei più importanti leader ecclesiastici ad una guerra preventiva contro l’Irak.
 

 
di Albacete Lorenzo


Finalmente la settimana scorsa i principali giornali americani hanno pubblicato servizi circa l’opposizione dei più importanti leader ecclesiastici ad una guerra preventiva contro l’Irak. Il presidente della Conferenza episcopale cattolica, per esempio, ha consegnato a Condoleeza Rice una lettera in cui il Consiglio dirigente della Conferenza episcopale dichiara la sua opposizione ad un attacco americano all’Irak. I vescovi affermano che, poiché l’Irak non ha aggredito gli Stati Uniti, un attacco preventivo violerebbe la condizione della “legittima autorità” richiesta dalla dottrina della “guerra giusta”. Solo un ampio consenso mondiale in sede Onu, sostengono, soddisferebbe questa condizione. I vescovi hanno anche posto interrogativi circa i rischi di allargamento del conflitto che tale attacco potrebbe innescare, e la quantità di forza “sproporzionata” che potrebbe essere richiesta per arrivare alla vittoria militare.


I giornali hanno anche dato notizia dell’opposizione “del Vaticano” alla guerra, specialmente dai rilievi mossi dal cardinal Ratzinger e dal’osservatore vaticano uscente alle Nazioni Unite, mons. Renato Martino, che è stato nominato presidente della Pontificia Commissione Giustizia e Pace.


I capi di altre Chiese cristiane e persino organizzazioni ebraiche hanno espresso riserve simili circa un attacco americano all’Irak. L’attenzione riservata a questi pronunciamenti ha spinto altri leader religiosi a esprimere il proprio sostegno ad una guerra contro l’Irak. Si tratta per lo più di leader delle Chiese protestanti evangeliche note per il loro forte sostegno allo Stato di Israele, motivato non da ragioni politiche ma dalla loro interpretazione dell’insegnamento biblico circa la seconda venuta di Cristo, che a loro parere necessiterebbe dell’esistenza di uno Stato ebraico. Tuttavia la cosa più interessante è quanto poco impatto sull’opinione pubblica americana abbiano queste prese di posizione.


Al di fuori di coloro che condividono l’interpretazione filo-israeliana della Bibbia delle suddette Chiese evangeliche, non c’è nessun segno che l’opinione degli americani sulla guerra sia influenzata dalle prese di posizione dei loro leader. E ciò anche se l’opinione sull’eventuale attacco all’Irak è molto influenzata dalla lettura che gli americani hanno dato degli attacchi terroristici dell’11 settembre, caratterizzata da “toni religiosi”. La campagna contro l’Irak non è valutata in questi termini: quel che gli americani vogliono, è semplicemente che non si ripeta un altro 11 settembre. Se il presidente vuole il loro consenso, deve convincerli che l’attuale regime irakeno pone la minaccia di un altro attacco terroristico contro il paese, peggiore del primo. Finora Bush non è riuscito a convincere la maggioranza degli americani che le cose stiano così, lasciando aleggiare sospetti sulle vere ragioni del governo. Per questo ora è importante vedere come gli americani valuteranno il discorso di Bush del 7 ottobre.
 
 

Lo spirito della democrazia: «Bush ha convinto gli americani?» di Albacete Lorenzo, New York Times - Tempi, Numero: 41 - 10 Ottobre 2002