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di Michele
Scozzarra
Il
desiderio di scrivere dei pensieri, sul libro di un
compaesano che
nemmeno conosco, è nato dall'ascolto, dal sentir
raccontare in
maniera lucida e stimolante, da parte del mio amico
Rocco
Di Matteo, della bellezza che suscita la lettura dei
versi del poeta Vincenzo
Cordoma:
dall'ascolto
anche
di
semplici
discorsi, nascono le domande e si avviano le
conversazioni... alla fine
ci si
accorge di possedere un patrimonio prezioso di
maestri, e
di amici,
che portano in alto il nome del nostro
"natio
borgo"...
sui
quali
vale
la
pena
scrivere,
e
non
solo
per
farli maggiormente conoscere.
Sono venuto a conoscenza della produzione letteraria di
Vincenzo Cordoma, attraverso il volume "Vecchi e
nuovi sprazzi": pagine di riflessioni
talora
semplici, così semplici da parere
ovvie,
e che,
per quest'eccessiva semplicità, non mancano di
sfiorare
un livello
che è al di sopra dell'abituale snocciolarsi dei
nostri pensieri.
Molto
toccanti le riflessioni di Maria Concetta
Zirilli,
sulla poesia del Cordoma: "non vi palpita la
tenue luce dell'alba né il fulgore del meriggio, ma vi è
soffusa la malinconia violacea
del crepuscolo.
Motivi dominanti il senso della caducità,
la
crisi esistenziale,
il
rimpianto della giovinezza,
l'angoscia
della solitudine,
la
profonda
amarezza
per
una
società
smarrita, schiava di falsi valori, senza ideali. Qua
e là, però, traspaiono scintille
di fede, l'anelito verso l'Eterno, il
vivo
desiderio dell'amicizia, la indomabile esigenza di
donare... Una vera perla il ricordo della madre...".
Già...
il ricordo della madre, posto a mo' di dedica del libro, è
veramente una perla che fa venire i brividi, testimonia la
grande sensibilità
del
poeta,
creando
il gusto
ed
il
desiderio
di proseguire in fretta nella lettura: "E' un
vecchio dialogo tratto da
una
agenda. Ti voglio bene, te ne vorrò sempre anche
se
ci saranno state (ero piccolissimo quando ebbi la
fortuna di vederti
per poco tempo) delle incomprensioni. Adesso,
però,
te ne voglio ancora di più non solo
perché
sono cresciuto
ma soprattutto per il fatto che il dolore per
la
tua perdita è aumentato in relazione all'età. Ma è
tardi,
mamma, è tardi
anche per chiederti perdono. Ogniqualvolta rileggo
questo dialogo
sento
il bisogno di piangere, non
perché,
mamma,
non posso
chiederti perdono ma principalmente perché non ti è
stato dato il tempo di farti amare da me".
Addentarsi
nel
libro
del
Cordoma è anche
un'occasione
per ripercorrere
una
testimonianza
di
umanità
che
permette
di accogliere
ciò
che
di
umanamente
bello,
significativo
e appassionato,
anche se faticoso e sofferto, c'è nella
vita.
Si tratta anche di un abbraccio cordiale con le sue
origini, con
la cultura
che
ha
caratterizzato l'ambiente nel quale è nato
e cresciuto
e del quale, nonostante la fisica lontananza,
non
si sente
estraneo. Ed in questa ottica, chiarissime ed
esplicative
sono
le espressioni di Fabrizio Ciavarelli:
"Vincenzo Cordoma è uomo
di
lettere,
plasmato dalle passioni
forti,
dai
profumi intensi,
dalle tinte del sud della sua giovinezza...
chiede
ai fiori, al mare, al cielo, agli uomini di
risvegliarsi ancora e di emozionarlo;
lo
fa
cospargendoli di inerzia,
di
aridità,
di
grigiore.
Come
"mistico"
della morale
riesce
ad
evocare
il concetto
di
morte; cerca di restituire il
fascino
antico,
il dolce
mistero,
il sapore di fiaba, trasferendone
le
sembianze nella natura che lo circonda... forse,
l'acqua deve scorrere
più velocemente
per
essere
vera; il mare in
tempesta
per
essere recepito,
il
volo dei gabbiani deve persino fare rumore,
e
la notte,
popolata di fantasmi, spezzata da "gelido
vento",
poiché l'uomo-poeta spera con ardore che gli oggetti
dei suoi
rimpianti si
materializzino,
per
incanto nella loro
pienezza.
Egli
ha bisogno paradossalmente dello spiegamento delle
forze della
vita per
restituire
dignità
alla
morte
come
magico,
religioso, ancestrale significato di continuità. Per
questo la sua poesia è creazione e preghiera...".
Le
suggestioni
che si incontrano nella lettura
dei
versi
del Cordoma
non
hanno
tempo
né età: tra di
esse
le
più
belle, godibili,
sottili, sono quelle che racchiudono un ardore che
si scontra con il limite (la morte) e scopre
L'Eterno.
La
tensione che si percepisce nei versi del Cordoma è quasi
come "l'attesa di un assente": si coglie
una tristezza, una solitudine anche
quando
si
sforza
di
vedere
il
segno
di
un
assente desiderato che si avvicina, che non lo lascia
solo. Questa ricerca, di cui è impregnata tutta l'opera del
Cordoma, è una lotta, una fatica armata per allontanare la
morsa che
sembra gli impedisca di raggiungere determinati
desideri.
Da
ultimo, bisogna accennare ad un tema che il Cordoma
tocca
in ogni
sua
sillaba,
e
che sottende
tutta
la
sua
espressione poetica:
il timore che tutto sia menzogna. Ma basta una
strofa, che si presenta come sintesi di un lungo
itinerario poetico,
per andare
oltre
questo limite, per toccare con mano
come
i
suoi versi sono una preghiera, una invocazione, un
dialogo con il solo Essere che può illuminare il suo (e
nostro) cammino: "Non accenti sommessi.
/
Suoni vellutati e dolci / Da oboe emessi.
/
Nella oscurità il FARO.".
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