Una piovosa sera d'autunno, di un'epoca imprecisata, un giovane carrettiere stava discendendo la Valle Brembana guidando il suo cavallo che trainava a fatica un carro carico di legna.

L'acciottolato della mulattierà, reso viscido dalla pioggia, e le ampie pozzanghere sparse per ogni dove creavano non poche difficoltà all'animale che doveva essere continuamente pungolato dal suo padrone, il quale, a sua volta, stanco e bagnato fradicio, non vedeva l'ora di concludere il viaggio, pentendosi ad ogni passo di averlo intrapreso malgrado il tempo si annunciasse pessimo.

Il paese ormai non era lontano e il giovane sperava di arrivare a casa prima che fosse troppo tardi, in tempo per trovare ancora alzata la sua vecchia e cara zia con la quale viveva da quando gli erano morti i genitori.

La strada in quel tratto si inoltrava in un fitto bosco e il carrettiere si trovò immerso di colpo in un buio quasi assoluto, dal momento che la lanterna attaccata a una stanga del carro si era spenta da tempo, investita dai violenti scrosci di pioggia, e non c'era stato verso di riaccenderla.

Bisognava quindi procedere quasi a tentoni, fidando nell'istinto del cavallo che doveva conoscere a memoria la strada su cui transitava quasi ogni giorno.

Ma, oltre al buio e all'acquazzone, il giovane era preoccupato da qualcosa di più inquietante e misterioso: quel luogo era famoso per essere infestato da spiriti e da banditi, che non mancavano di importunare i viandanti, facendoli oggetto di aggressioni che non di rado si concludevano con la morte delle vittime.

Il carrettiere si dava quindi da fare per uscire dal bosco il più presto possibile, ma la strada in quel tratto era ancora più impraticabile e il carro finì per impantanarsi del tutto, cosicché, malgrado gli sforzi, non ci fu verso di smuoverlo.

Ormai sfinito e senza più speranza di poter riprendere il cammino, il giovane desistette dai suoi sforzi, si rialzò e si guardò intorno nel fitto del bosco che tra acqua, vento e tuoni era immerso in un turbinio infernale.

Fu allora che, con grande stupore, si accorse di una luce fioca che filtrava tra gli alberi a poca distanza. Intenzionato a chiedere aiuto, staccò il cavallo dal carro e tenendo l'animale per le redini si avvicinò alla luce, trovandosi ben presto di fronte a una casetta che non aveva mai visto prima, per quanto passasse spesso da quelle parti.

La luce proveniva da una finestrella del piano terreno, attraverso la quale il giovane intravide un'accogliente cucina con un caminetto acceso e una tavola apparecchiata per una persona. Non notò però anima viva.

Legato il cavallo alla staccionata, si avvicinò al portone e bussò a lungo, prima timidamente e poi con più energia, chiedendo aiuto e gridando per farsi sentire. Ma nessun segno di vita proveniva dalla casa, allora provò a tirare il catenaccio del portone e si accorse che non era chiuso a chiave.

Lo aprì ed entrò in casa, accolto dal piacevole tepore del focolare e dal profumo del pane fresco posto in un cesto al centro della tavola, accanto a un piatto di colmo di grossi pezzi di formaggio, a un vassoio di castagne cotte e a un fiasco di vino.

Dopo aver cercato ancora una volta, ma inutilmente, di far notare la sua presenza ai padroni di casa, il giovane si avvicinò alla tavola e, poiché aveva una fame da lupi, si diede a mangiare di buona lena, consumando in un batter d'occhio quel cibo semplice ma saporito, che sembrava essere stato preparato apposta per lui.

Poi, ormai sazio e un po' brillo per il vino tracannato senza risparmio, si tolse i vestiti inzuppati d'acqua e li pose ad asciugare accanto al focolare. Solo allora si accorse di un grosso gatto soriano che sonnecchiava in un angolo del caminetto.

"Toh, eccolo il padrone di casa", esclamò a voce alta il giovane sorridendo soddisfatto, poi si sdraiò su una comoda poltrona e, vinto dalla stanchezza, si addormentò.

Fu svegliato dopo un tempo imprecisato da qualcosa di morbido che gli solleticava i piedi. Era il gatto che si stava trastullando con i suoi calzettoni di lana e si strusciava attorno alle sue gambe facendo le fusa.

Tentò di riaddormentarsi, ma il gatto lo infastidiva, così dopo averlo sopportato un po' e dopo aver cercato un altro po' di allontanarlo con le buone, finì col perdere la pazienza e gli affibbiò un potente calcio sul muso, mandandolo a sbattere contro una gamba del tavolo e costringendolo a scappare, in preda a lamentosi mugolii di dolore.

Finalmente solo, il giovane carrettiere poté riprendere sonno e dormì tutta la notte, risvegliandosi quando ormai era giorno fatto e il sole splendeva alto nel cielo limpido.

Mentre stava rivestendosi dei panni asciugati durante la notte, notò con grande sorpresa che la tavola era stata di nuovo apparecchiata per una sola persona, con pane, latte, miele e una soffice torta di mele.

Fatto un estremo tentativo di conoscere quei singolari padroni di casa e un po' inquieto per via di sopraggiunti pensieri legati agli spiriti e ai banditi, fece in fretta colazione, quindi uscì di casa, slegò il cavallo, tornò verso il carro, lo liberò a fatica dal fango e finalmente riprese il suo viaggio.

Arrivato a casa, sistemò il cavallo, poi cercò subito la zia, non vedendo l'ora di raccontarle la sua incredibile avventura.

La trovò a letto in preda a forti dolori, con la testa e un braccio avvolti un una spessa benda.

"Che cosa ti è successo, zia?", le chiese tutto preoccupato.

E la zia di rimando: "Hai anche il coraggio di chiedermelo malandrino senza cuore che non sei altro? lo ti avevo preparato una casetta accogliente, tutta a tua disposizione, e tu mi hai ripagato prendendomi a calci!".

Il giovane ripensò allora al gatto della notte precedente e la guardò sbalordito, senza più la forza di dire una sola parola...

indice storie in dialetto

indice poesie in dialetto

homepage