NARRATIVA |
Gagliato in the World |
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Il pettirosso di Vincenzo Pitaro Don Battista Capogrossi, primogenito di una delle famiglie più
ricche di Togliaga, da grande non pensò mai di lavorare.Dal padre, un intraprendente
agricoltore (che durante il fascismo era stato a lungo podestà), aveva
ottenuto, dietro testamento, il palazzo medioevale di famiglia e le vaste
proprietà terriere che si estendevano tutt’intorno al paese. Niente di più.
Neppure il carattere mite e la passione per la terra, aveva ereditato dal
genitore, il «signorino Titta», come lo chiamavano gli amici più intimi. E così, don Battista, ch’era nato con la camicia e con i sette
vizi capitali, ritenne più che giusto far lavorare gli altri per lui. In che
modo? Assumendo una decina di coloni per accudire le sue tenute, che pagava
un po’ con denaro e un po’ con quanto ricavava dalle terre. Una grande passione, a parte la sua fama di donnaiolo, tuttavia,
don Battista ce l’aveva: era quella di andare a caccia. Passava intere
giornate in compagnia della sua doppietta e con la cartucciera allacciata
alla vita. «Se lo corica pure a letto lo schioppo, don Battista!»,
commentavano sotto sotto i suoi coloni. Ma ne facevano pure un vanto, quando
parlavano della sua mira infallibile, specialmente sul tiro alle quaglie o
alle beccacce, che i suoi cani riuscivano a stanare nelle paludi. Nel più delle volte, però, per compensare le ore trascorse a
cacciare senza alcun risultato, don Battista sparava su tutto: persino su un
fringuello indifeso, intento a cantare su di un ramo. Non aveva nemmeno un centimetro di cuore, in questo, il
«signorino» di Togliaga. Una mattina di novembre, un pettirosso, sfidando la propria
sorte, gli entrò dentro casa da un balcone semiaperto. Scodinzolava nel soggiorno e si metteva a curiosare in cucina.
Ma perlopiù svolazzava su e giù da una
stanza all’altra. «Un uccellino dal petto rosso! Acchiappalo! Acchiappalo!», urlò
la moglie, donna Lisa, correndogli dietro con non poca ilarità. Don Battista si tolse, alla rinfusa, la giacca alla cacciatora,
aspettò che si posasse nuovamente sul pavimento e gliel’accoppò addosso,
ritrovandoselo presto tra le mani. Era un pettirossino intimorito. «Com’è grazioso! Teniamolo, ché quando vengono i nipotini glielo
mostriamo...», disse donna Lisa. «Ma va! Che non è uccello da gabbia, questo!», rispose don
Battista. Poi, però, prese un pezzo di spago, gliel’annodò ad una zampina e,
per far contenta la moglie, lo legò al piede del tavolo, in cucina. L’uccellino, dopo un vano tentativo di liberarsi, scuotendo le
ali, rimase fermo, impaurito, con gli occhietti che sembravano volessero
parlare. «Perché non canti? Fammi sentire il tuo canto!», disse don
Battista. Ma il pettirosso restava immobile. Il «signorino», allora, prese
una mollica di pane e, strofinandola tra le mani, creò tanti pezzetti. Niente da fare: l’uccellino, nonostante fosse affamato, non solo
rifiutava il ristoro ma non cantava neppure da pettirosso. Pigolava come un
pulcino, quasi come se volesse dire: «Che ti ho fatto di male per privarmi
della libertà? Lasciami andare!». E lo faceva intuire più volte, girando la
testolina da una parte e dall’altra. Ogni tanto batteva pure le ali nel
disperato tentativo di slegarsi. Don Battista, invece, prese una ciotolina d’acqua e gliela
accostò, assieme ad un po’ di granturco sminuzzato; mentre la moglie, dalla
gioia, s’era messa a cantare. Intonava un’allegra canzoncina che aveva
imparato da bambina, alle elementari: «L’uccellino che viene dal mare / che
viene a dire / che viene a fare...». L’arrivo di quel pettirosso dentro casa, aveva improvvisamente
portato, come d’incanto, una ventata di sana allegria. Perfino don Battista,
che ormai s’era lasciato inavvertitamente coinvolgere, fischiettava quasi come
un matto una tarantella calabrese, sperando di convincere il pettirosso a
cinguettare. Cominciò così, per il rude cacciatore, il suo primo contatto
amichevole con un volatile. Il giorno successivo, infatti, il suo primo pensiero fu proprio
