Lo
spirito della democrazia |
«Un
portoricano (e prete) a New York » Essere
cattolici (e preti) in America. Il passato glorioso e la crisi
postconciliare. Lo scandalo pedofilia e il nuovo che si affaccia. Il
collaboratore di Tempi (e del New York Times) racconta |
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di Albacete
Lorenzo Il primo sacerdote americano che incontrai fu quando frequentavo la scuola elementare nel mio paese natale di Portorico. Lo chiamavamo “padre Tom”. Era un sacerdote giovane, che veniva da New York e che si trovava a Portorico per imparare lo spagnolo per poter lavorare con la numerosa comunità portoricana della Grande Mela. A quell’epoca, a Portorico, il cattolicesimo era quello della Spagna di Franco. L’Arcivescovo di San Juan era americano, ma la grande maggioranza dei sacerdoti veniva dalla Spagna. Nella Spagna di Franco guidavano una Chiesa che si identificava col governo e avevano un’influenza grandissima sulla vita della gente. Venivano trattati con grande rispetto e colmati di privilegi. A Portorico, servivano persone totalmente impegnate nel separare la Chiesa dallo Stato, secondo la Costituzione degli Stati Uniti. Sebbene la maggioranza della gente fosse cattolica, e il cattolicesimo popolare facesse parte della cultura, la Chiesa cattolica non godeva di nessun privilegio speciale e le Chiese protestanti attiravano un numero sempre maggiore di portoricani. I miracoli di padre Tom Dico tutto questo per spiegare perché padre Tom sembrava così diverso a me e alla gente della mia parrocchia, giovani e vecchi. Era chiaro che padre Tom voleva essere uno di noi. Praticava gli sport coi ragazzi della parrocchia, parteggiava per le nostre squadre, andava al cinema, mangiava nei ristoranti e nei fast food dove mangiavamo noi, veniva a trovarci a casa per nessuna ragione particolare se non quella di essere nostro amico. Era sorprendente: anche se proveniva da una cultura molto diversa dal nostro mondo ispanico e da quella da cui provenivano i sacerdoti spagnoli, anche se aveva grandi difficoltà a parlare la nostra lingua correttamente, in un certo qual modo era più portoricano di molti sacerdoti che venivano dalla Spagna. Non era per nulla clericale. Dopo un anno nella nostra parrocchia, a padre Tom fu comunicato che doveva tornare negli Stati Uniti. Eravamo distrutti. Ancora oggi ricordo, con estrema chiarezza, tutta la mia tristezza. Era come se fosse morto qualcuno della famiglia. Non volevo mangiare, fare sport, giocare o andare al cinema. Di nascosto piangevo. Soprattutto, di nascosto, pregavo e pregavo che succedesse un miracolo, che in qualche modo padre Tom non se ne dovesse andare. La notte precedente il giorno deciso per la sua partenza sognai che il miracolo era avvenuto. Fu uno dei sogni più felici di tutta la mia vita. Quando mi svegliai e mi resi conto che era stato un sogno, mi arrabbiai con Dio. Mi aveva dato un miracolo e poi se l’era ripreso. Non volevo andare a scuola, quel giorno, perché padre Tom sarebbe venuto a salutarci mentre andava all’aereoporto. Naturalmente i miei genitori mi mandarono a scuola. Per tutta la mattina continuai ad aspettare che padre Tom venisse nella mia classe. Ma alla fine della giornata a scuola non era venuto e io chiesi alla mia insegnante perché. Lei me lo disse. Non avevo saputo che aveva ricevuto un contrordine e che poteva rimanere un altro anno? Dopo tutto, padre Tom non sarebbe partito. Ovviamente, dopo la scuola, corsi in canonica ed egli era là, con altri studenti, a festeggiare la notizia. Prima di andare a casa mi infilai in chiesa per chiedere scusa al Signore per averlo accusato di avermi portato via il miracolo. Preti americani, piacevolmente non clericali Questa è la prima cosa che voglio dirvi sui sacerdoti in America. La grande maggioranza è stata come padre Tom. Sono stati amati ed ammirati dalla gente perché stavano sempre con loro, condividevano la loro vita invece di assumere atteggiamenti come se venissero da un altro mondo. In altre parole, la grande maggioranza dei sacerdoti americani è stata piacevolmente priva di ogni clericalismo. Nella