Ieri era una magnifica giornata. Luminosa, fresca e un
po’ malinconica; c’era una luce strana nell’aria,
che metteva un po’ di nervosismo. Ma era una
magnifica giornata.
Così
mi sono ritrovata, come mi succede spesso da un po’
di tempo a questa parte, a leggere un libro in
compagnia di un po’ di musica. E come capita a volte
in questi casi, basta una parola letta o una nota
ascoltata a ridare vita, anima e libertà ad un
pensiero ingiustamente condannato a dover scontare la
peggior pena che gli si potrebbe dare: l’essere
dimenticato.
Un
pensiero entrato in punta di piedi, silenzioso, che
sussurrava una verità scomoda eppure così semplice,
ma divenuto col tempo troppo rumoroso per essere
ascoltato da una coscienza che non voleva saperne di
dargli ragione. E così, senza possibilità di
difendersi, l’innocente pensiero era stato giudicato
frettolosamente da una giuria corrotta, che neanche lo
ascoltava.
Con
l’approvazione di un giudice dall’anima fredda o
oscura come la toga che lo avvolgeva, il verdetto fu
emesso nell’aula di tribunale della mia mente, tra
gli sguardi indifferenti dei presenti. Pesanti porte
si chiudevano alle spalle del povero condannato,
mentre la coscienza se ne stava lì in piedi,
orgogliosa del successo, si fregava le mani e si
congratulava con se stessa per aver tolto di mezzo
quel piccolo, insignificante, fastidioso pensiero.
E
mentre la sua tronfia risata echeggiava nella mia
mente, lo sventurato pensiero veniva trascinato a
forza verso il suo destino, che lo avrebbe visto per
sempre imprigionato nella cella dell’oblio.
Ma
la coscienza non era del tutto tranquilla: ne era
uscita vincitrice, certo, ma la vitalità, la forza e
la temibile purezza del pensiero emanavano una luce
così forte che per non essere accecata, la coscienza
lo aveva fatto rinchiudere nei più profondi meandri
delle carceri, dove tutto era buio e silenzio.
E
col passare del tempo, la luce dietro le sbarre si
affievoliva e si indeboliva sempre di più, finché
non scomparve del tutto.
Ma
lasciamo per un attimo il poveretto ai suoi tormenti e
ritorniamo a quella magnifica giornata... Le pagine
del libro scorrevano velocemente sotto i miei occhi,
accompagnate da una meravigliosa TONIGHT TONIGHT messa
su a tutto volume. La mente era libera da ogni
pensiero e preoccupazione, sorrideva, respirava,
ballava sulle note e si deliziava tra le parole.
Spazio,
tempo, non esistevano più... c’era solo lei, con
me, che si godeva fino in fondo quell’attimo di
eternità.
La
storia di Kerouac mi mostrava posti meravigliosi, mi
faceva conoscere persone incredibili e mi portava in
giro sulla storica ROUTE 66 tra vento, sole e polvere,
a conoscere da vicino il grande sogno di intere
generazioni: il mito americano...
Ma...
Aspetta un attimo... ”Sogno di intere generazioni??”...
Dio mio... Improvvisamente tutto si fermò. Smisi di
leggere, fermai la musica e guardai la copertina del
libro: un tipico paesaggio americano, con tanto di
motociclisti in completi di pelle su Harley lustrate
alla perfezione, che ridevano tra loro come vecchi
amici che non si vedono da una vita ma che hanno
sempre qualcosa da raccontarsi.
Che
stupida... Romanzo sul mito americano, certo, ma
soltanto questo? Come ho fatto a non accorgermi di una
verità così evidente? Non è solo un romanzo sull’America,
ma un romanzo sull’amicizia, sulle difficoltà dei
rapporti umani.
