Giuseppe |
Inferno: Cantu Trentatriesimu
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Note: | |
la stuja ‘la pulisce’. | |
mognu ‘fievole’. Il termine non è registrato in nessun dizionario. Nel dialetto calabrese, comunque, è ancora usato il termine mongiu per ‘moscio’ (vedi Galasso e Laruffa), per cui non è improbabile che il mognu del dialetto del Traduttore possa essere una locale alterazione dell’originario mongiu. Blasi, comunque, annota che “è noto che i fiorentini hanno per le gutturali una semplice aspirazione” e che “questa caratteristica di pronunzia avrebbe determinato la definizione di "mognu". | |
Il Conte Ugolino della Gherardesca, pisano, dopo la battaglia della Meloria, tra genovesi e pisani, aveva ridotto Pisa a parte guelfa. Ruggeri degli Ubaldini di Mugello, arcivescovo di quella città, aiutato da altre potenti famiglie ghibelline, lo mise in cattiva luce presso il popolo onde, inseguito e preso con due figli e due nipoti, tutti e cinque furono chiusi in una torre e fatti morire di fame (1288). Fin qui la vicenda umana secondo il racconto di Dante. A dare nuova luce alla pur sempre triste storia umana della famiglia del Conte della Gherardesca, a conclusione di alcuni mesi di studi e dopo il ritrovamento degli scheletri di cinque individui in una tomba della cappella della chiesa di San Francesco a Pisa, è stato il prof. Francesco Mallegni, docente di antropologia e paleontologia nell’Università di quella città, che sabato 22 settembre 2001, nel corso di un convegno promosso dal Comune per celebrare l’evento, ha annunciato che il Conte Ugolino è stato finito con un colpo di spada. Identica sorte è toccata ad uno dei suoi figli. Il prof. Mallegni ha presentato anche la ricostruzione del volto di Ugolino della Gherardesca, uomo anziano ma forte, robusto ed alto circa un metro ed ottanta. Lo studioso ha spiegato che tracce di un colpo di spada sono state trovate sul cranio dell’uomo e sul bacino di un osso attribuibile ad uno dei suoi figli, quando entrambi erano ancora in vita. Mallegni, in sostanza ha confermato quanto alcuni mesi prima aveva scoperto il giornalista Stefano Sieni allorché, negli archivi fiorentini, ha rintracciato un documento seicentesco, scritto in un latino maccheronico, in cui si afferma che i cinque familiari, quando erano già sfiniti dalla fame, furono uccisi con la spada. Dagli approfonditi esami ai quali sono stati sottoposti i resti mortali, lo studioso Fulvio Bartoli, collaboratore di Mallegni ha anche accertato che i cinque individui si sono alimentati di cereali, vegetali e pesce per gran parte della loro vita mentre negli ultimi mesi, prima di morire, hanno avuto un’alimentazione tipica dei carcerati dell’epoca: pane e acqua. Questa scoperta, soggetta ad ulteriori studi ed approfondimenti, per il momento è valsa a sfatare la leggenda di Ugolino cannibale facendo cadere il dantesco “poscia più che il dolor potè il digiuno”. Ed improvvisamente è come se la figura del vecchio conte avesse perduto una buona fetta del suo fascino. |
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tramezzeri ‘tramite, intrighìno’. Il Traduttore, per esigenze di rima con Ruggeri, ha fatto ricorso al termine tramezzeri, usato nella parlata popolare ma non registrato nei dizionari dialettali nei quali, invece, è presente tramezzanti per ‘intrigante, mezzano, sensale, mediatore’. | |
villu ‘vedilo’. Villu, forma contratta di vidilu. | |
currivu assai ‘molto offeso’. Il termine currivu (sia aggettivo che sostantivo) ricorre spesso in questa versione dialettale. Vedi: canto VII,23; X,109; XIV,71; XIX, 32; XXII, 132 e 148. | |
Nu pertuseju ‘un piccolo buco’. Pertuseju è diminutivo di pertusu. | |
E’ la torre della Muda, così chiamata perchè, prima di essere adibita a prigione, era stata usata per tenere gli uccelli nel periodo della “muda”, vale a dire nel periodo in cui gli uccelli cambiano (‘mutano’) le penne. | |
com'era ncaminata ‘come la cosa andava nei miei riguardi.’ | |
