Si diceva fosse nato dal connubio tra il Diavolo e una ragazza di facili costumi, alla quale piaceva il ballo. Alla nascita era tutto rosso e dotato di un lungo e sottile codino che non stava mai fermo, in seguito gli erano spuntate due piccole corna aguzze, parzialmente nascoste da un ciuffo di pelo fulvo.

Questo era il folletto, un essere dispettoso e impudente, le cui gesta birichine sono ricordate un po' in tutta la Valle Brembana, e non solo.

Faceva dispetti a tutti e li ripagava con sonore risate, ah, ah, ah! Nascondeva gli attrezzi da lavoro degli artigiani, disfaceva il lavoro a maglia appena ultimato, ingarbugliava le matasse delle filatrici, scambiava il sale con lo zucchero in cucina... Era un attimo, combinava la marachella e poi spariva improvvisamente, veloce come il vento, e nessuno riusciva a vederlo bene in faccia, né tanto meno ad agguantarlo.

Le prime impertinenze le aveva fatte a sua madre, che lo aveva reso presto orfano, perché era morta di crepacuore. Il padre, ovviamente, non si era fatto più vedere...

Così, rimasto senza alcun controllo, aveva dato libero sfogo ai suoi istinti beffardi, prendendosi gioco di chiunque gli capitasse a tiro.

Aveva un debole per tutto ciò che era bello: ai bambini piccoli, specialmente ai lattanti, portava una certa invidia, forse per un senso di compensazione dell'affetto che gli era mancato nella sua infanzia: li stuzzicava nella culla, tirava loro le orecchie e il nasino, li solleticava sul pancino e li faceva piangere come se avessero un malanno.

Le madri accorrevano inquiete e non capivano il perché di questi pianti improvvisi. Le nonne, però, non avevano dubbio che si trattasse di una delle solite malefatte del folletto, allora andavano a raccontare il fatto al curato del paese che le consigliava di mettere un vaso da notte vicino all'uscio della camera, espediente considerato infallibile per tenere lontano quell'essere impertinente.

Ma erano innumerevoli le mascalzonate che gli si attribuivano.

Un contadino aveva una bella mucca? Il folletto la punzecchiava per non lasciarla dormire, le prendeva la mammella turgida e schizzava il latte in faccia al contadino, che dava in escandescenze e rincorreva per la stalla il burlone con un bastone, ovviamente senza successo. Anzi, per completare la beffa, il folletto si divertiva da matti a legare la coda della mucca a una trave del soffitto o alla rastrelliera del fieno, costringendo il povero animale a starsene lì, in quella posizione ridicola, emettendo muggiti lamentosi per attirare l'attenzione del padrone.

Il quale, per allontanare quel tormento, andava in chiesa ad accendere una candela a Sant'Antonio abate e affiggeva la sua immagine sull'uscio della stalla, poi faceva venire il curato perché impartisse una solenne benedizione alle sue bestie.

Ma il folletto era vendicativo. Si racconta che uno di questi contadini dopo aver messo in atto tali metodi dissuasivi contro di lui, l'aveva pagata cara: quell'essere crudele e implacabile aveva assunto le sembianze del defunto fratello del contadino e di notte gli si era presentato in casa e lo aveva abbracciato. Ma l'abbraccio era così stretto e prolungato che il contadino stava per soffocare. Se l'era cavata in extremis, solo dopo aver invocato la Madonna ed essersi fatto un rapido segno di croce.

Le ragazze, specie quelle carine, erano le vittime preferite del folletto: succedeva spesso che qualcuna di esse si trovasse al mattino con i capelli sforbiciati. Alcune si prendevano di quelle potenti sculacciate improvvise che le facevano balzare in avanti dal contraccolpo, mentre l'aria risuonava di un beffardo ah, ah, ah!

E se ce n'erano di particolarmente pudiche, guai a loro! Facevano la fine di Marilyn Monroe: mentre giravano tra la gente, un'improvvisa maliziosa folata di vento faceva alzare loro la gonna, mostrando a tutti i lunghi e bianchi mutandoni guarniti di pizzo...

Una volta una ragazza, manco a dirlo assai graziosa, stava preparandosi il vestito da sposa, ma era rimasta senza il filo, così aveva usato una spoletta trovata casualmente per terra e aveva dato gli ultimi punti.

Giunto il giorno delle nozze, la sposina aveva indossato il vestito e si era recata in chiesa. Proprio al culmine della cerimonia, mentre stava per pronunciare il fatidico "sì", la cucitura si era improvvisamente allentata e il vestito era caduto per terra, lasciando la malcapitata in sottoveste...

Si è detto che il folletto imperversava un po' in ogni paese, ma le storie più curiose che lo riguardano si raccontano in alta Valle Brembana e in Val Taleggio.

In alta Valle sono noti i "sét folécc del Sacc" che si dice dimorassero a Santa Brigida, nei pressi della tribulina del Sacc, collocata a monte della contrada Foppa, lungo l'antica mulattiera per Valtorta.

Ognuno di questi sette folletti era specializzato in una categoria particolare di dispetti.

Uno era esperto nel far seccare i fagioli e le patate, prima ancora che fossero arrivate a maturazione, infilandosi sotto la terra dell'orto e mangiando le radici delle piante, manco fosse un grillo talpa.