per il pettirosso. Salì in cucina, ancora in pantofole, per trovarlo. E portò
con sé una manciata di grano. Gli fischiettò, cercando anche di imitare dei
versi simili a quelli del cardellino. Furono gli unici che gli vennero
spontanei. L’uccellino, stavolta, lo esaminò sospettosamente e poi cominciò a
bere ed a beccare i chicchi di grano. Ormai non c’erano dubbi: l’insolita amicizia, tra don Battista e
il pettirosso, era già nata. Quel suo familiarizzare con il piccolo volatile
cresceva viepiù di ora in ora, ma lo tratteneva il pensiero che l’uccellino
apparteneva al suo ambiente e che sarebbe stato più giusto lasciarlo libero
di volare. Pensava alla gioia di essere liberi e alla loro lotta quotidiana
per la sopravvivenza. «Per noi uomini, se andiamo vedendo, è la stessa cosa, in questo
mondo balordo!», disse tra sé don Battista. «Solo che gli uomini, più o meno,
possono difendersi! Ma a loro chi li difende?». E, con questa riflessione, gli vennero pure in mente i tanti uccelli,
grandi e piccoli, che aveva sterminato finora, cacciando. «Ne ho abbattuti parecchi», disse alla moglie. «Per lo sfizio di
sparare, non certo per fame!». «Bello sfizio!... La caccia è davvero l’hobby
più stupido!», rispose donna Lisa che, seduta in cucina accanto al focolare,
già ricamava, cantando di nuovo quel ritornello: «L’uccellino che viene dal
mare / che viene a dire / che viene a fare...». Don Battista prese il pettirosso tra le mani, lo accarezzò e gli
dette nuovamente da mangiare. E l’uccellino, sempre più ingordo, o forse più
affettuoso, aprì il beccuccio per essere imbeccato. Fece subito progressi, don Battista, nell’addestrare il piccolo
volatile, al punto che già riusciva a nutrirlo con le sue mani. O, chissà,
forse fu il volatile ad addestrare don Battista, l’incallito cacciatore, che,
commosso, ora pensava di liberarlo. «Pettirossino mio», disse, «mi duole il cuore dovermi separare
da te. Non voglio che tu muoia e per questo devo liberarti!». La moglie lo guardò compiaciuta. E si sentì enormemente
orgogliosa di quell’improvviso cambiamento nel carattere di don Battista. Poi
s’alzò e disse: «To’, annodagli questo fiocchetto rosso ad una zampina... Può
darsi che si ricordi di noi e ci ritorna!». «Ma no», rispose don Battista, «lo condanneremmo per tutta la
vita, così! Soffrirebbe e potrebbe anche morire, lascia perdere!...». Sicché, prese una forbice, tagliò il pezzo di spago, col quale
era stato legato al piede del tavolo, e lo lasciò libero di volare. Sembrava un po’ convalescente, ma si alzò ugualmente in volo; si
posò per alcuni minuti sui rami di un albero spoglio, poco distante, e poi
ripartì. Una fredda domenica di dicembre, esattamente un mese dopo,
mentre don Battista pranzava, assieme alla moglie e alla nuora, si udì un
picchiettare col becco sul vetro del balcone della cucina. Tutt’e tre si
girarono di colpo e videro il pettirossino. «E’ tornato! Evviva, è tornato!», gridò donna Lisa, piena di
gioia. «Apri, apri!», esclamò don Battista. «Diamogli da mangiare! È il
Padreterno che ce lo manda! Prendi un po’ di semi!». Uscirono sul terrazzo, ognuno con qualcosa tra le mani.
Sembravano i tre Magi che andavano incontro a Gesù Bambino. Il pettirossino si saziò, poi si mise a cinguettare, come se
volesse ringraziare i suoi amici, e se ne andò. Furono momenti assai allegri e donna Lisa si rimise a cantare:
«L’uccellino che viene dal mare / che viene a dire / che viene a fare...». Dopodiché, don Battista andò a preparare tante piccole
mangiatoie in legno, con tre scomparti: uno per il granturco, l’altro per le
molliche e l’altro ancora per l’acqua. Ne collocò una sul terrazzo della
cucina e le altre le appese ai rami di alcuni alberi, nei suoi poderi intorno
al palazzo. Soddisfece così la golosità di tutti gli uccelli. E da quel
giorno, amò la natura, appese il fucile al chiodo ed a caccia non ci andò
più. © Copyright by Vincenzo Pitaro – Il pettirosso (V. Pitaro –
Antologia di Scritti Calabresi - 1995) |
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