stu bahonnu ‘questo signore’ (in senso ironico). Altrove Blasi ha utilizzato il termine bahonnu col significato di ‘demonio, brutto ceffo’ (Cfr. canto VIII, 38); qui è più appropriato il significato di signore. D’altra parte con questo termine il Traduttore ha inteso rendere in dialetto il dantesco “donno” che equivale, appunto, a ‘signore’. | |
pe undi ‘verso il luogo dove’. Il riferimento è al monte San Giuliano che, ai tempi di Dante, segnava il confine tra Pisa e Lucca. | |
Il verso inizialmente era stato così tradotto ‘vidiri Pisa e Llucca no ssi ponnu. In una successiva revisione, Blasi lo ha modificato a penna e, a nostro parere, grazie soprattutto al termine "abbistari", acquista maggiore musicalità ed espressività. | |
li corpa di na nchjovatura ‘i colpi del martello che inchiodava’. Blasi annota che questi due endecasillabi avrebbe voluto tradurli: “ quandu la moja di la chjavatura ntisi sparari di sutta, guardai ma per fedeltà al commento dei più che nel "chiavar" l'uscio, intesero "inchiodarlo" preferimmo la forma che si vede e che poteva anche rendersi quandu ntisi nchjovari l'apertura sutt'a la turri orribili, guardai… |
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ntisi ntronari ‘ho sentito rimbombare’. Ntronari (da tronu ‘tuono’) è propriamente ‘intronare’, ma nel gergo popolare era spesso usato per ‘rimbombare’. | |
no hhjatai ‘non respirai’. Il dantesco “sì dentro impetrai’ (divenni di sasso per il dolore) Blasi lo ha reso con no hhiatai che equivale a non muoversi e, quindi, impietrire. | |
finn'a spunta di suli ‘fino allo spuntar del sole’. Blasi ricorre all’espressione a spunta di suli, (registrata dall’Accattatis) un tempo molto diffusa nelle comunità contadine, che rende compiutamente l’idea del primo albeggiare. | |
e nchi nu neu ndi trasiu ‘e appena un poco ne ebbe entrato’. Molto bella ed efficace l'immagine del primo "neo di sole" che penetra nella cella. Qui la traduzione supera l'efficacia del verso dantesco "come un poco di raggio si fu messo". | |
càrceru ‘carcere’, forma poco usata nella Piana reggina ma presente in alcune piccole comunità forse per influsso del dialetto proveniente da altre zone della stessa Calabria. In quasi tutto il reggino è assai comune l’uso di carciaru. Carceru (o carciru), comunque, è la forma usata nel cosentino (Vedi Accattatis). | |
sculuriti ‘scoloriti’. Il termine corrente è sculuruti (vedi Galasso e Malara) ma, come in qualche altra occasione, in Blasi è prevalsa la forma più ‘colta’ e più vicina all’italiano. | |
misi. In questa terzina Blasi - per esigenze di rima - ricorre due volte al termine misi. | |
nsollenuti ‘inebetiti’ ma anche ‘storditi’. Varianti del termine: nselenuti e nsalanutu. | |
Poi a fforza l'appojai sti denti rei… Così Blasi, superando le dispute interpretative del celebre verso “Poscia, più che ‘l dolor, potè il digiuno”, ha inteso renderlo in dialetto calabrese. Questo endecasillabo è molto discusso. Alcuni commentatori, infatti, intendono “il digiuno ebbe su di me più potere del dolore”, volendo intendere che ad uccidere il conte Ugolino furono gli stenti, assai più forti dello strazio sofferto. Altri, invece, interpretano: “la fame ebbe il sopravvento sul dolore”, per cui Ugolino finì per cibarsi dei cadaveri dei figli. | |
Come è evidente, la traduzione di Blasi è quanto mai fedele al testo dantesco. Diversa, anche se i primi due versi della terzina risultano assai efficaci, è la traduzione di Luigi Gallucci: “Ahi Pisa! Pisa! perfida e maligna,/ vrigogna eterna de l’Italia tutta/ pperchì ‘un se muovû e te cacciû la tigna?” | |
mu ntupparenu ‘potessero tappare, ostruire’. Il verbo ntuppari (registrato sia dall’Accattatis che dal Rohlfs) ha reminiscenze dantesche. Si legge, infatti, al verso 23 del VII dell’Inferno che “l’onda là sovra Cariddi, che frange con quella in cui s’intoppa..” . | |
a la sbuccata ‘alla foce’ Il verbo sbuccari è ‘metter foce’ (vedi Malara e Accattatis). Assai comune anche il termine sbuccatura (non registrato nei dizionari). | |
