Luci ed ombre nella relazione madre-neonato:
quale aiuto dalle scienze psicologiche?

Questo articolo vuole essere un contributo alla qualità della vita, nel nostro caso particolare all'armonia nel dialogo madre-neonato. Quel dialogo empatico dal quale prende avvio la crescita del piccolo, lo sviluppo emotivo e cognitivo di un nuovo essere che un giorno si presenterà al mondo con un suo carattere radicato nella sua storia. Vi offrirò degli spunti di riflessione su quel rapporto d'amore che prende avvio con la maternità. Non riprenderò tuttavia il vecchio schema del "come si dovrebbe fare" o "come si dovrebbe essere" con il bambino, ma vi introdurrò in una prospettiva nuova che sarà quella delle difficoltà che una madre potrà incontrare nel rapporto e dell'aiuto che potrebbe ricevere in questo caso.

La maternità inaugura una nuova storia d'amore, un nuovo coinvolgente rapporto. Questa nuova condizione, importante ed irreversibile, rompe il preesistente equilibrio personale e famigliare esigendone uno nuovo. Sogni, ideali, progetti e timori si condensano nell'emozione di questo evento ricco di responsabilità e di disponibilità ed anche capace di richiamare emotivamente situazioni ed avvenimenti della propria vita rimasti spesso silenti.

Nel contatto con il neonato "attivo" e pronto all'esperienza del rapporto, la madre istintivamente propone uno stile di relazione con cui il piccolo incomincia ad interagire, modellandosi e sviluppando via via quello che sarà il suo carattere. Questo rapporto assumerà in breve tempo particolari caratteristiche, diventando specifico di quella coppia madre-bambino. Il modello di relazione che la madre propone è un derivato della sua prima intensa esperienza di rapporti all'interno della propria famiglia di origine. Possiamo dunque affermare che è strettamente collegato ai "vissuti", cioè a personalissime impressioni, di quella bambina ora donna e madre.

Nell'abbraccio con il neonato non sempre la donna riesce a sentirsi come aveva pensato,sognato o sperato. Può ritrovarsi in uno stato d'animo del tutto inatteso. Scorgere per esempio nel proprio intimo un affiorare di sentimenti che non sempre riesce a spiegarsi. Talvolta razionalità e sentimento entrano in contrasto e ciò può creare difficoltà nel vivere il nuovo ruolo. In casi del genere la mamma può esprimere la propria insoddisfazione dicendo, per esempio, che il rapporto con il piccolo non la gratifica, non le dà pace, è faticoso, la innervosisce oppure lamentandosi del proprio piccolo che non mangia oppure mangia con difficoltà, è lento, non dorme o è inquieto. Tutto questo senza che si sia rilevato nulla di significativo dal punto di vista medico.

Può anche sentirsi oppressa dal piccolo e avvertire che il rapporto con lui è un vero sforzo. Quando questo prevale la madre può trovarsi anche a lottare con pensieri che esprimono il bisogno di allentare in qualche modo il rapporto, come difesa estrema dall'angoscia della vicinanza, capace di attivare stati d'animo intollerabili. In questo caso possiamo osservare, per esempio, l'idea di una rapida fuga nel lavoro o quella di un precocissimo affido al nido. In altri casi la madre può divenire vittima di apprensioni nei riguardi del piccolo che la intrappolano in una serie di preoccupazioni e timori angoscianti come la paura di non saperlo proteggere a sufficienza, il timore dei microbi, delle malattie, la difficoltà a separarsene anche per brevi momenti Il suo mondo interno le ispirerà atteggiamenti e comportamenti che produrranno nel piccolo delle emozioni che si manifesteranno nel suo comportamento e/o nel suo corpo come già noto alla psicosomatica del lattante.

Per dare sollievo alla madre e alleggerire le tensioni presenti nel rapporto non sempre basta apportare cambiamenti ambientali, offrire cioè alla madre dei supporti, peraltro molto utili, come alleggerire il suo compito attraverso i nonni, una baby sitter o il nido, in quanto il disagio o addirittura la sofferenza nel rapporto madre-bambino ciò nonostante s'impongono e a più riprese.

Dobbiamo aiutare la madre a cercare le cause del suo malessere, per raggiungere insieme a lei quel mondo interno risvegliatosi con la maternità. In questo modo potremo liberare il rapporto dalle tensioni e dalle angosce, rompere gli schemi di azione e reazione che tendono ad irrigidirsi e a disturbare la vicinanza nonché la crescita psicologica del piccolo.

Oggi le scienze psicologiche ci offrono la chiave di accesso al funzionamento della mente nella sua dimensione non solo cognitiva ma anche affettiva , nonché dei loro interscambi e reciproci condizionamenti. Possiamo dunque dire che quello spazio quotidianamente frequentato, ma a lungo tanto poco conosciuto, che è la nostra realtà intellettiva ed emotiva ci si è finalmente rivelato. Nel nostro caso particolare sarà quella branca della psicologia che è la psicoanalisi a venirci in aiuto. Mi riferisco ad una psicoanalisi in una sua recente versione, poco conosciuta se non ignorata, quella cioè di psicoterapia breve, centrata sulla "crisi" che non accosta la personalità nel suo insieme ma si concentra sulle disfunzioni precoci della relazione madre-bambino (nei primi trenta mesi di vita) e che tende a migliorare la qualità della comunicazione.

Una psicoanalisi quindi come una psicoterapia a breve termine che diventa anche preventiva, poiché i vissuti materni legati a relazioni passate, interponendosi fra la madre e il nuovo nato, possono, come abbiamo detto, generare sofferenza nell'attualità della relazione e distorsioni nello sviluppo della personalità del bambino, creando la base di patologie future difficili da affrontare e curare successivamente.

Non confidiamo troppo dunque nell'attendere che il tempo sani ogni cosa ma riprendiamo il principio " Prevenire è meglio che curare".

Dicembre 2006
Dott.sa GIULIANA LONGO
Specialista in terapia psicoanalitica

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