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di Albacete
Lorenzo
Secondo il Presidente Bush, la difesa della libertà
in quest’inizio di millennio costerà all’America 396
miliardi di dollari, il budget più alto per le spese
militari degli ultimi vent’anni. In effetti, le previsioni
di spesa superano del 13% il totale dei contributi versati
nell’ultimo anno fiscale. Conti alla mano, significa un
incremento di 48 miliardi: 38 serviranno per le operazioni
militari previste nell’immediato futuro, i restanti 10
andranno a costituire una riserva per coprire eventuali
spese impreviste nella guerra contro il terrorismo. Il
Dipartimento della Difesa riceverebbe circa 379 miliardi,
mentre quasi 17 miliardi resterebbero a disposizione del
Dipartimento dell’Energia, da investire in armamenti
nucleari.
La spesa militare complessiva supererebbe così del 15% i
budget più alti dell’epoca della Guerra Fredda –
nonostante una struttura militare ridimensionata di 1/3
rispetto a 10 anni fa (ad un’agenzia che all’epoca non
esisteva, quella della Difesa Missilistica, andrebbero ad
esempio 7,8 miliardi di dollari per un budget complessivo di
8,6 miliardi).
Per fare qualche confronto, la spesa militare americana
supererà di oltre sei volte quella della Russia che ammonta
a circa 60 miliardi di dollari. Il budget militare italiano
è invece limitato a 15,5 miliardi, quello della Gran
Bretagna è stabile a 34 miliardi, quello francese a 25,3
mentre quello della Cina non supera i 42 miliardi.
L’esborso militare americano supererebbe poi di 20 volte
la spesa complessiva destinata alle armi da parte dei
cosiddetti “stati-canaglia”: Cuba, Iran, Irak, Libia,
Corea del Nord, Sudan e Siria.
Finora nessuna voce significativa si è ancora alzata contro
queste previsioni di spesa. Anzi, i più si aspettano che il
Congresso approvi anche più di quanto chiede il Presidente.
Sia quei Repubblicani soggetti alle tentazioni
dell’isolazionismo, sia quei Democratici che non hanno
molta fiducia nel sistema militare rimangono in silenzio.
La ragione naturalmente è la crescente popolarità della
guerra fra l’opinione pubblica americana. Il dibattito
politico non prende nemmeno in considerazione se siano
realmente necessari investimenti militari tanto ingenti. Si
discute soltanto sul ritocco delle aliquote fiscali più
alte, deciso dall’Amministrazione, che secondo alcuni
avrebbe reso quest’incremento di spesa troppo oneroso per
la classe media e i poveri. Naturalmente Bush sottolinea che
l’attuale recessione economica è cominciata prima della
sua decisione di tagliare le tasse ai più ricchi e che,
anzi, questa manovra ha effettivamente contribuito a una
ripresa dell’economia americana di fatto già cominciata.
All’interno dell’Amministrazione, continua la battaglia
Powell-Rumsfeld sugli indirizzi della politica estera (con
la parte a favore di una politica estera unilaterale che ha
attualmente la meglio), ma sul tema della spesa militare non
c’è alcun disaccordo. Molti analisti in materia di difesa
nazionale osservano che la crescita degli investimenti
militari era una misura necessaria per correggere quella che
si ritiene un’eredità dell’era-Clinton, cioè la
riduzione della capacità di risposta dell’esercito
americano. I fatti dell’11 settembre sembrano aver
convinto la maggioranza dei cittadini statunitensi che il
mondo è sostanzialmente ostile alla sopravvivenza della
loro libertà e che gli Usa devono essere preparati a
difendersi, comunque la pensino gli altri. La discussione
sul futuro, propria dell’era-Clinton, oggi assume le forme
di un sogno pericoloso, dal quale la gente si è infine
svegliata.
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