media dei sacerdoti americani non si è formato un “partito clericale”. Uno dei motivi è che, negli Stati Uniti, la Chiesa cattolica non si è mai legata al potere delle élites dominanti. Negli Stati Uniti la Chiesa cattolica è stata soprattutto una Chiesa di immigrati, ha lottato perché la sua gente avesse giustizia. Dovete pensare che molti protestanti e anglicani che fondarono le prime colonie consideravano la nuova terra che si offriva loro come un luogo per purificare e completare la Riforma che aveva avuto origine in Europa. Avevano, quindi, posizioni fortemente antiromane e antipapiste. La dottrina cattolica del sacerdozio sacramentale che guidava e agiva nel nome di Cristo ripugnava loro particolarmente. Ritenevano che i sacerdoti cattolici tenessero i fedeli immersi in superstizioni e questo allo scopo di avere un potere sulla loro vita privando il credente come individuo della libertà che Cristo gli aveva ottenuto. Cattolici e Rivoluzione Americana In realtà, vi furono cattolici importanti fra i primi coloni ed essi giocarono un ruolo importante durante la Rivoluzione. Fu nel 1634 che si celebrò la prima Messa nelle colonie e fu celebrata da due Gesuiti inglesi che arrivarono con coloni - soprattutto cattolici - a St. Clemens’s Island nelle baia di Chesapeake, Maryland. Nel 1776, John Carroll, un sacerdote gesuita americano educato in Francia, accompagnò suo cugino Charles Carroll, Beniamino Franklin e Samuel Chase (firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza) in missione nel Quebec cattolico allo scopo di ottenere l’appoggio cattolico per la causa dei coloni. I cattolici americani tentarono anche di convincere il Vaticano che la libertà religiosa, sui cui tanto insistevano i protestanti americani, poteva essere positiva per la Chiesa cattolica e favorirne la crescita. Charles Carroll arrivò addirittura a consigliare la Santa Sede di far sì che il primo vescovo americano fosse un sacerdote designato dal clero americano; la Santa Sede acconsentì, anche se con poco entusiasmo. Quindi, nel 1789 John Carroll fu nominato vescovo di Baltimora, Maryland, la prima diocesi cattolica degli Stati Uniti. Il Vaticano era stato obbligato a modificare il suo modo di operare in Europa per rispondere alle particolari esigenze dei cattolici americani: Essi stavano tentando di annullare i sospetti dei protestanti riguardo la loro disponibilità ad accettare il punto di vista americano sulla libertà religiosa. All’inizio del XIX secolo i nuovi metodi americani cominciarono a toccare da vicino le autorità di Roma. Negli Stati Uniti i protestanti si erano arrogati il potere dei laici di controllare le finanze e le proprietà ecclesiastiche e di scegliere i loro pastori. Molte chiese si arrogarono il diritto e il potere di prendere decisioni riguardo la congregazione locale indipendente. Lo spirito congregazionalista e democratico della religione americana cominciò a influenzare il cattolicesimo americano. Cattolici e Democrazia Americana In quell’epoca anche i cattolici americani di origine tedesca e irlandese cominciarono a insediare le loro parrocchie e a chiedere sacerdoti che parlassero la loro lingua e che avessero le loro stesse tradizioni. Il tentativo da parte della gerarchia di esercitare un maggior controllo sulle congregazioni locali fu considerato un esempio di autoritarismo “non americano”. Ciò costituì un’arma anti-cattolica per il cosiddetto movimento “Nativista” che sosteneva di difendere lo “stile” americano dalle influenze straniere. I cattolici erano, naturalmente, il loro bersaglio preferito. Essi accusavano la Chiesa cattolica di cercare di minare la democrazia americana per permettere al Papa e al clero di estendere il loro potere agli Stati Uniti. I vescovi americani risposero imbarcandosi in una politica “a due vie”, politica che avrebbe caratterizzato il cattolicesimo americano fino ai tempi moderni. Da un lato essi dettero vita ad una controcultura cattolica per proteggere e rafforzare la fede cattolica della loro gente; nello stesso tempo cercavano di persuadere gli americani non cattolici che i