Le
nostre vite, le scelte che facciamo, i posti che
vediamo, le avventure che viviamo, i sogni che
inseguiamo, gli sbagli che vorremmo non aver mai
commesso... tutto assume, almeno in genere, un valore
diverso se si hanno amici. Le loro avventure, i loro
dolori, le loro gioie, le loro vittorie, sono un po’
anche le nostre, e una vita doppiamente vissuta vale
davvero la pena viverla.
Con
loro si ride per delle stronzate, ci si sente vivi per
un’avventura vissuta insieme, ci si sente grandi per
un traguardo raggiunto, si piange per un dolore e ci
si consola per una sconfitta.
Altro
che attimo di eternità... l’eternità si conquista
nei ricordi di una vita condivisa con qualcuno: amici,
veri o falsi, nel bene o nel male, quelli di una vita
o quelli passeggeri, quelli che credono in te o quelli
che ti deludono, ma, in fondo, pur sempre compagni di
vita, pur sempre amici.
Povera,
stupida coscienza... lo aveva sempre saputo. Aveva
vissuto in uno stato di illusoria tranquillità e
sicurezza per tutto questo tempo, inseguita dall’ombra
silenziosa di quel pensiero che si aggirava nella
mente, nonostante fosse stato relegato lì, nella sua
cella, solo.
Era
stata la consapevolezza della sua forza e della
debolezza della coscienza a tenerlo in vita e sapeva
che prima o poi avrebbe avuto la sua rivincita.
Però,
che strana creatura, la coscienza... Ti sa rendere
grande, ti frena gli istinti migliori, risolve
situazioni complicate e ti evita un sacco di cazzate,
ma a volte ti mette nei guai e ti compromette un’amicizia
per una sciocchezza.
Magari
lo fa cancellando volutamente un pensiero piccolo
piccolo ma enormemente duro in quel che vuole dire: un
pensiero su un comportamento sbagliato, scorretto, su
un torto fatto ad un amico che ci è rimasto davvero
male, forse più di quanto ci si aspettava.
Il
pensiero intaccava l’integrità e l’orgoglio della
coscienza, e macchiava una condotta avuta, fino ad
ora, potremmo dire ammirevole.
Il
pensiero rimproverava di essere venuti meno ad un
impegno... per negligenza, chiamiamola così, per
noia, superficialità, o forse solo per uno stupido
capriccio.
In
ogni caso avevo sbagliato. Ma piuttosto che ammettere
a me stessa di essermi comportata male con un amico,
come non mi capitava davvero da molto, avevo fatto un
patto con la mia coscienza: il pensiero verrà
eliminato, non sarà mai esistito, sarà dimenticato
in un angolo della mia mente, e la coscienza si
sentirà a posto...
Troppo
comodo. E troppo improbabile per una coscienza che in
fatto di amici non ha mai dato troppi problemi.
Così
è successo ciò che doveva accadere: la giuria e il
giudice hanno chinato il capo, le porte del mio grande
tribunale si sono spalancate, e la luce da quella
piccola cella si è fatta sempre più accecante,
incontenibile, distruttiva... ha spezzato le sbarre,
ha invaso i corridoi, le aule. Il pensiero era libero.
Libero
di essere ascoltato, libero di illuminare con la sua
verità una coscienza di circostanza che si sentiva,
in fondo, perdente già in partenza.
Sospesi
nel tempo e nello spazio, il pensiero, grande,
luminoso e vincitore, e la coscienza, piccola e
sconfitta, si trovavano così di fronte. Era uno di
quegli incontri da non dimenticare... e da non
ripetere.
Si
guardarono a lungo, immobili, senza dire niente. Si
strinsero la mano, e nella calore di quella stretta,
il pensiero si dissolse, lasciando solo una grande
luce nella mia mente e una coscienza che se ne stava
lì, ferma e luminosa, che sorrideva come solo i veri
vincitori sanno fare.
Perché
in fondo, ammettere una sconfitta è pur sempre una
vittoria.
Non
c’è che dire, davvero una magnifica giornata...
Valentina
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