In margine a guerra e torture |
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di
Antonio Socci Ieri i telegiornali hanno mostrato una conferenza stampa di Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani. Mi è parso di scorgere in primo piano due bandiere rosse con falce e martello e in mezzo ad esse un drappo arcobaleno con scritto: "Pace". L?effetto era strano, perchè voleva essere propagandistico, ma quella povera parola stretta fra due bandiere con falce e martello sembrava un triste dissidente ammanettato tra due gendarmi. Effetto realistico perchè, nella storia del Novecento, proprio la bandiera con falce e martello ha contribuito a scatenare i conflitti più sanguinari a cominciare dalla Seconda Guerra Mondiale scoppiata grazie all'alleanza fra Russia comunista e Germania nazista (il Patto Ribbentrop-Molotov). Diliberto dunque ha dichiarato Bush “un criminale di guerra”, in riferimento al caso delle torture in Iraq. Che il presidente americano abbia espresso il suo orrore per quei casi e abbia immediatamente fatto punire i responsabili sembra irrilevante ai suoi “giudici” italiani. Ora, Diliberto guida un partito comunista, che si richiama alla storia comunista. Il suo fondatore e presidente, Armando Cossutta ha storicamente rappresentato l’ala più fedele al Cremlino. Tale partito ha sempre rivendicato il legame di continuità con quel Pci che è stato l’espressione del movimento comunista internazionale in Italia e che a lungo è stato sostenuto e anche finanziato da un regime che si fondava sul lavoro schiavistico di milioni di detenuti del Gulag, un regime che usava sistematicamente la tortura come forma di dominio totale sugli individui. Quei regimi e quei partiti comunisti non meritano l’accusa di “criminalità” dal partito di Cossutta e Diliberto? Non è solo questione del passato. Prendiamo l’esempio di Cuba. Diliberto è così sensibile alla causa dei diritti umani che – s’immagina – dovrebbe dichiarare “criminale” politico anche Fidel Castro, da decenni tiranno feroce di un’isola che ha ridotto alla fame, che ha insanguinato, torturando e massacrando chi gli si opponeva. Ma Diliberto si guarda bene dal condannarlo come “criminale”: fa il contrario. Dichiara: “adesso va di moda parlare male di Cuba, io però non mi accodo”. E’ volato all’Avana addirittura a firmare un protocollo “di reciproca collaborazione” col Partito comunista cubano e ne mena vanto: “Siamo l’unico partito in Europa ad aver stabilito un rapporto così stretto”. Ne va fiero, Diliberto. Eppure è noto da anni (e dunque anche lui lo conosce) l’orrendo repertorio di torture in uso nelle terrificanti galere di Castro. Se ne può avere un’idea sfogliando il Libro nero del comunismo al capitolo dedicato a Cuba. Da questa lettura si ricava la convinzione che Fidel Castro sia un tiranno da portare davanti al Tribunale penale internazionale: invece resterà al potere, osannato dalle Sinistre occidentali fino alla fine. Nel 1994 circa 7 mila persone morirono in mare cercando di scappare, come fanno migliaia di cubani ogni anno su povere zattere che il regime talora fa bombardare con sacchi di sabbia. Ma Diliberto proclama: “il consenso della popolazione a Fidel è altissimo”. Il segretario dei Comunisti italiani non ammette nemmeno che vi sia un problema di diritti umani e politici. Per lui a Cuba “c’è una democrazia, applicata in forme diverse rispetto a quella occidentale”. Il “criminale” per Diliberto è invece il presidente della più antica democrazia del pianeta, George Bush. Si dirà che il partito di Diliberto è piccolo e irrilevante. Non è vero. E’ uno dei partiti comunisti determinanti per la vittoria della coalizione di centrosinistra in Italia. Dunque sarà un partito determinante nella definizione della politica estera dell’Italia se e quando sarà governata da Prodi. Tanto è vero che Diliberto è già stato ministro della Repubblica italiana nei governi dell’Ulivo e lo sarà di nuovo in caso di vittoria. Ma non è solo questo. Le sconcertanti parole di Diliberto esprimono lo stato d’animo della maggior parte del popolo di Sinistra, per il quale il “pericolo” nel mondo è rappresentato dalla democrazia americana. Questa è la singolare e avvilente situazione a cinquant’anni esatti dallo sbarco degli americani in Normandia dove vennero a morire a migliaia per liberarci da Hitler e Stalin. In un mondo in cui decine di regimi praticano da sempre e sistematicamente la tortura e mai le loro vittime (migliaia) finiscono sulle prima pagine dei giornali o nei titoli di testa dei tiggì, da giorni sul banco degli imputati sta la democrazia americana che – al di là dei suoi meriti storici nei confronti dell’Europa e del mondo – tuttora è la più decisa sostenitrice dei diritti umani nel mondo. Certo i casi di tortura perpetrati da alcuni soldati americani nella prigione irachena sono odiosi e raccapriccianti. E devono risponderne anche coloro che dovevano vigilare e non l’hanno fatto. Ma il meccanismo della democrazia occidentale è congegnato appunto per fare in modo che tale arbitri e orrori vengano prontamente denunciati e puniti. Il problema è quello prodotto dai media, solitamente disinteressati alle violazioni dei diritti umani. Infatti adesso l’opinione pubblica – in genere non aggiornata sulla situazione del mondo – è indotta a ritenere che a praticare la tortura nel mondo siano gli americani. Si condanna dunque all’infamia un paese dove la tortura è un reato e gongolano i tanti regimi dove la tortura è “legale”. Si mette sotto accusa una democrazia dove la tortura è un’eccezione, un arbitrio di singoli (prontamente puniti) e si permette che a condannare gli Usa siano quei regimi in cui la tortura è la regola. Non è giusto.
La prima violenza è la
menzogna. Perciò ritengo che in questi giorni stiamo tutti subendo una
violenza. |
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Cultura:«In margine a guerra e torture. Due pesi e due misure», di Antonio Socci, Il Giornale, 9.5.2004 |