Cinema
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«Caro James
Bond non m’incanti più»
Imputo a James Bond il reato di aver propalato questa stucchevole
filosofia del «sepofaismo» cioccolataio, basato sul mito del macho che
si becca le donne più belle del mondo, che vive tra lussi, lotte e
diamanti, imperturbabile, cinico, finto.
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Mina
Non mi interessa e non mi piace la letteratura
d’azione, ho sempre mal sopportato i gialli. Sullo stesso piano della
totale indifferenza colloco anche tutta la cinematografia fatta di
inseguimenti e di effetti speciali. Detesto i film d’azione. E anche
tra quelli più celebrati, ad esempio quelli di James Bond, sono
riuscita a malapena a vederne un paio. Con mio sommo disinteresse, al
punto che i miei neuroni non sono riusciti a trattenerne neppure un
fotogramma, eccezion fatta per Sean Connery in braghini da bagno,
ovviamente.
L’unico riferimento divertente che mi viene in mente quando penso a
James Bond è un fatto accaduto in un cinema romano, negli Anni 60,
durante una proiezione pomeridiana. Un fatto vero. Si sta proiettando
uno dei tanti film di 007, uno qualsiasi degli infiniti sequel.
E’ pomeriggio, si può fumare. Gli spettatori non sono molti, ma tutti
concentrati ad imparare come poter essere veri uomini. Solo,
stravaccato su quattro sedili, uno per sedere, le due braccia
allungate sui laterali, le scarpe sull’anteriore, il coattone in
divisa: camicia aperta su pelo pettorale con enormi gingilli d’oro in
bella mostra. Attentissimo. Davanti a tutti 007 ne fa di tutti i
colori. All’ennesima mirabilia gli sparuti spettatori si scatenano
all’unisono in un incredulo «Ohhh». Il coattone non è del gruppo, si
sente unico e divinamente vicino a Bond, James Bond. E’ la quinta
volta che vede il film. Mollemente si gira verso gli stupiti e
rassicura tutti: «Se pò fa’, se pò fa’».
Imputo a James Bond il reato di aver propalato questa stucchevole
filosofia del «sepofaismo» cioccolataio, basato sul mito del macho che
si becca le donne più belle del mondo, che vive tra lussi, lotte e
diamanti, imperturbabile, cinico, finto.
Aspettiamoci in queste settimane un revival di questa filosofia
spicciola. Sì, perché il 5 ottobre di quarant'anni fa usciva «Agente
007, licenza di uccidere» e le commemorazioni per il quarantennio del
primo film di Bond culmineranno il 19 novembre, quando a Londra verrà
presentato in anteprima mondiale il ventesimo episodio della serie, «Die
another day». Ci sarà anche la Regina alla Royal Albert Hall. A
ciucciarsi le immaginabili scene abbaglianti e le sequenze a tutta
velocità, mentre i suoi sudditi saranno probabilmente dall’altra parte
del mondo a farla sul serio la guerra. Quella vera, quella sporca,
quella senza effetti speciali.
Siamo davvero alla frutta se dobbiamo commemorare anche i quarant’anni
di James Bond. Che cosa abbiamo fatto di male per beccarci anche
questo? Mi sta bene il divertimento puro, l’evasione di due ore per
entrare in un altro inesistente mondo. Va bene tutto questo, ma chi se
ne frega? Che si spendano pure decine di miliardi per i vari «Mission
Impossible» 1, 2, 3, 44 o per il nuovissimo «Minority Report». E che
se li ciuccino quelli che non hanno di meglio a cui pensare. Io me ne
sto da un'altra parte, a preferire la staticità assoluta di un film
polacco o l'intensità immobile di uno sguardo di un film degli Anni
40. Degli effetti speciali, specialmente me ne frego.
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