IL MALE DELL’ANIMA: PSICOTERAPIE E PSICOFARMACI

Max Pechstein - Le SofaLeggendo di psicoterapie e di psicofarmaci su quotidiani e riviste non scientifiche a larga diffusione sono stata tentata di fare un po’ di ordine nelle idee circolanti nel modo più semplice e più chiaro possibile.

Voglio precisare subito che il mio scritto si rivolge al grande pubblico, alla gente che incontriamo tutti i giorni, che appartiene ai più diversi contesti e alle più diverse età.

Accostare il campo delle psicoterapie e degli psicofarmaci vuol dire avvicinarsi a quei mezzi che la scienza più recente, diciamo quella della seconda metà del ventesimo secolo, ha conquistato e che sono finalizzati al tentativo di portare sollievo alla sofferenza dell’anima.

Compiuti ormai enormi progressi sul fronte della sofferenza fisica, nel senso della comprensione del male e dei mezzi per guarirlo, bloccarlo, o contenere il dolore che esso può generare, oggi ci stiamo sempre meglio attrezzando per dare sollievo al male dell’anima: si apre così il panorama delle psicoterapie e degli psicofarmaci.

Diverso dall’infelicità esistenziale, più legata ai limiti imposti dalla condizione umana, il male dell’anima è in genere vissuto come qualcosa che è difficilmente comprensibile, accettabile, comunicabile e con cui non è facile convivere. E la rottura di un equilibrio, più o meno soddisfacente; qualcosa che è percepito come una minaccia per sé, per le proprie relazioni intime, sociali, lavorative. Per questo quando i mezzi che fino ad un certo momento sono stati utili (l’intelligenza, la volontà, l’appoggio famigliare, l’amicizia, l’amore…) non bastano più, può sembrare opportuno associare un altro tipo di aiuto.

 Può capitare così di rivolgersi agli psicofarmaci, magari come primo passo per ”quietarsi un po’”; per contenere, per esempio, sgradevoli espressioni somatiche dello stato d’ansia in cui ci si trova (vedi tachicardie, sudorazioni, tremori, alterazioni del ritmo del respiro, tensioni muscolari, attacchi di paura che tendono a sopraffare …)

Altre volte ci si orienta immediatamente verso le psicoterapie per controllare, dominare, quelle manifestazioni che disturbano il vivere quotidiano, oppure per accostarne le cause e magari agire su di esse.

Sottolineo comunque che psicoterapie e psicofarmaci, psicoterapeuti e medici dunque, non sono da vedere in alternativa, ma come possibili alleati. Molto spesso infatti è da un’azione congiunta che può scaturire l’aiuto più efficace.

Dalla collaborazione del medico e dello psicoterapeuta può venire la migliore risposta alla specifica situazione di bisogno, specialmente se si tratta di persone giovani.

La loro alleanza, già da me e da altri sperimentata, permette quell’approccio “ olistico” alla persona (sia essa adulto o bambino) da tempo e da più parti richiesto, come possiamo constatare accostandoci alle fonti mediatiche più diverse, superando così arroccamenti che hanno sempre meno ragione di esistere.

Alcuni domandano: “Qual è la psicoterapia che guarisce? Guariscono gli psicofarmaci? “

Direi che nella sfera del male dell’anima il concetto” medico” di guarigione è poco appropriato.

Per quanto riguarda in particolare le psicoterapie può esprimere troppo come troppo poco!

Sì, anche troppo poco. Questo perché spesso non si tratta solamente di verificare la cosiddetta “remissione dei sintomi”, ma, in particolare con la terapia psicoanalitica, evolvendosi certe parti “arcaiche” della personalità, di assistere ad una maturazione, ad una crescita psicologica.

Quest’ultimo concetto è più vicino all’esperienza quotidiana di quanto in un primo momento si possa credere. Ci aiuterà a comprenderlo meglio pensare a quel fenomeno, facilmente osservabile, poiché fa parte dell’esperienza comune, che è l’evoluzione psicologica del bambino in termini di capacità cognitive ed emozionali. Sul piano cognitivo consideriamo, per esempio, la possibilità di affrontare le richieste dell’ambiente in termini di sempre migliori capacità di pianificare la risoluzione di un problema pratico ed intervenire in modo sempre più efficace;invece su quello più strettamente emotivo pensiamo alle modalità sempre più costruttive con cui il bambino impara ad affrontare le limitazioni che le relazioni con gli altri impongono.

Ritorniamo ora all’adulto, e immaginiamo in lui una parte di ordine emozionale il cui sviluppo si sia arrestato ad un tipo di funzionamento che, per esempio, gli offre un’interpretazione “egocentrica“ di ciò che avviene nelle sue relazioni interpersonali. Questa parte “arcaica“ può riprendere il corso della sua maturazione e la persona adulta, ad un certo momento, può scoprire dentro di sé cambiamenti di prospettiva importanti, tali da modificare nella sostanza la qualità dei suoi rapporti sociali.

Non sarà comunque mai sottolineato abbastanza che l’approccio psicoterapeutico non è una panacea dell’anima; quando si tratta di cure psichiche il paziente gioca un ruolo determinante, non solo nella scelta del tipo di aiuto, ma soprattutto nell’andamento del percorso terapeutico e nei risultati. Per questo non si può certo pensare che tutto possa dipendere dallo specialista o dalla collaborazione fra specialisti, come in genere si tende a fare quando si tratta del male fisico.

Facendo un riferimento specifico alla terapia psicoanalitica, l’interrelazione con la persona che chiede aiuto è infatti un elemento cardine: questo sia che si tratti di terapia “focale” che globale, cioè sia nel caso che ci si sia proposti un obiettivo circoscritto o più ampio.

La coppia paziente-terapeuta intraprende un percorso di ricerca nell’intento di migliorare la qualità della vita del paziente.

In sede di terapia “focale”, trovandoci di fronte ad una madre che chiede aiuto perché ha difficoltà a stare con il suo piccolo, l’analista tenterà di cogliere con lei quel mondo di rappresentazioni e di emozioni che agiscono nella relazione con il neonato.

A volte un velo invisibile separa dalla realtà presente ed orienta nella direzione opposta a quella in cui si vorrebbe andare, e una delle situazioni in cui questo è più facilmente osservabile è proprio quella delle difficoltà che del tutto inattese possono insorgere nella coppia madre-neonato (vedi articolo apparso il 30-10).

La possibilità comunque di raggiungere nell’alleanza terapeutica quel non so che di oscuro che ci muove da dentro, e raggiungendolo mitigarne gli effetti nel presente, e magari anche trasformarlo, ci offre oggi una visione tutt’altro che tragica di quel “determinismo psichico“ che spesso viene riesumato.

Il peso sulla formazione della personalità delle relazioni affettive dell’infanzia, in quel periodo della vita in cui si è meno attrezzati, fisicamente, emotivamente e intellettualmente, è innegabile.

Ma il proprio passato può non essere un destino, né per sé né, nel caso della relazione col neonato, per l’altro.

Concludo qui le mie riflessioni pensando di essere riuscita a rispondere ad alcuni interrogativi che da più parti vengono ripetutamente posti.

Novembre 2005
Dott.sa GIULIANA LONGO
Specialista in terapia psicoanalitica

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