cattolici potevano essere patrioti come chiunque altro. Non fu sempre facile seguire questa politica; entro la fine del secolo il Vaticano dovette occuparsi delle deviazioni dalla dottrina autentica, soprattutto quando i cattolici americani cominciarono a parlare apertamente della necessità di riconoscere elementi di verità nel protestantesimo, elementi che trovavano il loro completamento nel cattolicesimo. Nel 1899, Papa Leone XIII condannò questi cosiddetti insegnamenti “americanisti”, rifiutando l’idea che «la Chiesa dovesse in qualche modo adattarsi alla nostra civiltà avanzata e, indebolendo il suo antico vigore, mostrare dell’indulgenza verso le teorie e i metodi popolari moderni». Da quel momento fino ad oggi molti fedeli, sacerdoti e vescovi americani hanno percepito che la Santa Sede non capisce il cattolicesimo americano. Il XX secolo ha visto un’enorme crescita del cattolicesimo in America, poiché, negli Stati Uniti, erano giunti milioni di emigranti europei cattolici. Essi trovarono una Chiesa che non aveva mai goduto di potere politico, una Chiesa che il sistema dominante guardava con sospetto se non con decisa ostilità, una Chiesa che doveva continuamente dar prova di condividere la democrazia americana, l’egualitarismo e la libertà religiosa, una Chiesa centrata interamente sulla parrocchia locale di quartiere, una Chiesa, quindi, dove clero e fedeli si trovavano sulla stessa sponda delle divisioni sociali e culturali, col clero che si impegnava con tutte le sue forze per ottenere riconoscimento e rispetto. Ancora oggi, in città con una grande presenza di cattolici, come New York, Boston e Filadelfia, se chiedete a un cattolico da dove viene e dove vive, egli vi risponderà dicendovi il nome della sua parrocchia e della scuola cattolica dove ha studiato e vi chiederà se conoscete Padre tal dei tali. In questo contesto i sacerdoti cattolici americani erano altamente considerati e le vocazioni sacerdotali fiorivano. Anche oggi, se un poliziotto vede un sacerdote cattolico parcheggiare la macchina in un posto non autorizzato, nel 90% dei casi lo permetterà e racconterà di quando era chierichetto e gli chiederà di pregare per lui. Questa era la Chiesa che aveva mandato missionari in tutto il mondo e che aveva visto come la loro solidarietà con le popolazioni locali non fosse disgiunta dalla loro missione sacerdotale. Il punto più alto toccato da questa politica fu l’elezione del cattolico John Fitzgerald Kennedy a presidente. Disgregazione postconciliare Subito dopo ogni cosa cominciò a cambiare. Con le controversie che fecero seguito al Concilio Vaticano II, nella Chiesa cattolica americana cominciarono a diffondersi uno spirito di incertezza, confusione e tensione. I cattolici erano ormai inseriti nella società e cominciavano a pensare e a comportarsi sempre più come la maggioranza protestante. Lo spostamento nelle periferie alimentò questo processo poiché le enclaves cattoliche delle grandi città centrate attorno alle parrocchie si svuotarono di quel tipo di vita urbana caratteristica del cattolicesimo popolare. I sacerdoti comprendevano le nuove pressioni cui era sottoposta la vita dei loro parrocchiani e condividevano la loro esperienza di conflitto tra la solidarietà con gli altri e la fedeltà alla dottrina morale cattolica (soprattutto riguardo il matrimonio e la sessualità) che sembrava estranea alla loro esperienza e ai loro interessi. Anche il paese stava cambiando, poiché la maggioranza protestante sembrava incapace di dare una risposta credibile alle sfide del secolarismo e del crescente consumismo. Cominciarono ad esservi divisioni tra i sacerdoti stessi. Io ho avuto il privilegio di guidare ritiri spirituali per i sacerdoti di un certo numero di diocesi e potei vedere la spaccatura tra quelli che pensavano fosse importante mostrare ciò che avevano capito riguardo l’atteggiamento di comprensione e compassione da avere verso chi sperimentava queste nuove pressioni e quelli che davano priorità alla necessità di difendere la dottrina della Chiesa. Gli stessi vescovi sembravano paralizzati dalle loro stesse divisioni. Un