Del castello della Regina, detto anche castello di Cornalba, esiste oggi solo il ricordo riportato qua e là nei libri di storia quando si affrontano i tragici anni a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento, caratterizzati dalle atroci lotte tra guelfi e ghibellini. Il castello era stato fatto erigere per volontà dei Visconti di Milano, allora signori anche del territorio bergamasco, nella zona del Foldone, a monte di Sussia alta, sopra San Pellegrino, in posizione dominante, lungo lo spartiacque tra la Val Brembana e la Val Brembilla. Scopo della sua costruzione, al pari degli altri eretti sul monte Ubione e sul Canto alto, era il controllo delle comunità brembane, dove prevaleva il partito guelfo, apertamente contrario al regime visconteo. il castello della Regina era presidiato da una guarnigione abbastanza esigua, ma ritenuta in grado di difenderlo a oltranza in caso di bisogno, in attesa dell'arrivo dei rinforzi: un castellano, otto soldati, un ragazzo e un cane... tutti mantenuti a spese della città di Bergamo. Evidentemente l'esigua guarnigione non fu in condizione di difendere il castello quando nel 1362 un manipolo di guelfi di San Pellegrino, al comando dei Pesenti, lo cinse d'assedio e se ne impadronì, facendo strage dei suoi occupanti. Il castello, così conquistato, rimase deserto per una ventina d'anni, finché, nel 1383 il duca Rodolfo Visconti vi mandò una compagnia di ghibellini brembillesi, che provvidero a restaurarlo, sempre a spese della comunità, e a insediarvi una guarnigione più solida. Passarono altri vent'anni e nel 1403, al termine di un periodo di aspre contese che aveva interessato tutta la valle, una squadra di circa duecento guelfi, in buona parte di San Giovanni Bianco, al comando di Bertazzolo Boselli e muniti di macchine d'assedio, assalirono di nuovo il castello, impadronendosene e catturando il castellano e la guarnigione. Il maniero venne distrutto e le sue solide porte vennero portate in trionfo a San Giovanni Bianco, come gloriosa preda di guerra. Fin qui la storia, da quel momento il castello della Regina cessò di esistere, almeno nella realtà, facendo perdere col tempo le sue tracce. Non così nella fantasia popolare che attorno al castello ha costruito una serie di leggende ben poco attinenti alla storia, ma concordi nel riferirsi all'esistenza di un copioso tesoro che sarebbe nascosto da quelle parti. Eccone una tra le più note. Si racconta che il castello esisteva già nell'alto Medioevo, in quei secoli bui caratterizzati dalle invasioni barbariche che avevano sconvolto la vita delle città e costretto i loro abitanti a cercare scampo nelle più remote vallate alpine. Così era successo anche in Valle Brembana, dove tra gli altri era giunta una nobile signora accompagnata da un drappello di soldati che la indicavano, chissà perché, come la loro regina. Questa regina si era stabilita con il suo sparuto popolo di guerrieri in un castello situato proprio nel luogo sopra descritto, fatto costruire da lei stessa con l'aiuto di un abile architetto giunto appositamente da Bergamo e con il lavoro dei poveri montanari brembani. Era un castello piccolo, ma ben fortificato: vi si accedeva attraverso un ponte levatoio comunicante con la bassa corte e culminava con due bastioni muniti di saettiere, feritoie e numerose piombatoie. Si può dire che il castello aveva le stesse caratteristiche della sua proprietaria che era alta e robusta, con i lineamenti mascolini, la folta chioma corvina, lo sguardo fermo e penetrante che dimostrava il suo coraggio e la sua forza, misti ad una certa malvagità. i suoi soldati l'adoravano e avrebbero rinunciato a tutto pur di seguirla in imprese rischiose, tuttavia, da quando erano arrivati in Valle Brembana, non c'erano più state occasioni di battaglia, salvo qualche breve scaramuccia con gli abitanti della zona che senza troppa fatica erano stati ridotti all'ubbidienza. Così la regina del castello aveva costituito sopra il territorio della media valle una specie di feudo sul quale comandava con mano ferma, non mancando di punire severamente quanti si opponevano ai suoi ordini o si rifiutavano di versare i numerosi tributi da lei imposti. Inoltre, tutti gli uomini in età adulta erano costretti periodicamente a lasciare il loro lavoro nei campi e nei boschi per addestrarsi all'uso di rozze armi, così da formare una specie di esercito popolare al servizio della castellana. 