Un altro infestava le casere, mentre era in corso la produzione del formaggio, e riusciva, chissà come, a non far cagliare il latte.

C'era poi il folletto che importunava il toro e la vacca, proprio mentre erano in procinto di accoppiarsi, e quello che si divertiva a spaventare la gente, sbattendo le porte di notte, o a far sparire gli oggetti, insinuando nel legittimo proprietario il sospetto di essere stato derubato da qualche vicino.

Il più stravagante era però quello che si divertiva a pettinare i bambini, cosicché le madri si meravigliavano assai di trovare i loro piccoli con i capelli in perfetto ordine.

Meno piacevole era il ruolo del settimo folletto, al quale si attribuiva la responsabilità di contrattempi o incidenti che periodicamente capitavano alla gente del luogo.

Quanto alla Val Taleggio, si racconta di un tale che stava salendo da Sottochiesa a Olda per far rientro a casa dopo una giornata di lavoro. Era ormai sera inoltrata e andava di fretta per non farsi sorprendere dal buio in mezzo al bosco. Aveva appena lasciato Sottochiesa e, giunto sul ponticello che attraversa la valletta della Madonna, sentì provenire dal fondo della valle il pianto di un bambino.

Guardò giù dal ponte e scorse vicino alla riva del torrente un neonato avvolto in una coperta, che emetteva acuti vagiti. Lo raggiunse di corsa, lo prese in braccio, lo avvolse nella sua giacca per ripararlo dal freddo e, maledicendo quella madre sconsiderata che aveva osato abbandonare la sua creatura, riprese la strada verso casa, con passo svelto.

intanto il bambino aveva cessato di piangere e forse si era addormentato, ma al suo salvatore pareva che il leggero fardello che portava in braccio si facesse ad ogni passo sempre più pesante.

Sulle prime non diede molta importanza al fenomeno e proseguì spedito, ma dopo un po', giunto in vista della Costa d'Olda, dovette fermarsi per riposarsi un poco, dato che la creatura, diventata ancora più pesante, gli indolenziva il braccio.

Tirato un po' fiato, si mise il fagottino su una spalla e riprese il cammino. Il peso però si era fatto piuttosto fastidioso, così dovette di nuovo fermarsi un paio di volte, ma non voleva controllare il bambino, perché temeva di svegliarlo.

Nel frattempo aveva superato la Costa e aveva iniziato la breve discesa che porta in paese, ma ormai il fardello che aveva sulle spalle lo stava quasi schiacciando sotto un peso divenuto insopportabile. Grondante di sudore e costretto a fermarsi a ogni momento, era ormai giunto alle prime case di Olda, in vista di un'osteria nella quale era intenzionato ad entrare per chiedere aiuto.

Ma arrivato sull'uscio del locale, stramazzò a terra e non fu più in grado di sollevarsi. A fatica riuscì a liberarsi del fagotto che gli gravava le spalle e finalmente decise di controllare che cosa fosse successo al bambino.

Sorpresa! Dal fagotto saltò fuori un omuncolo rosso e sghignazzante, un folletto che, dopo aver alquanto saltellato attorno al malcapitato, gli levò le scarpe e svanì nel buio lasciandolo allibito e a piedi scalzi.

L’altra avventura, ambientata sempre a Sottochiesa, ha per protagonista un contadino che, tornando a casa dopo una serata trascorsa all'osteria, si imbatté in un uomo steso in mezzo alla strada, in evidente stato di malessere.

Aiutatolo a sollevarsi, lo portò, non senza difficoltà, fino alla propria casa e lo fece stendere sul letto. Poi, convinto che fosse in preda a una solenne sbronza, corse in cucina a preparargli una tazza di caffé.

L'incomodo ospite, sorseggiato il caffé, si addormentò, allora anche il contadino si accomodò alla meglio su un pagliericcio e cercò di prendere sonno.

Si era appena appisolato che venne svegliato da un trambusto proveniente dalla cantina. Corse a vedere che cosa fosse successo e notò che tutte le sue provviste, farina, vino, salami, stracchini, e quant'altro, erano cadute dai rispettivi sostegni ed erano sparse per terra in un'accozzaglia di cibi e bevande del tutto irrecuperabili.

Mentre stava cercando di scoprire le cause di tanto scempio, udì rumori di stoviglie e tonfi sordi provenienti dalla cucina. Altro disastro: tutte le stoviglie giacevano per terra in frantumi!

Nemmeno il tempo di riprendersi da questa nuova sorpresa che cominciò ad avvertire un odore acre di bruciato e vide del fumo nero uscire dalla camera da letto dove aveva portato l'uomo trovato per la strada.

Allora si precipitò verso la camera per portarlo in salvo, ma mentre apriva l'uscio gli venne incontro un grosso gatto dal pelo irto, che emettendo un beffardo miagolio gli saltò sopra le spalle e poi se ne scappò dalla finestra.

Dell'uomo che aveva lasciato nel letto nemmeno l'ombra. Allora il povero contadino comprese che il gatto, alias lo sconosciuto, altri non era se non il folletto, che gli aveva giocato uno scherzo davvero atroce.

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