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di Vittorio Messori
Alla fine della proiezione di Magdalene, Leone d'oro a Venezia,
nel cinema milanese gli spettatori hanno applaudito. Mentre li
guardavo sfollare, immerso tutto solo nella poltrona, pensavo che - se
mi avessero riconosciuto - qualcuno mi avrebbe ingiunto, indignato, di
vergognarmi di dirmi ancora cattolico. In effetti, si sono ridotte a
poche le minoranze contro le quali la dittatura del «politicamente
corretto» permette - anzi, incoraggia - il disprezzo: fumatori, obesi,
pedofili, nazisti, cattolici. Anzi, le due ultime categorie sembrano
ormai unite, come conferma la locandina di quell' altro film, dove la
croce di Cristo si trasforma nella croce uncinata di Hitler. Forse
(pensavo uscendo dal cinema) sarebbe tempo che anche i cattolici
mettessero in piedi ciò che gli ebrei, e giustamente, hanno creato da
tempo: un'Anti-defamation League, che rivendichi i diritti
della verità e la dignità delle persone. A cominciare da quelle suore
- di sadismo e depravazione da pasoliniana Salò -, esse pure femmine,
ma che non rientrano nei proclami del regista scozzese: «Ho voluto
denunciare la violenza imposta alle donne, a tutte le donne». Tranne a
quelle, s' intende, che hanno una croce sul petto, diffamate da
Peter Mullan che, per coltivare meglio lo scandalo, si dice
«cattolico» solo perché battezzato in quella Chiesa. A promemoria
degli spettatori, tanto indignati per quanto visto sullo schermo
quanto ignari della realtà, andranno dunque precisate alcune cose:
1) I Magdalen' s Insti tutes, prima ancora che case
religiose, erano «Riformatori giudiziari», «Case di correzione
minorile», in diretto collegamento con il ministero della
Giustizia e la magistratura della Repubblica d' Irlanda. La gestione,
affidata a congregazioni religiose (avviene tuttora anche in Italia,
dove le suore sono ancora presenti nelle carceri femminili e in molti
altri, civilissimi Paesi del mondo), era sottoposta al controllo degli
ispettori dello Stato, che esigeva dalle suore rigorosa sorveglianza e
disciplina sulle ospiti e teneva le monache responsabili in caso di
fuga o rivolta.
2) La grande maggioranza delle ricoverate era composta da
giovanissime inviate negli Istituti con sentenza dei tribunali
minorili a causa di reati penali. A queste vere e proprie
detenute, degne ovviamente di compassione ma spesso turbolente se non
pericolose, Mullan non accenna affatto, concentrandosi su tre casi
della minoranza composta da ragazze ricoverate nelle Houses su
richiesta esplicita dei genitori.
3) Queste ospiti erano immediatamente dimesse se i genitori o i
tutori lo richiedevano, come ammette il film stesso, dove basta
l'arrivo di un fratello con la lettera del parroco del villaggio per
permettere a una delle ragazze di far subito le valigie.
4) Il lavoro manuale era imposto dalla convenzione con lo Stato, sia
per fini «rieducativi» che per intenti economici: almeno parte
della spesa per la gestione dei Riformatori doveva rientrare grazie
all'attività delle lavanderie, i cui clienti erano soprattutto
Ferrovie dello Stato, accademie militari e altri enti governativi. Dei
soldi che, ossessivamente, è fatta contare dal regista, la Superiora
doveva rendere ragione al ministero della Giustizia oltre che alla sua
Congregazione religiosa.
5) Come ha ammesso Mullan stesso, in Gran Bretagna le Case di
correzione minorili (gestite, qui, dalla Chiesa anglicana) non
differivano da quelle irlandesi, quanto a regolamento
sostanzialmente carcerario. Nei mitici, esclusivi, costosi colleges,
essi pure anglicani - da Oxford, a Cambridge, a Eton - dove si
allevavano i rampolli delle migliori famiglie dell' Impero, i ragazzi
non erano trattati molto meglio: anche qui erano in vigore, tra
l'altro, le punizioni corporali, con fruste, bastoni, digiuni imposti,
inginocchiamenti in pubblico.
6) Non a caso Mullan ha scelto per il suo atto d'accusa il
1964. Uno degli ultimi anni, cioè, dell' Ancien Régime: sia per la
Chiesa, alla vigilia della svolta del Postconcilio, sia per la società
ci vile, prossima a quel Sessantotto che avrebbe determinato un cambio
totale di sensibilità e di prospettive. Come al solito,
anche qui si cade in quello che per gli storici è il peccato mortale:
giudicare con le categorie attuali, con la vulgata corrente, una
cultura passata, anche se solo da quarant' anni ma che valgono secoli.
7) Ogni comunità umana ha le sue oscurità. Ma si offendono
gli spettatori, se si vuole far credere loro che delle suore potessero
dilettarsi a far mettere nude, prima di cena, le loro ospiti, giocando
a stabilire chi avesse i seni più grandi, le natiche più provocanti,
il pube più villoso. Vizi e deviazioni esistevano e esistono anche
nelle famiglie religiose, ma clandestini (si non caste, tamen caute):
il semplice sospetto di trastulli sessuali così esibiti, avrebbe
provocato un' immediata inchiesta canonica, portando alla dispersione
della comunità. Altrettanto assurdo, per chi conosca le regole
religiose, il tocco sadico delle suore che ogni giorno banchettano
fastosamente davanti alle ragazze che trangugiano la loro sbobba.
8) Tutto il film è costruito per dare allo spettatore un
senso di oppressione, il mancamento di aria e di libertà di una
società gravata dal peso dispotico, oscuro della Chiesa. Ma la
storia dell' Irlanda racconta qualcosa di diverso: per difendere quei
suoi preti, quelle sue suore, quei suoi vescovi, questo popolo ha
sopportato secoli di martirio inflitto dai protestanti inglesi e ancor
oggi lotta nelle contee del Nord. Questo popolo, di cui il non
irlandese Mullan vorrebbe ricordarci le sofferenze inflitte dalla
casta clericale, in realtà ha disseminato la sua fede, con ostinazione
eroica, in un Commonwealth ostile, fondando la Chiesa cattolica negli
Stati Uniti, in Australia, nella Nuova Zelanda. Non a caso la
cattedrale di New York è dedicata a San Patrizio, patrono d' Irlanda.
Un popolo, questo, che, spinto da miseria e persecuzioni, è partito
dalla sua isola a villaggi interi, a stendardi dei santi spiegati, con
alla testa proprio il parroco e le suore. Magdalen' s Sisters
comprese.
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