Ca si lu Conti avìa la nominata ca ti tradìu... ‘perchè se anche fosse stata vera la voce secondo la quale il Conte Ugolino ti aveva tradita...’. Ugolino, dopo la rotta della Meloria, per mantenere il suo potere in Pisa e salvarla da una rovina sicura, aveva ceduto ai lucchesi ed ai fiorentini alcuni castelli. Da qui l’accusa di tradimento. | |
cacciari no tt'avivi.... la sgangata ‘non ti dovevi vendicare’. | |
Ugolino ha già fatto i nomi di Anselmuccio (nipote, v.50) e Gaddo (figlio, v. 68). Adesso ricorda Uguccione (figlio) e Brigata (nipote) . | |
undi la jelata ncrasta ‘dove il ghiaccio intrappola’(imprigiona). | |
a la mberza jettata ‘che giace supina’ (qui i dannati non stanno in posizione prona, come nella Caina e nell’Antenora). | |
vitrijati ‘vetrate’. Vedi canto XXXII, 24, nota 9. | |
cundunati ‘condannati, addotti’. Questo significato, assolutamente nuovo, ha provveduto ad annotarlo lo stesso Traduttore, che aggiunge ad esempio l’espressione Undi mi cundunau la sorti! ‘A che mi condannò la sorte!’. In nessun dizionario, comunque, alla voce verbale cundunari abbiamo trovato attribuito anche il significato di condannare. | |
quantu mu sbuttu ‘perchè io possa erompere’ (sfogare). | |
ca doppu, si nno tti sgariju ‘perchè dopo, se non ti stropiccio gli occhi’ (nel senso di ripulirli e liberarli dalle lacrime congelate) . | |
mu vaju nta stu jelu cchjù distanti ‘possa io sprofondare in questo ghiaccio’. | |
Frate Alberigo Manfredi, faentino, frate gaudente, capo dei guelfi fiorentini, finse di riconciliarsi con due suoi parenti, invitandoli ad un banchetto. Quando ordinò che la frutta fosse portata in tavola i suoi servi trucidarono i due ospiti. | |
mpostiju ‘indurisco’ (in questo gelo). Blasi, molto probabilmente, ha fatto derivare la forma verbale mpostiju dal termine postira, nome del gheriglio della noce, o da pastija, nome della castagna secca sbucciata. Sia il primo che il secondo nome si identificano con qualcosa di duro. Come Frate Alberigo Manfredi che è condannato a indurire nel ghiaccio. | |
cu lu meu rivortu ‘col mio volto’. Rivortu, nel significato di ‘volto’, non è registrato da nessun dizionario; il termine era in uso a Bellantone di Laureana e zone limitrofe. | |
sacciu ca a stu spundu di Mpernu ‘so che in questo precipizio dell’Inferno...’. Il termine spundu non è registrato in nessun dizionario. Solitamente ad esso il popolo ricorreva per significare ‘fossa’, ‘scavo profondo’ e, quindi, ‘precipizio, burrone’. | |
Tolomea dittu ‘detto Tolomea’(il girone). Questo è il girone dove stanno i traditori degli ospiti. Il nome potrebbe derivare o da quel Tolomeo che uccise Pompeo oppure da quello della famiglia Maccabei che invitò a pranzo e poi fece uccidere alcuni suoi parenti. | |
assecundu ‘aggiungo, dico ancora’. | |
e la rimpiazza ‘e la sostituisce’. La voce verbale è italiana. Con essa Blasi traduce il dantesco ‘che poscia il governa’. Probabilmente il Traduttore è stato costretto ad utilizzare rimpiazza da esigenze di rima con gurnazza e s’agghjazza. | |
chi ccu mmia s'agghjazza ‘che insieme a me è accovacciato’. Il verbo rifless. agghjazzarisi deriva da jazzu, ‘giaciglio di animali’. | |
Branca d’Oria, genovese, per usurpare al suocero, Michele Zanche, la signoria di Logodoro, lo invitò a mangiare, e lo uccise insieme ai suoi compagni. | |
pe ccuntegnu ‘per dignità’. Blasi annota: “a Dante parve civiltà (la "cortesia" del senso classico) negarla a chi l'aveva già in sé rinnegata. Fa il paio con "qui vive la pietà quand'ella è morta" del Canto XX, 28”. Sul significato della “cortesia” di cui fa cenno Dante si è molto discusso. Secondo alcuni commentatori essa deve essere interpretata solo come un “gesto signorile”; secondo altri, invece, essa va intesa come “cortesia verso Dio” e, quindi, come un “atto di giustizia”. |
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Per gentile concessione dell’Editore Pellegrini di Cosenza (a cui gli eventuali interessati possono prenotare la corposa pubblicazione di grande formato) e dell’amico Umberto Di Stilo (nostro apprezzato collaboratore) |