1 ribelli facevano una brutta fine: tradotti nel cortile del castello, erano crudelmente torturati e poi impiccati ed esposti per giorni sugli spalti, a chiaro ammonimento della sorte che attendeva i sudditi infedeli. Finalmente, dopo alcuni anni trascorsi senza nessuna novità di rilievo, arrivò il giorno della battaglia. Sulle montagne prospicienti il castello, nella zona del Lisiolo, si era accampata un'orda di barbari, al comando di un re che, a detta di chi l'aveva potuto osservare da lontano, si cingeva il capo con una corona d'oro massiccio e sul calare del sole compiva strani riti assieme alla sua soldataglia davanti a un vitello, pure interamente d'oro, posto sopra una sorta di altare. Si diceva anche che portava con sé diversi sacchi pieni di oggetti preziosi, frutto dei saccheggi compiuti chissà dove. La regina del castello, spronata dai suoi luogotenenti, pensò bene di approfittare dell'occasione tanto attesa per scendere finalmente in battaglia e impossessarsi del ricco bottino del re barbaro. Riuniti i soldati sulla piazza d'armi, illustrò il piano di battaglia e promise che in caso di vittoria avrebbe spartito tra i sudditi tutto il bottino, riservandosi per sé solo il vitello d'oro. Preparate le vettovaglie e indossate le armature, i cavalieri si misero in marcia, seguiti dai semplici fanti muniti solo di falci e tridenti, trasformati in armi di fortuna. Davanti a tutti marciava la regina, terribile nella sua armatura sfolgorante. La battaglia si scatenò furiosa. All'inizio entrambi gli eserciti combattevano con grande ardore e le perdite erano pesanti sui due fronti, ma ad un certo punto la regina sguainò la spada e avanzò impavida incontro al re nemico il quale, alla vista di tanto coraggio fu preso da grande terrore e invece di combattere se la diede a gambe su per la montagna, cercando scampo tra gli anfratti delle rocce. Privi del loro capo, i barbari cercarono inutilmente di tenere alto il loro onore, ma alla fine furono sopraffatti e chi non cadde sul campo fu fatto prigioniero. Anche il re trovò la morte per mano della regina che dopo averlo raggiunto lo sgozzò spietatamente con la sua spada. Ma nell'esalare l'ultimo respiro il moribondo ebbe la forza di lanciare contro la regina e il suo popolo una tremenda maledizione: anche la vostra sorte è segnata, non sopravviverete a questa giornata. Incuranti della maledizione, i vincitori fecero scempio dei prigionieri e poi tornarono al castello portando in trionfo il vitello d'oro e dividendosi il resto del bottino. Ma a tarda sera, mentre cavalieri, fanti e tutto il popolo festeggiavano con la regina la vittoria ed erano in preda a un'indicibile euforia, accadde l'imprevisto: sulla zona si abbatté improvviso un tremendo uragano, i fulmini colpirono ripetutamente le torri del castello e lo incendiarono, il vento impetuoso alimentò l'immenso rogo che avvolse tutto l'edificio, finché la terra fu squassata da un terremoto e si spalancò inghiottendo il castello, le persone, gli animali e ogni cosa. Scomparve anche il favoloso tesoro, ma da allora c'è sempre stato qualcuno che lo ha cercato, nella convinzione che si trovi ancora nella zona, magari coperto da uno strato di terra. Nessuno però l'ha mai trovato e c'è chi asserisce che sarebbe addirittura stato preso in consegna da un gruppo di streghe e di diavoli, e ogni volta che qualche temerario si avventura da quelle parti per cercarlo, se ne deve scappar via in tutta fretta per non incappare in un nuovo uragano con tanto di tuoni, bufera e terremoto. |