numero sempre maggiore di sacerdoti cominciò a chiedersi quale fosse il loro ruolo in questa nuova situazione e, separati dalla vita di una comunità cattolica vibrante e orgogliosa, cominciarono a perdere la vocazione e a lasciare il sacerdozio per lavorare in modi che sembravano offrire maggiori opportunità sia per la propria gratificazione che per l’assistenza alla gente. Quelli che rimasero furono derisi dai media e considerati inferiori dal punto di vista intellettuale e psicologicamente sottosviluppati e timorosi. Canoniche una volta piene di sacerdoti entusiasti erano vuote e una terribile solitudine invase chi era rimasto. In questo contesto, il celibato sembrava precludere l’esperienza di amicizia intima e di aiuto. Scandali, Vescovi e New York Times Questo è ciò che fa da sfondo agli effetti sui sacerdoti dello scandalo attuale dell’abuso sessuale dei minori da parte di un piccolo numero che, però, è riuscito a fare gravissimi danni violando la fiducia della gente a causa degli errori dei vescovi le cui preoccupazioni amministrative li hanno resi ciechi di fronte a ciò che stava accadendo nella realtà. Ora, improvvisamente, i sacerdoti sono diventati soggetti di scherno e rabbia. A molti sembra che le misure prese dai vescovi riguardo lo scandalo abbiano introdotto un’ulteriore barriera tra i sacerdoti e la gerarchia, più interessata a salvare la sua reputazione che a prendere in considerazione i bisogni e le necessità dei sacerdoti. Poco prima della sua morte, avvenuta due anni fa, il cardinale O’Connor di New York venne al Seminario Arcidiocesano dove insegnavo per chiedere consiglio su come rispondere al fatto che il numero di sacerdoti che lasciavano il sacerdozio nei primi dieci anni dall’ordinazione, era aumentato e salito a livelli anche maggiori di quelli del periodo della contestazione e della confusione degli anni ’60 e ’70. I membri della facoltà dettero il loro consiglio che nell’insieme consistette nel condannare ciò che stava accadendo accusando di debolezza spirituale chi se ne andava. Più spiritualità, fu la cura che proposero. Io non dissi nulla perché, dopo tutto ero solo un professore invitato. Alla fine dell’incontro il cardinale, guardandomi, disse: «Ringrazio tutti per il consiglio, ma voglio sentire anche l’opinione del cappellano del New York Times». Io risposi: «Primo, non sono il cappellano del New York Times. Secondo, non penso che i sacerdoti abbiano bisogno di più spiritualità. Penso che abbiano bisogno di più umanità, di amicizia umana». Vi fu un grande silenzio. Il cardinale, semplicemente, ci ringraziò ancora e se ne andò. Il giorno dopo, andai alla sua residenza per incontrare un altro cardinale che era in visita e che mi aveva invitato a pranzo in un ristorante bello e costoso, un invito che, naturalmente, avevo accettato. Con la benedizione di O’Connor Il cardinale O’Connor si affacciò alla porta, mi salutò e mi disse: «Ho pensato a quello che mi ha detto ieri sui sacerdoti che hanno bisogno di amicizia umana. Penso di capire cosa lei vuol dire. Ma è troppo tardi per me, ora. Spero che lei possa fare qualcosa». Poche settimane dopo morì. Quest’anno mi è stato chiesto di guidare un ritiro spirituale per i sacerdoti di lingua spagnola dell’arcidiocesi di New York. Dovete sapere che la maggior parte dei cattolici di New York è, o lo sarà presto, decisamente ispanica. Ripensando a ciò che il cardinale O’Connor aveva detto, decisi di tenere il ritiro unicamente sugli scritti di don Luigi Giussani. Esito: tra i sacerdoti dell’arcidiocesi che seguono la comunità ispanica è iniziata una nuova Scuola di comunità e chi guida questa Scuola di comunità ha partecipato al Meeting di Rimini questa estate e si sta familiarizzando direttamente col movimento di Comunione e Liberazione. Un numero sempre maggiore di sacerdoti americani, e persino alcuni vescovi, stanno cominciando a scoprire Cl. Improvvisamente, in questo momento di crisi, sta rinascendo la speranza. |
Lo spirito della democrazia: «Un portoricano (e prete) a New York» di Albacete Lorenzo, New York Times - Tempi, Numero: 39 - 26 settembre 2002