MADRE E NEONATO: POSSIBILI DIFFICOLTA’ NELLA RELAZIONE Un certo giorno della vita la donna diventa madre. Prende così avvio una nuova storia d’amore, un nuovo intenso e coinvolgente rapporto. La maternità inaugura una nuova condizione importante ed irreversibile, rompe il preesistente equilibrio personale e famigliare, esigendone uno nuovo. Sogni, ideali, progetti e timori si condensano nell’emozione di questo evento ricco di responsabilità e di disponibilità ed anche capace di richiamare emotivamente situazioni ed avvenimenti della propria vita rimasti spesso silenti. Nel contatto con il neonato, “attivo” e pronto all’esperienza del rapporto, la donna-madre propone istintivamente uno stile di relazione con cui il piccolo incomincia ad interagire, modellandosi e sviluppando via via quello che sarà il suo carattere. Questo rapporto assumerà in breve tempo particolari caratteristiche, diventando specifico di quella coppia madre-bambino. Il modello di relazione che la madre propone è un derivato della sua prima intensa esperienza di rapporti all’interno della propria famiglia di origine; possiamo dunque dire che è strettamente collegato ai “vissuti”, cioè a personalissime impressioni, di quella bambina ora donna e madre. Nell’abbraccio con il neonato la donna scorge nel proprio intimo un inatteso affiorare di sentimenti che non sempre riesce a spiegarsi. Talvolta razionalità e sentimento entrano in contrasto e ciò può creare difficoltà nel vivere il nuovo ruolo: il rapporto col piccolo non soddisfa, innervosisce, diventa faticoso, non dà pace. In casi del genere la mamma può lamentarsi del proprio piccolo, dicendo per esempio che “non mangia, non dorme, è inquieto…” e questo senza che si sia rilevato nulla di significativo dal punto di vista medico. Può anche sentirsi oppressa dal piccolo e sentire che il rapporto con lui diventa un vero sforzo. Quando quest’ultimo prevale, la madre può trovarsi anche a lottare con pensieri che esprimono il bisogno di allentare “in qualche modo” il rapporto, come difesa estrema dall’angoscia della vicinanza, capace di attivare stati d’animo per lei intollerabili (l’idea di una rapida fuga nel lavoro, di un “precocissimo” affido al nido…). In altri casi invece la madre può divenire vittima di apprensioni nei riguardi del piccolo che la intrappolano in una serie di preoccupazioni e timori angoscianti (paura di non saperlo proteggere a sufficienza, timore dei microbi, delle malattie, difficoltà a separarsene…). Il suo mondo interno le ispirerà atteggiamenti e “agiti” che produrranno nel piccolo emozioni le quali troveranno espressione nel suo comportamento e/o nel suo corpo, come già noto alla psicosomatica del lattante. A volte non basta apportare cambiamenti ambientali, offrirle cioè dei supporti, per esempio aiutandola attraverso i nonni, una baby sitter o il nido, che sono peraltro molto utili, poiché il disagio o addirittura la sofferenza nel rapporto madre-bambino, ciò nonostante, s’impongono e a più riprese. Dobbiamo aiutare la madre a cercare le cause del suo malessere e insieme a lei raggiungere quel mondo interno risvegliatosi con la maternità. In questo modo potremo liberare il rapporto dalle tensioni e dalle angosce, rompere gli schemi di azione e reazione, che tendono ad irrigidirsi e a disturbare la vicinanza nonché la crescita psicologica del piccolo. Oggi le scienze psicologiche ci offrono la chiave di accesso al funzionamento della mente nella sua dimensione non solo cognitiva ma anche affettiva, nonché dei loro interscambi e reciproci condizionamenti. Possiamo dunque dire che quello spazio quotidianamente frequentato, ma a lungo tanto poco conosciuto, che è la nostra realtà intellettiva ed emotiva ci si è finalmente rivelato. Nel nostro caso particolare sarà quella branca della psicologia che è la psicoanalisi a venirci in aiuto. Mi riferisco ad una psicoanalisi in una sua recente versione, poco conosciuta, se non ignorata. Quella cioè di psicoterapia breve, che non accosta la personalità nel suo insieme, ma si concentra sulle disfunzioni della relazione precoce madre-bambino (primi trenta mesi di vita) e che tende a migliorare la qualità della comunicazione. Una psicoanalisi quindi come psicoterapia breve che diventa anche preventiva poiché i vissuti materni legati al passato, interponendosi fra la madre e il nuovo nato, generano sofferenza nell’attualità della relazione e distorsioni nello sviluppo della personalità del bambino, creando la base di patologie future difficili da affrontare e curare successivamente. Non confidiamo troppo dunque nell’attendere che il tempo sani ogni cosa ma riprendiamo il principio prevenire è meglio che curare. Settembre 2005
|